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Calcio

Il “Viperetta” è sempre nel pallone: la Ternana ha un nuovo presidente, la 25enne Claudia Rizzo. Ma il vero burattinaio è ancora lui

Le nuove linee guida Enac rivoluzionano il trasporto degli animali: pettorina, museruola e sedile vicino al finestrino. Obiettivo: sicurezza, comfort e regole chiare per tutti.

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    Doveva essere la giornata di Claudia Rizzo, 25 anni, giovane e prima presidente donna del calcio professionistico italiano. Ma alla Ternana la ribalta non è durata più di qualche minuto: appena Massimo Ferrero ha preso parola, la scena è diventata la sua. Il “Viperetta”, ex patron della Sampdoria, si è presentato alla conferenza stampa con il solito arsenale di battute, gesti teatrali e interruzioni continue. Risultato: la Rizzo relegata a figurante, Ferrero mattatore assoluto.

    Ufficialmente non compare da nessuna parte: il suo nome non c’è nell’organigramma, eppure tutti hanno visto chi tirava i fili. A ogni esitazione della Rizzo, Ferrero interveniva come un gobbo di teatro, suggerendo, correggendo, riempiendo silenzi. Un copione già scritto: la nuova presidente come volto fresco e spendibile, lui come regista occulto del progetto che, guarda caso, ruota attorno a un business enorme, quello dello stadio-clinica da 400 milioni.

    La scena, più che istituzionale, sembrava un cabaret. Eppure, dietro le risate forzate e i sorrisi imbarazzati, il messaggio era chiaro: a Terni comanda ancora Ferrero, pagato da Stefano Bandecchi come speaker della sua radio e oggi uomo chiave della nuova era rossoverde.

    Un déjà-vu per chi conosce il personaggio: anche alla Sampdoria aveva alternato eccessi da showman a decisioni spiazzanti. Con un dettaglio che oggi, col senno di poi, fa sorridere amaro i tifosi blucerchiati: nel confronto con lo sfacelo arrivato dopo la sua gestione, c’è chi addirittura lo rimpiange. Tra un default finanziario e l’incubo delle categorie minori, il caos di Ferrero appare a Genova quasi come un ordine perduto.

    A Terni invece i tifosi restano divisi. Da una parte la curiosità per un presidente “ombra” capace di catalizzare l’attenzione come pochi, dall’altra la sensazione che la giovane Rizzo sia stata messa lì come paravento, senza reale potere. La prima donna presidente del calcio italiano meritava un palcoscenico, non una regia ingombrante. Ma con il Viperetta in mezzo, lo spazio per gli altri, si sa, è sempre pochissimo.

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      Calcio

      Marco Van Basten: “Non riuscivo più a camminare. Baggio mi disse una frase che non dimenticherò mai”

      Nel 1995, a 28 anni, Van Basten fu costretto a dire addio al calcio. Nel suo libro “Io sono Marco Van Basten” racconta la sofferenza fisica, l’addio commosso e l’incontro con Baggio: “Ci promettemmo di provarci insieme, anche se avevamo una gamba sola a testa”

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        Marco Van Basten è stato uno degli attaccanti più raffinati e letali della storia del calcio. Un talento purissimo, un campione capace di far sognare milioni di tifosi con la maglia dell’Ajax, del Milan e della nazionale olandese. Ma la sua carriera è stata tanto luminosa quanto tragicamente breve: un calvario di infortuni alle caviglie lo ha costretto a ritirarsi a soli 28 anni, nel 1995. In quegli anni drammatici, un episodio in particolare è rimasto scolpito nella memoria dell’ex fuoriclasse: l’incontro con Roberto Baggio, arrivato in rossonero proprio nell’estate in cui Van Basten provò a lottare ancora una volta contro il dolore.

        Nella sua autobiografia, “Io sono Marco Van Basten”, il cigno di Utrecht ha aperto il cuore e raccontato quei giorni di speranza e sofferenza. “Ero determinato a provarci ancora, almeno per un altro anno”, scrive. “Volevo farlo, anche perché avevo sempre ammirato Roberto. L’idea di giocare insieme a lui mi sembrava straordinaria. Durante il ritiro, dopo qualche giorno ci incontrammo. Mi chiese delle mie condizioni fisiche e mi disse: ‘Almeno per un anno, sarebbe bello poter giocare insieme. Giochiamo entrambi con una gamba sola, ma magari in due riusciamo a fare un giocatore intero’”.

        Quelle parole, dette con il sorriso e la leggerezza che solo chi conosce la sofferenza sa conservare, colpirono Van Basten nel profondo. “Scoppiammo a ridere di gusto. In quel momento capii che tipo fosse Roberto: una persona speciale. Avevamo già trovato un’ottima intesa”. Ma il destino aveva altri piani. Pochi giorni dopo, il dolore alla caviglia di Van Basten si fece insopportabile. Gli antidolorifici non bastavano più, e il corpo cominciò a cedere.

        “Stavo male, vomitavo spesso. Era chiaro: dovevo smettere. Non riuscivo nemmeno a camminare”, ricorda Van Basten. Con le lacrime agli occhi, si ritrovò costretto a dire addio a tutto: ai compagni di squadra, alla maglia del Milan, al campo di gioco. L’addio fu straziante. “Salutai tutta la squadra, lasciando per ultimi Franco Baresi e Roberto Baggio”, confessa. E proprio a Baggio toccò pronunciare quella frase che Marco non ha mai dimenticato: “Peccato! Sarebbe stato bello giocare al tuo fianco”.

        Una frase che continua a risuonargli dentro. “La sento ancora riecheggiare. Maledette caviglie”, scrive, con un velo di nostalgia e rabbia. Perché Van Basten, in quegli anni, aveva davvero sognato di condividere il campo con Baggio, un altro artista del pallone, un altro calciatore capace di incantare le folle e di superare i propri limiti.

        Quell’estate del 1995 avrebbe potuto essere l’inizio di un nuovo capitolo, un binomio leggendario tra due numeri dieci capaci di vedere il calcio con la stessa visione poetica. Invece fu l’epilogo di una carriera vissuta sempre in equilibrio tra l’estro e la sofferenza. Van Basten chiuse con il calcio giocato, lasciando un vuoto nel cuore dei tifosi rossoneri e di chiunque abbia amato il suo stile elegante e la sua capacità di trasformare un pallone in arte.

        Il ricordo di quell’ultimo abbraccio con Baggio, e la battuta amaramente dolce scambiata in ritiro, restano la testimonianza più umana e intima del campione. Dietro i trofei e i gol, c’era un uomo che non voleva

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          Calcio

          San Siro svenduto? La giunta dà il via libera alla cessione a Inter e Milan, ma la battaglia in consiglio può far saltare il banco

          Il progetto prevede l’abbattimento quasi totale dello stadio e la nascita di un nuovo impianto con annesso quartiere commerciale. Ma tra accuse di svendita, timori ambientali e numeri ballerini in aula, l’operazione rischia di trasformarsi in una partita tutta politica.

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            Il destino di San Siro si gioca come una finale dai toni amari. La giunta comunale di Milano ha approvato la delibera per la vendita dello stadio e delle aree circostanti a Inter e Milan: 197 milioni di euro, una cifra ritenuta da molti inferiore al reale valore di mercato. Alla fine la decisione è arrivata, ma il voto non è stato unanime: l’assessora all’Ambiente Elena Grandi si è smarcata, allineandosi alla posizione di Europa Verde che parla senza mezzi termini di “svendita di un bene pubblico”.

            Il progetto prevede l’abbattimento di gran parte del Meazza, lasciando in piedi solo pochi elementi simbolici, e la costruzione di un nuovo impianto sul lato di via Tesio. Attorno, un comparto con negozi, ristoranti e hotel che trasformerà l’area in un polo commerciale da miliardi. Per i due club l’operazione è la chiave per garantirsi stadi moderni e competitivi sul piano europeo. Per i critici, invece, è il sacrificio sull’altare della speculazione.

            Il prezzo pattuito è uno dei nodi più contestati. La stima dell’Agenzia delle Entrate è stata definita “sorprendentemente bassa” rispetto ai valori immobiliari di Milano. Eppure è rimasta quella, nonostante i rilievi di tecnici e opposizioni. Inoltre, i club avranno uno sconto di 22 milioni a titolo di compartecipazione comunale per tunnel Patroclo e bonifiche. Una cifra che per gli ambientalisti equivale a un regalo.

            Gli oneri non mancano. Inter e Milan dovranno garantire 80mila metri quadrati di verde, di cui 50mila “profondo”, e investire fino a 15 milioni in compensazioni ambientali per ottenere la neutralità carbonica, obbligatoriamente a Milano e senza ricorrere a crediti internazionali. Ma i comitati cittadini restano scettici: “Parlano di verde e sostenibilità, ma intanto abbattono un pezzo di storia e cementificano un’area enorme”, accusano.

            La tabella di marcia è serrata: entro il 2026 il progetto di fattibilità, entro il 2027 l’avvio dei lavori per il nuovo stadio, entro il 2030 la sua conclusione. Solo allora il Meazza potrà essere demolito quasi completamente. Entro il 2035, invece, il comparto accessorio dovrà essere ultimato. Una tempistica che lega il destino dei club alla politica cittadina, con il rischio di ritardi e ricorsi.

            La partita più insidiosa, però, si gioca ora in consiglio comunale. La maggioranza non è compatta. Almeno cinque consiglieri di centrosinistra sono da sempre contrari, e altri hanno espresso forti perplessità. Il numero legale in prima convocazione – 25 presenti – non è affatto garantito. E molto dipenderà dalle mosse del centrodestra: se voterà contro compatto, o se sceglierà la tattica dell’astensione per far passare tutto in seconda convocazione.

            A complicare il quadro, la clausola di “earn out”: se i club rivenderanno le aree accessorie entro cinque anni, dovranno riconoscere al Comune una quota della plusvalenza, dal 50 al 15% a seconda del momento. Una misura che prova a blindare l’operazione ma che, secondo le opposizioni, “conferma che si tratta di un affare immobiliare mascherato da progetto sportivo”.

            Sul fronte politico, la giunta Sala difende la scelta come necessaria: “Il Meazza non rispetta oltre metà dei requisiti Uefa per ospitare gli Europei del 2032”, ha ricordato l’assessora allo Sport Martina Riva. Ma le proteste non si placano. Europa Verde parla di “scempio urbanistico”, i comitati denunciano una “regalia scandalosa” e la minoranza annuncia battaglia in aula.

            Il tempio del calcio mondiale rischia dunque di diventare il terreno di uno scontro feroce, dove affari, politica e identità cittadina si intrecciano. San Siro non è solo uno stadio: è memoria collettiva, simbolo di Milano e cassa di risonanza internazionale. Ora finisce nelle mani dei club, ma la partita decisiva – tra franchi tiratori, ambientalisti e opposizioni – deve ancora essere giocata.

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              Calcio

              Francesco Totti celebra tre anni con Noemi Bocchi tra lusso sfrenato e regali da capogiro e una Birkin Hermès da collezione

              Totti e Noemi Bocchi hanno festeggiato il loro terzo anniversario tra sfarzo e romanticismo. Intanto, mentre il divorzio con Ilary Blasi è alle battute finali, la coppia mostra sui social tutta la propria complicità.

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                Tre anni d’amore e una festa che sembra uscita da un film. Francesco Totti e Noemi Bocchi hanno celebrato il loro terzo anniversario di coppia con una sorpresa che ha lasciato senza fiato la stessa Noemi, che non ha resistito alla tentazione di condividere il momento con i suoi follower. L’ex capitano della Roma, oggi lontano dai riflettori del campo ma sempre al centro del gossip, ha organizzato per la compagna una ricorrenza da mille e una notte.

                Per l’occasione Totti ha scelto un hotel esclusivo, affittando una suite di lusso trasformata in un piccolo paradiso privato. Rose, palloncini e dettagli romantici hanno fatto da cornice a una serata che ha suggellato un amore solido, nato tra mille chiacchiere e che resiste nonostante i riflettori e le polemiche. Ma il vero colpo di scena è arrivato con il regalo: una Birkin di Hermès, la borsa più ambita dalle fashion addicted e tra le più costose al mondo.

                Il prezzo? Da capogiro. A seconda del modello, una Birkin può valere dai 30 ai 200mila euro. Un dono che non solo dimostra l’affetto di Totti per Noemi, ma anche la volontà di celebrare un legame importante senza badare a cifre o critiche. Nelle sue Stories Instagram, Noemi ha mostrato il regalo con un sorriso eloquente, lasciando intendere che la sorpresa è stata più che gradita.

                Il gesto arriva mentre le cronache continuano a seguire il divorzio di Totti da Ilary Blasi. La separazione, ufficializzata tre anni fa con un comunicato che scosse l’Italia intera, non è ancora completamente archiviata. Le battaglie in tribunale proseguono, ma le vite dei due ex sembrano ormai ben definite. Se Totti si gode la sua nuova storia con Noemi, Ilary ha trovato accanto a sé l’imprenditore tedesco Bastian Muller, conosciuto per caso in aeroporto e oggi presenza fissa al suo fianco.

                Insomma, quella che un tempo era la coppia d’oro del calcio e dello spettacolo italiano si è divisa senza possibilità di ritorno. E mentre Ilary racconta nel suo documentario su Netflix le ferite della fine del matrimonio, Francesco sceglie il lusso e il romanticismo per raccontare la sua nuova vita accanto a Noemi Bocchi.

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