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Televisione

Shogun 2: novità sullo sviluppo della seconda stagione della serie evento

Dopo il trionfo ai Golden Globes 2025, arrivano aggiornamenti sul futuro della produzione Disney Plus. La writer’s room è vicina alla conclusione dei lavori sulla sceneggiatura, alimentando le aspettative dei fan.

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    Shogun, la serie drammatica targata Disney Plus, continua a essere al centro dell’attenzione dopo il successo travolgente della prima stagione, premiata con ben quattro riconoscimenti durante l’82ª edizione dei Golden Globes. Ora, con la conferma che la seconda stagione è in lavorazione, i produttori Rachel Kondo e Justin Marks hanno condiviso nuovi dettagli sullo stato della produzione.

    A che punto è lo sviluppo di Shogun 2?

    Secondo quanto dichiarato dai produttori, la fase di scrittura è quasi conclusa:

    “La produzione è in corso, la fase di scrittura sta avanzando. Siamo a circa sei settimane dalla fine della fase di lavorazione che riguarda la writer’s room.”

    Questo significa che il progetto è ben avviato e, una volta completata la sceneggiatura, la produzione potrà procedere con il richiamo del cast e della troupe. L’attesa per Shogun 2 è altissima, considerando che la prima stagione ha conquistato il pubblico e la critica, diventando un fenomeno globale del piccolo schermo.

    Il trionfo ai Golden Globes 2025

    Durante la cerimonia di premiazione, Shogun ha ottenuto riconoscimenti nelle principali categorie drammatiche:

    • Migliore serie drammatica
    • Miglior attore in una serie drammatica (Hiroyuki Sanada per il ruolo di “Lord Yoshii Toranaga”)
    • Migliore attrice in una serie drammatica (Anna Sawai per il ruolo di “Toda Mariko”)
    • Miglior attore non protagonista in una serie drammatica (Tadanobu Asano)

    Questi premi non solo testimoniano la qualità della serie, ma accrescono ulteriormente le aspettative per il suo seguito.

    La trama di Shogun

    Ambientata nel Giappone del 1600, Shogun racconta le lotte di potere, intrighi politici e scontri culturali in un’epoca segnata dalla guerra civile. Al centro della narrazione ci sono le vite intrecciate di tre personaggi principali:

    • Lord Yoshii Toranaga (Hiroyuki Sanada), un leader che lotta per sopravvivere contro i nemici del Consiglio dei Reggenti.
    • John Blackthorne (Cosmo Jarvis), un inglese naufragato con segreti che potrebbero cambiare il destino del Giappone e minacciare i Preti gesuiti e i mercanti portoghesi.
    • Toda Mariko (Anna Sawai), una nobildonna cristiana caduta in disgrazia, il cui destino è indissolubilmente legato a quello di Toranaga e Blackthorne.

    La serie esplora con profondità temi come il conflitto culturale, la lealtà e il potere, mantenendo un rigore storico che ne ha decretato il successo.

    Cosa aspettarsi dalla seconda stagione

    Con il lavoro di scrittura quasi ultimato, il pubblico può aspettarsi una seconda stagione che riprenderà i fili narrativi lasciati aperti e approfondirà le complesse dinamiche tra i personaggi. La trama promette di esplorare ulteriormente le alleanze e i conflitti che hanno reso Shogun un capolavoro drammatico.

    I fan possono aspettarsi aggiornamenti nelle prossime settimane, con l’eventuale annuncio del calendario di produzione e, magari, una data di uscita.

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      Televisione

      Barbara D’Urso sfida il dolore e torna in pista a Ballando: «Nessuno mi ferma», anche con un tutore al braccio e l’incognita sull’esibizione di sabato

      D’Urso ha annunciato sui social che non rinuncerà alla puntata di sabato. Il ballerino Pasquale La Rocca assicura che la coppia proverà una coreografia adattata per permettere comunque l’esibizione. L’obiettivo è non interrompere il percorso in gara.

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        Barbara D’Urso non ha nessuna intenzione di lasciare Ballando con le stelle. Neppure l’infortunio alla spalla sinistra — uno stop che per molti avrebbe significato ritiro immediato — sembra aver scalfito la determinazione della conduttrice, che sui social ha annunciato la sua decisione con la consueta energia: «Io non mi voglio arrendere, voglio continuare. Nessuno mi ferma». Una promessa più che una semplice dichiarazione, rivolta a chi temeva di non vederla più in pista.

        A tenerla bloccata è una lesione che la costringe a portare un tutore al braccio. Ma nemmeno questo dettaglio, ingombrante e doloroso, sembra aver scalfito il suo obiettivo: esserci comunque, sabato sera, anche a costo di ripensare completamente la coreografia. D’Urso ha voluto rassicurare il pubblico e la produzione, mostrando un mix di grinta e fragilità che ha trovato immediata solidarietà tra i fan.

        A sostenerla c’è il suo maestro di ballo, Pasquale La Rocca, che ha confermato l’intenzione della coppia di presentarsi regolarmente in gara. «Cercheremo di fare il possibile affinché tu possa esibirti sabato. Sono incidenti che possono capitare…» ha detto il ballerino, spiegando che la priorità ora è adattare i movimenti a una condizione fisica inevitabilmente limitata. Una sfida complessa, ma non impossibile: l’idea è costruire una performance che valorizzi la presenza scenica della conduttrice, evitando prese o rotazioni che possano aggravare l’infortunio.

        Nel mondo di Ballando, dove ogni settimana si sfidano resistenza, tecnica e nervi saldi, tornare in pista dopo un trauma non è solo un gesto atletico: è un messaggio simbolico. D’Urso lo sa bene e sta utilizzando questo momento per ribadire il suo attaccamento al programma e la sua voglia di mettersi in gioco senza riserve. La conduttrice, spesso al centro di dibattiti televisivi e social, si ritrova così in una posizione inconsueta: non il personaggio che divide, ma la concorrente che lotta.

        Resta da capire come reagirà la giuria e quale sarà l’impatto dell’infortunio sul voto tecnico. Se da un lato il pubblico potrebbe premiare la tenacia, dall’altro la gara richiede performance all’altezza della competizione. Ma per Barbara, almeno per ora, non è questo il punto: conta esserci, dimostrare che la pista non le fa paura e che l’ostacolo non diventa un alibi.

        Sabato sarà il momento della verità. Con un braccio immobilizzato e una coreografia reinventata, D’Urso tornerà sotto i riflettori. E, comunque vada, lo farà seguendo la sua regola preferita: non arrendersi mai.

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          Televisione

          Fiorello perde la bussola davanti a Can Yaman: l’effetto Sandokan che fa vacillare anche le certezze più granitiche

          Durante la sua rassegna mattutina Fiorello ha confessato, con l’ironia che lo contraddistingue, di essere rimasto “ipnotizzato” dal protagonista della serie evento. Tra camicie aperte, galoppate al rallentatore e fascino debordante, il nuovo Sandokan conquista anche chi pensava di essere immune.

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            Fiorello lo ha detto senza filtri, con quel tono da showman che trasforma ogni battuta in un terremoto mediatico: «Io, devo essere sincero, l’ho guardato Sandokan, ma la mia eterosessualità ha vacillato più volte». Il pubblico è esploso. Perché quando a pronunciare una frase del genere è uno dei volti più solidi della televisione italiana, l’effetto è immediato: risate, meme, condivisioni virali.

            La confessione arriva dopo la prima puntata del nuovo Sandokan su Rai 1, dove Can Yaman — protagonista assoluto — è diventato in poche ore l’argomento più discusso sui social. Fiorello, da perfetto termometro del Paese, ha colto l’onda e l’ha trasformata in un piccolo monologo irresistibile. «C’è stata una scena — ha raccontato — in cui lui, al rallentatore, galoppava con la camicia aperta… una roba bellissima. Io lì ho detto: “Beh, quasi quasi”».

            Il conduttore ha giocato come sempre sul filo dell’ironia, restituendo però una sensazione che molti, anche senza ammetterlo pubblicamente, hanno probabilmente provato. Perché l’operazione Sandokan, al netto delle critiche e dei giudizi artistici, ha lavorato soprattutto sul piano dell’immagine: il corpo di Yaman è diventato un linguaggio parallelo, un richiamo continuo all’epica del bello e dell’eroico.

            Fiorello ha trasformato tutto in una gag perfetta, sottolineando come la scena a cavallo fosse “girata apposta per far crollare certezze”, e aggiungendo che “chi non ci ha fatto un pensierino?” È il tipo di battuta che solo lui può permettersi: leggera, pop, capace di sintetizzare un fenomeno culturale con poche parole ben piazzate.

            La forza del personaggio Sandokan — anche in questa versione televisiva dal gusto patinato — sta proprio nella sua capacità di scatenare immaginari. E il commento di Fiorello diventa una cartina di tornasole del momento: Can Yaman sarà pure divisivo nella recitazione, ma come icona pop non teme rivali. Il suo volto, il suo fisico, il suo carisma a telecamera accesa sono diventati materia di conversazione nazionale.

            La frase di Fiorello, già rimbalzata ovunque, segna l’ennesima conferma del potere del personaggio. E dimostra, ancora una volta, come la televisione sappia creare cortocircuiti imprevedibili: bastano un cavallo, una camicia svolazzante e un attore dal fascino debordante per scatenare un commento che diventa trend in poche ore.

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              Televisione

              Sandokan vola negli ascolti ma naufraga nel resto: il remake che tradisce Salgari e offende il mito della Tigre della Malesia

              Can Yaman inespressivo, Yanez trasformato in una macchietta, personaggi snaturati e sceneggiatura piena di forzature. Il ritorno della Tigre della Malesia, atteso per cinquant’anni, si trasforma in un’operazione senza anima, dove l’estetica batte la sostanza e la magia salgariana evapora.

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                Il dato nudo e crudo è impressionante: quasi sei milioni di spettatori e uno share che sbriciola la concorrenza. Un trionfo, sulla carta. Ma se si va oltre la curva degli ascolti, il nuovo Sandokan appare per quello che è: un’operazione patinata che somiglia più a una telenovela turca girata sul Tirreno che al capolavoro salgariano amato da generazioni. Le spiagge di Lamezia, bellissime, fanno il loro dovere. Il resto arranca.

                Can Yaman, scelto come protagonista, entra in scena con lo stesso entusiasmo di chi deve sostenere un esame senza aver aperto il libro. Bello, sì, instagrammabile anche, ma impacciato, rigido, incapace di restituire un grammo dell’intensità selvaggia del personaggio nato dalla penna di Emilio Salgari. Ci prova con lo sguardo feroce, ma il risultato è una Tigre della Malesia che sembra imitare sé stessa, come un bambino a una recita scolastica.

                Non va meglio con Alessandro Preziosi, un Yanez da Gomera trasformato in comico involontario. Faccine, smorfie, battute fuori tempo: il compagno di mille avventure di Sandokan diventa una caricatura, un guizzo sopra le righe che smonta qualsiasi tensione narrativa. Marianna, ribattezzata Lady Maryam, è riscritta in chiave proto-femminista per ragioni che nulla hanno a che fare con il personaggio originale. Tutto è ritoccato, ribaltato, ricalibrato come se Salgari fosse un autore qualunque da aggiornare per compiacere l’algoritmo.

                Il risultato è un racconto che non scorre, non vibra, non emoziona. È un lungo tentativo di modernizzare ciò che non andava toccato, con la presunzione tipica di chi crede che basti aggiungere qualche dramma sentimentale e una dose abbondante di CGI per ricreare la magia. Ma Sandokan non è mai stato un esercizio di stile: era un mondo incantato, un’epica dell’avventura, un romanzo da maneggiare in punta di piedi. Qui, invece, i personaggi vengono svuotati, la trama appesantita da trovate discutibili e persino la tigre appare come un pupazzo spaesato.

                Il paradosso è che l’impegno produttivo è evidente: mezzi importanti, scenari spettacolari, ambizioni internazionali. Ma quando manca il cuore, tutto il resto diventa accessorio. Il vero problema non è la scelta di un attore turco per interpretare un principe malese; non è neppure la Calabria al posto del Borneo. È il tradimento dell’anima. È l’aver confuso l’omaggio con la riscrittura, l’avventura con il feuilleton, l’incanto con la posa.

                A questo punto non resta che arrendersi all’evidenza: Sandokan meritava amore, non un lifting narrativo. Per chi è cresciuto leggendo Salgari, questa non è nostalgia. È delusione pura. E non c’è share che possa salvarla.

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