Calcio
Zaniolo perde la testa (di nuovo): entra negli spogliatoi e aggredisce due Primavera della Roma
Semifinale Primavera con coda folle: Nicolò Zaniolo irrompe nello spogliatoio della Roma e – secondo più fonti – prende a pugni due giovani calciatori, Almaviva e Litti. Lite, urla, provocazioni. La Roma condanna con durezza, la Fiorentina lo difende a metà, lui nega tutto. Ma le testimonianze parlano chiaro: una scena pietosa.

Non bastava il talento buttato, la carriera in altalena, il rancore tossico verso la Roma e un’uscita di scena da romanzo sbagliato. Nicolò Zaniolo è riuscito a fare di peggio. A diventare protagonista di una pagina nera del calcio giovanile italiano: secondo quanto raccontato da testimoni oculari e confermato da un durissimo comunicato della AS Roma, l’ex talento giallorosso avrebbe fatto irruzione negli spogliatoi della Primavera e preso a pugni due calciatori, Almaviva e Litti, colpevoli di… aver perso una partita.
Sì, una semifinale Primavera, categoria U19. A giocarla erano ragazzi nati nel 2005 e 2006. Non suoi ex compagni. Non suoi coetanei. Ma questo non ha impedito a Zaniolo – che era ospite in tribuna al Viola Park – di scendere nel tunnel degli spogliatoi e perdere completamente il controllo, secondo quanto riportato da più fonti.
“Urla che si sentivano fuori dal tunnel”, “botte”, “provocazioni gratuite”, racconta l’inviata di Sportitalia, che ha trasmesso l’incontro vinto dalla Fiorentina per 2-1. L’allenatore dei viola, Daniele Galloppa, conferma: “Ho visto una rissa. Ho tenuto i miei ragazzi fuori, non volevo che si facessero male. Una scena pietosa”.
Della serie: quando ti vergogni per conto terzi.
La Roma, dal canto suo, non usa mezze misure: in un comunicato ufficiale, il club condanna “con fermezza” l’aggressione e ogni forma di comportamento violento, parlando di “atteggiamento provocatorio” e “colpi fisici” subiti da due giovani della sua Primavera.
Zaniolo, ovviamente, nega tutto: “Sono sceso a fare i complimenti, anche ai romanisti che mi insultavano. Me ne sono andato prima che degenerasse”, dice, con la convinzione di chi spera ancora che basti uno scarico di responsabilità per lavarsi le mani. Ma le testimonianze raccontano tutt’altro. E le versioni traballano.
La Fiorentina, per non scontentare nessuno, si limita a riportare le parole del giocatore, senza entrare nel merito. Ma i contorni della vicenda sono chiari: un uomo di 24 anni che aggredisce adolescenti negli spogliatoi, con tanto di insulti e cazzotti. Un ex campione che sembrava destinato a spaccare il mondo, e che ora si aggira per i campi come una bomba a orologeria senza manico.
Con la Roma è finita da tempo, e male. Ogni ritorno nella Capitale è diventato occasione per provocazioni, insulti, espulsioni. Ora anche pugni.
Si può discutere su tutto, ma alzare le mani su due ragazzi di Primavera è un gesto che nemmeno la retorica del “carattere forte” può giustificare. Se confermato, questo episodio è un punto di non ritorno.
Non per la carriera di Zaniolo – quella si è persa da sola – ma per la credibilità di un sistema che finora lo ha sempre perdonato, aspettato, giustificato.
Chissà se stavolta, finalmente, qualcuno avrà il coraggio di dire basta.
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Calcio
Balotelli a Belve: “Il test del DNA per Pia? Mi spiace, ma lo rifarei. E quei due con la banana se lo ricordano…”
Mario Balotelli si racconta a cuore semi-aperto nel salotto tagliente di Belve. Dai cori razzisti agli episodi di violenza, dalla rottura con Raffaella Fico al rapporto con la figlia Pia. “Il test del DNA? Sì, lo rifarei. Mi spiace per lei, ma non ci vedevamo da mesi. Non potevo fare altro”. E sul futuro: “Giocherò ancora due o tre anni, poi forse America”.

Se c’è una cosa che Mario Balotelli non sa (o non vuole) fare, è tenersi qualcosa dentro. E infatti davanti a Francesca Fagnani, nello studio affilato di Belve, ci è andato giù come solo lui sa fare: mezze verità, sorrisi ambigui, battute a metà tra la spacconata e la confessione. Il risultato? Un’intervista che non lascia indifferenti. Come sempre, quando c’è di mezzo Super Mario.
Il momento più forte arriva quando si parla della figlia Pia, nata dalla relazione con Raffaella Fico. A suo tempo, Balotelli aveva chiesto il test del DNA per accertarne la paternità. Un gesto duramente criticato. Ma oggi non fa marcia indietro: «Sì, lo rifarei. Mi spiace per mia figlia, ma non ci vedevamo da mesi. Che altro potevo fare?», dice con una lucidità che spiazza. Nessun ripensamento, solo una presa d’atto: la verità prima dei sentimenti.
Altro momento clou: il lancio delle banane a Ponte Milvio, uno degli episodi più disgustosi di razzismo subiti dal calciatore. Balotelli non conferma, non nega, ma fa intuire: «Sicuramente non lo rifanno, questo te lo garantisco», dice ridacchiando. La Fagnani incalza: “Li ha menati?”, e lui: «No…», con quella faccia che dice tutt’altro. Poi aggiunge: «Mi spiace, ma a volte quello che ci vuole, ci vuole». E non è una frase da calendario motivazionale.
Sul calcio, Balotelli si fa più cinico che nostalgico. «È un mondo finto», dice. E quando la conduttrice gli chiede perché Ronaldo ha vinto 5 Palloni d’Oro e lui no, la risposta è tanto semplice quanto disarmante: «Si allena come un matto. Io no». E a chi ha fatto meglio tra lui e CR7? «Lui. C’ha più soldi».
Poi arriva il momento Mourinho: «Eravamo due teste di cavolo. Ma lui peggio di me, come carattere». Il tono è affettuosamente velenoso, com’è nel suo stile. Non odia nessuno, ma nemmeno fa sconti.
Quanto al futuro, Balotelli non si ritira ancora: «Giocherò altri due o tre anni. Magari in America», rivela. Un modo elegante per dire che in Europa le porte non sono proprio spalancate, ma lui la maglia addosso vuole ancora tenersela.
Come sempre, Balotelli divide. Ma non si nasconde. E forse è proprio questo, nel bene e nel male, il suo marchio di fabbrica.
Calcio
Lo scudetto d’oro di Conte: 9 milioni per un anno solo a Napoli
Antonio Conte festeggia lo scudetto col Napoli e porta a casa quasi 9 milioni di euro. Il presidente De Laurentiis, dal canto suo, incassa: 20 milioni dalla Lega calcio e un tesoro da 43,5 milioni per l’accesso alla Champions League. Escluso dai premi Kvaratskhelia, ceduto al Psg a gennaio.

Lo chiamano “mister” anche per questo: Antonio Conte, dopo aver riportato il Napoli al tricolore, si porta a casa un bottino personale che sfiora i 9 milioni di euro. Non male per una stagione che, almeno sulla carta, doveva essere di transizione. Invece è stata una cavalcata fino al quarto scudetto della storia azzurra, e pure ben remunerata.
Il contratto triennale firmato da Conte la scorsa estate prevedeva un ingaggio da 7,5 milioni a stagione, a cui ora si aggiunge il bonus scudetto, pattuito da contratto. Nessuna sorpresa, quindi, ma solo la conferma che vincere, anche sotto il Vesuvio, paga. Eccome se paga.
Ma a sorridere più di tutti è il presidente Aurelio De Laurentiis, che dopo una stagione a dir poco turbolenta l’anno precedente, può ora brindare a numeri da capogiro. La sola vittoria del titolo frutta circa 20 milioni dalla Lega Serie A, ma il vero jackpot è l’accesso alla Champions League: l’ingresso nella fase a gironi garantisce al club 43,5 milioni di euro.
Cifre che potrebbero spingere il patron del Napoli ad annunciare anche un premio extra per la squadra, visto il percorso trionfale culminato con il tricolore.
A restare fuori dalla pioggia di bonus è però Kvicha Kvaratskhelia, che in stagione ha comunque timbrato il cartellino con 5 gol e 3 assist in 17 presenze, prima del trasferimento al Psg nel mercato di gennaio. Con il passaggio a Parigi ha sì moltiplicato l’ingaggio (8 milioni l’anno più 2 di bonus), ma ha rinunciato a tutto il resto: nessun premio scudetto e nessuna medaglia da campione d’Italia. Scelta consapevole, messa nero su bianco con il club.
Stessa sorte per Elia Caprile, portiere con 4 presenze stagionali prima del prestito al Cagliari: non essendo in rosa nel giorno della conquista matematica dello scudetto, anche lui resterà a guardare la festa da lontano. Il regolamento della Lega è chiaro.
Ora resta solo da capire se Conte resterà per onorare il secondo anno di contratto. Per ora, Napoli se lo gode. E incassa.
Calcio
Napoli in delirio, parata-scudetto da sogno: cori, fumogeni e una promessa da brividi
Conte e la squadra sfilano per tre chilometri tra la folla festante. Il presidente De Laurentiis annuncia: “Arriva De Bruyne”. Gente ovunque, anche sugli scogli e in barca. Tra colori, lacrime e fuochi d’artificio, è la festa di un popolo che ha aspettato 365 giorni per esplodere di gioia

Napoli ha aspettato. Ha tenuto il fiato sospeso, ha sperato, ha sognato. Poi è esplosa. E quando Napoli esplode, lo fa a modo suo: travolgente, scenografica, piena di cuore. La festa per il quarto scudetto del Napoli si è trasformata in un abbraccio collettivo che ha invaso il lungomare partenopeo in ogni centimetro, dagli scogli alle barche, dalle transenne alle terrazze. Una città intera, con 150mila persone pronte a salutare la squadra dei Campioni d’Italia, a cantare per Antonio Conte e a ringraziare quei calciatori che hanno riportato il tricolore sotto il Vesuvio.
I bus scoperti partono nel pomeriggio, ma l’attesa inizia alle prime ore del mattino. I più fortunati trovano posto in prima fila, altri si arrampicano ovunque si possa: marciapiedi, balaustre, muretti. Sventolano bandiere, fumogeni colorano l’aria di azzurro e bianco, la città si ferma, letteralmente. Il Comune ha predisposto un piano straordinario per la viabilità: scuole chiuse nella prima municipalità, Linea 1 della metropolitana e funicolari in servizio no stop, stazioni della Linea 2 di Mergellina e Piazza Amedeo chiuse dalle 16 per evitare il caos. Ma nulla può contenere l’energia di Napoli.
Il corteo si muove tra due ali di folla. Tre chilometri tra la gente, con i giocatori che sfilano a bordo del bus scoperto sotto una pioggia di cori, applausi, lacrime e selfie. Sul mezzo, sventola anche la bandiera della pace. La squadra saluta, canta, lancia magliette. Alcuni tifosi, presi dall’euforia, scavalcano le transenne. È difficile contenere l’onda emotiva, ma tutto si svolge con ordine e un’energia che commuove. “Questa città è straordinaria – dice Antonio Conte – È passionale, ha entusiasmo, vuole sempre di più. Noi abbiamo dato tutto e oggi ci sentiamo ripagati in pieno. Vincere qui è unico, lavoriamo per giornate come questa”.
Il presidente Aurelio De Laurentiis non si lascia sfuggire l’occasione per accendere nuove speranze: “Arriva De Bruyne”, annuncia dal bus tra l’incredulità e l’ovazione generale. Che sia vero o solo una frase detta per infiammare ancora di più i cuori, poco importa. Il popolo azzurro è già in visibilio. In sottofondo, la colonna sonora è quella dei cori storici, ma anche delle nuove hit dedicate a Osimhen, Kvara, Di Lorenzo. Napoli canta, balla, si abbraccia. Le immagini fanno il giro del mondo.
Il lungomare, chiuso al traffico, è un tappeto umano. Chi è rimasto fuori dalla zona transennata trova posto sugli scogli, in barca, persino su kayak improvvisati per non perdersi nulla. È la Napoli delle grandi occasioni, quella che sa essere festa e follia, devozione e passione. Una coreografia spontanea che non ha nulla da invidiare alle finali mondiali. Anzi, ha qualcosa in più: l’identità di una città che vive di calcio come di aria, di sole, di mare.
Il Napoli ha vinto lo scudetto con un punto di vantaggio sull’Inter. Una corsa estenuante, decisa all’ultima giornata, con la vittoria per 2-0 sul Cagliari e le reti di McTominay e Lukaku. Ma oggi, tutto questo è già memoria. Perché il presente è questa festa. E il futuro? È già nelle parole di Conte: “Difficile trovare una piazza con così tanto entusiasmo. Ma ora bisogna lavorare per ripetersi. La vittoria è bella, ma la riconferma lo è ancora di più”.
Nel frattempo, Napoli continua a festeggiare. Al tramonto, i fuochi d’artificio illuminano il golfo, i ristoranti sono pieni, le piazze vibrano. Nessuno vuole andare a dormire. Perché quando una città sogna per un anno intero, e poi quel sogno si realizza, è giusto che il risveglio arrivi il più tardi possibile.
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