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Sport

Ci vediamo… dopati! A Las Vegas debutta la prima Olimpiade con steroidi liberi

Gli organizzatori promettono record mondiali e un nuovo approccio “scientifico” al doping: test medici, protocolli clinici e uno studio di monitoraggio a cinque anni. Ma per il mondo dello sport è una follia: “Si rischia di normalizzare l’abuso di sostanze pericolose, anche tra i giovani”

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    Ci sarà chi correrà più veloce, chi solleverà più chili e chi nuoterà come un siluro. Ma non sarà per merito dell’allenamento, del talento o della grinta: ai primi “Enhanced Games” in programma nel maggio 2026 a Las Vegas, saranno benvenute – anzi, incoraggiate – le sostanze dopanti. Dimenticate il fair play, le medaglie al merito, la lealtà sportiva: qui si gareggia con steroidi, testosterone, EPO e ormone della crescita. Tutto dichiarato, tutto “monitorato”. E ovviamente tutto pagato profumatamente, come nel caso del nuotatore bulgaro Kristian Gkolomeev, che ha incassato un milione di dollari per aver battuto il record mondiale dei 50 metri stile libero. Con tanto di tuta vietata e protocollo “potenziato”.

    L’evento è ufficiale e ha già una sede prestigiosa: il Resorts World di Las Vegas. Il progetto – che promette di far discutere per anni – è stato svelato dal presidente della competizione, l’avvocato australiano Aron D’Souza, che ha definito gli Enhanced Games “la vera evoluzione dello sport moderno”. Altro che Olimpiadi: qui si punta a riscrivere la storia dell’atletica con la spinta della chimica.

    Nel programma: atletica leggera, nuoto e sollevamento pesi. Attesi 60-100 atleti, alcuni dei quali “puliti”, altri invece potenziati secondo i protocolli messi a punto dalla commissione scientifica e medica indipendente, presieduta dal cardiologo Guido Pieles. Le sostanze utilizzate? Testosterone (in quattro esteri diversi), steroidi anabolizzanti, ormone della crescita ed EPO, tutte vietate nelle competizioni ufficiali e universalmente considerate pericolose in caso di abuso.

    Ma Pieles frena: “Le dosi saranno controllate, leggermente superiori a quelle terapeutiche e lontane dagli abusi da palestra. Gli atleti saranno seguiti, monitorati clinicamente, e dovranno sottoporsi a test per valutare il loro stato fisico, cognitivo e psicologico”.

    Non solo: ogni partecipante sarà monitorato per cinque anni dopo l’evento, in quella che gli organizzatori definiscono “una sperimentazione clinica di fase uno sulla sicurezza dei PED (Performance Enhancing Drugs)”. Una sorta di grande esperimento umano travestito da evento sportivo, che ambisce a scardinare le regole imposte da enti come il Comitato Olimpico Internazionale e la WADA (Agenzia Mondiale Antidoping), che hanno già bollato i giochi come “pericolosi, irresponsabili e dannosi per il futuro dello sport”.

    Il Comitato Olimpico parla chiaro: “Lo spirito olimpico è fondato sulla salute, sull’etica e sull’uguaglianza. Questo evento calpesta ogni principio”. Ma D’Souza risponde con cinismo e realismo: “L’ipocrisia dello sport ufficiale è che i campioni si dopano già, lo fanno in segreto, senza controlli medici. Noi, almeno, lo facciamo alla luce del sole e in sicurezza”.

    Le polemiche non mancano, ma nemmeno l’interesse mediatico. Gli Enhanced Games sembrano destinati a diventare un circo ipertecnologico, un reality ad alto rischio con promesse di record mondiali e la certezza di attirare sponsor e spettatori. Ma anche – denunciano sociologi e medici – il rischio di generare un effetto a cascata tra i più giovani, pronti a seguire i loro nuovi “eroi” caricandosi di ormoni.

    “Quando spareranno il primo colpo di pistola – scrive The Economist – il mondo intero starà a guardare. Ma la domanda resta: fino a che punto possiamo spingerci in nome dello spettacolo?

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      Calcio

      Roberto Baggio una carriera con il Buddha nel cuore

      Roberto Baggio è uno dei pochissimi calciatori che nel corso della sua carriera ha unito tutti i tifosi, di qualunque squadra. Talento, classe, lealtà, correttezza e sincerità lo hanno accompagnato nel corso di tutta la sua vita dentro e fuori dai campi di calcio. Valori che a volte lo hanno aiutato, altre volte lo hanno penalizzato. Ma la vita va presa così.

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        Roberto Baggio è uno dei pochissimi calciatori che nel corso della sua carriera ha unito tutti i tifosi, di qualunque squadra. Talento, classe, lealtà, correttezza e sincerità lo hanno accompagnato nel corso di tutta la sua vita dentro e fuori dai campi di calcio. Valori che a volte lo hanno aiutato, altre volte lo hanno penalizzato. Ma la vita va presa così. Come l’ha presa lui ormai 33 anni fa, quando ha incontrato il Buddismo. Oggi vive una vita lontano dai riflettori, nella sua Caldogno circondato da persone e cose semplici che riempiono con cuore e anima le sue giornate.

        Una vita in compagnia di Buddha

        Come si manifesta il buddismo nella vita del ‘divin codino’ il suo soprannome in campo per il lungo codino che lo ha accompagnato nel corso della sua carriera?
        Si manifesta in mille diversi modi e ovunque: nei miei rapporti con gli altri, nei miei pensieri, il buddismo c’è sempre. E mi aiuta moltissimo. La vita è una sfida e il buddismo mi ha fatto capire quali sono le cose importanti, quelle vere. Chiunque inizi qualunque percorso deve inevitabilmente prepararsi alle sfide. Alzarsi la mattina è una sfida, praticare la preghiera è una sfida, incoraggiare le persone, fare qualunque attività. All’inizio è tutta una sfida. Le sfide ci insegnano che quella è l’unica maniera in cui possiamo trovare terreno fertile per crescere. L’unico modo per diventare più grandi, per imparare a ricercare dentro di noi quelle capacità che sono lì dormienti“.

        In che cosa è di aiuto essere buddista?

        Il Buddismo è veramente qualcosa di straordinario. Sono più di 33 anni che pratico e non ho mai smesso un giorno. Il Buddismo mi ha regalato la possibilità di ampliare la mia vita, di espandere gli orizzonti, di vedere che ci sono potenzialità infinite. Ogni mattina leggendo una guida di Sensei trovo sempre una verità. Ho sempre trovato un incoraggiamento per seguire la mia fede. La fede è un grande supporto soprattutto nei momenti difficili. Io credo che tutto dipenda da noi, quello che si manifesta nel nostro ambiente dipende da ciò che emaniamo.

        Il calcio le interessa ancora?

        Lo seguo sempre con piacere e attenzione. Il Ct Spalletti sa come lavorare con i ragazzi. Basta che gli venga dato modo e tempo per farlo. In famiglia abbiamo una calciatrice che è mia nipote. Non vado a vedere le sue partite, anche se il calcio femminile è quello che seguo di più in questo momento. Mi piacerebbe andare ma non lo faccio perché sono certo che le creerebbe troppi problemi. Non porta il mio cognome, ma tutti scoprirebbero subito che sono suo zio. E quindi… sai i confronti!?

        Ai giovani, oggi sempre più frastornati, cosa si sente di consigliare?

        Mi sentirei di dire che senza passione non si va da nessuna parte. Il talento è un dono, però per realizzare un sogno servono anche abnegazione, voglia, lavoro, sacrifici e tanto altro. Se mi fermo a pensare quanta vita è già trascorsa a volte mi sorprendo. Gli anni sono volati e mi sembra di averne vissuti la metà. Bisogna godersi ogni istante della vita, perché il valore del tempo è inestimabile. E soprattutto bisogna usare sempre il cuore e donarlo agli altri senza voler niente in cambio, ma solo per il gusto di donare, di condividere.

        Quel rigore sbagliato a Pasadena cosa le ha insegnato?

        In quel momento pensavo di fare la cosa giusta. Il mio sogno da bambino era proprio quello di vincere il mondiale con il Brasile… di fare gol all’ultimo minuto e di far contenti tutti gli italiani in mille modi diversi. Ma erano sogni. E come è finita? Nel modo in cui non avrei mai pensato! Questa è la vita. Cosa mi ha insegnato? Diverse cose. La prima volta che ho incontrato il mio maestro Ikeda, nel 1994 si accosto al mio orecchio e mi disse “vincerai o perderai all’ultimo secondo… “. Mi ha fatto comprendere che è necessario andare fino in fondo, al di là del risultato. Perché è il percorso la cosa più importante. Il fatto di continuare a sfidarsi ad affrontare le difficoltà. Ai giovani suggerisco di continuare a farlo. Perché se non affrontiamo le difficoltà non sapremo mai qual è la nostra potenzialità, il nostro vero valore. Quella è la nostra fortuna, continuare a sfidarsi perché so che domani avrò imparato qualcosa di più.

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          Sport

          “Sono italiana, punto.” Sara Curtis risponde agli insulti razzisti: “Il mio mix culturale è una ricchezza, non una colpa”

          Nuova star del nuoto italiano, Sara Curtis ha battuto lo storico primato nei 100 stile e scelto gli USA per crescere come atleta e come donna. Ma sui social c’è chi la insulta per il colore della pelle. “Essere mulatta non mi rende meno italiana. Mi fanno ribrezzo, dovrebbero rileggere la Costituzione”

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            Non si diventa un simbolo per caso. E Sara Curtis, 18 anni, piemontese di Savigliano, lo sta diventando. Per il talento cristallino, certo, ma anche per la dignità con cui affronta la parte più squallida della notorietà: l’odio. Soprattutto quello razzista.

            Ha appena cancellato un pezzo di storia del nuoto italiano: 53″01 nei 100 metri stile libero, nuovo record nazionale agli Assoluti di Riccione, meglio di quel 53″18 che Federica Pellegrini aveva stampato nel 2016. Ma mentre tutti dovrebbero celebrarla, c’è chi preferisce insultarla. Perché “non sembra italiana”.

            «Sentirmi dire che non sono italiana perché sono mulatta è ripugnante», ha detto al Corriere della Sera Sara, con la lucidità di chi ha già imparato a convivere con certi attacchi. Sua madre è nigeriana, suo padre italiano. E per chi ancora non ha letto la Costituzione, la cittadinanza non si assegna in base al colore della pelle. «Gente ignorante, dovrebbero sapere che tra i requisiti per avere la cittadinanza c’è quello di avere almeno un genitore italiano. Il mio è italiano. E comunque io sono orgogliosa di portare dentro di me due culture diverse. È il mio arricchimento, non certo un limite».

            I commenti più odiosi – nemmeno a dirlo – arrivano dai social. Dove il coraggio spesso coincide con l’anonimato e l’ignoranza galoppa libera: “Quello non è un record italiano, ma nigeriano”, scrivono alcuni. «Frasi che mi fanno ribrezzo, ma per fortuna so farmi scivolare addosso certe cattiverie. Uso l’ironia, non mi faccio avvelenare», replica lei. E con una classe che certi adulti non avranno mai, aggiunge: «Nel mio istituto siamo nove in classe, e solo una ha entrambi i genitori italiani. L’Italia è cambiata, chi la insulta vive fuori dal tempo».

            A far discutere è anche la sua scelta di vita: andrà a studiare e nuotare in America, alla University of Virginia, allenata da Todd DeSorbo, il coach della nazionale USA. Ma chi ha provato a leggere in questa decisione una rinuncia all’italianità ha sbagliato completamente mira. «Non sto andando negli Usa per smettere di essere italiana – chiarisce – ma per migliorarmi. Come persona e come atleta. Il tricolore lo vestirò per sempre, perché sono e resto italiana».

            E non è un addio, ma un salto in avanti. Uno di quelli che ti cambia la vita. «Ci pensavo da settembre. Poi ho capito che i treni passano per un motivo. E se hai il coraggio di salirci, può iniziare qualcosa di straordinario».

            Sara Curtis non ha ancora vent’anni ma ha già battuto record, ricevuto minacce e dato lezioni. Non solo di stile libero, ma di stile, e basta.

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              Calcio

              Napoli impazzisce per lo scudetto: centomila al Plebiscito, fuochi d’artificio e primi feriti

              Dal Maradona al Lungomare, da via Chiaia ai Quartieri Spagnoli: esplode la festa azzurra per il quarto scudetto. Health point presi d’assalto, mezzi pubblici attivi tutta la notte. E il Comune invita i cittadini a “disperdersi” nelle piazze

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                Napoli non dorme, Napoli canta. Napoli oggi è una gigantesca curva sud a cielo aperto. Poco dopo il fischio finale, la città ha indossato il tricolore e si è lanciata in una celebrazione che ha il sapore della liberazione, dell’orgoglio e della pura follia collettiva. Il quarto scudetto è solo il pretesto: quello che conta davvero è il modo in cui viene festeggiato. E Napoli lo fa come nessun’altra.

                Piazza del Plebiscito è diventata il cuore pulsante della festa: già prima della fine della partita si contavano centomila persone. Bandiere, striscioni, fumogeni, cori, lacrime e spumante. La piazza sembrava una marea azzurra, ondeggiante, densa, impaziente di esplodere. E infatti ha esploso tutto: petardi, abbracci, champagne, gioia pura.

                Fuorigrotta, attorno allo stadio Maradona, era già murata dal traffico umano: migliaia e migliaia di tifosi in attesa del segnale per partire con i caroselli. Via Chiaia ha sfoggiato il suo gigantesco tricolore con il numero 4, come una bandiera di conquista che nessuno potrà ignorare. Il Lungomare, invece, ha visto brindisi su brindisi, tra bottiglie stappate e fuochi d’artificio sparati da ogni balcone.

                Ma non è tutto. Perché Napoli si è preparata a questa notte da settimane. Il Comune ha schierato 1800 agenti, 1250 steward, e ha tenuto aperti i mezzi pubblici fino all’alba. Nove health point sono stati attivati in punti strategici della città per affrontare l’inevitabile: alle 22, con la partita ancora in corso, si contavano già 42 feriti, tra cui 10 in codice giallo, con cinque ricoveri ospedalieri.

                La festa è dappertutto. Nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, dove le bancarelle vendono gadget a ritmo di trombe e “Un giorno all’improvviso”. Nelle scale dei palazzi, dove anche chi è troppo anziano per scendere si affaccia e canta. Nelle auto impazzite che girano col clacson bloccato e le bandiere fuori dal finestrino.

                Il Comune, travolto dal successo, ha invitato i cittadini a “concentrarsi anche in altre piazze” per evitare che il Plebiscito diventi ingestibile. Ma è tardi: la festa è già ovunque.

                Per i napoletani, questo scudetto non è solo una vittoria. È una conferma di identità, è un riscatto continuo, è la prova che si può ancora sognare e vincere con stile, e con il cuore. E chi ha avuto la fortuna di esserci stanotte lo racconterà per tutta la vita. Con la voce roca, e il cuore pieno.

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