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Mai così vicini al Sole: il viaggio record della Parker Solar Probe nella corona solare

A 692mila chilometri orari e 982 gradi Celsius, la Parker Solar Probe ha raggiunto un nuovo traguardo nella sua missione iniziata nel 2018. Gli scienziati attendono i dati per svelare i segreti della nostra stella.

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    Il 24 dicembre 2024 entrerà nella storia dell’esplorazione spaziale. La Parker Solar Probe, sonda della Nasa lanciata nel 2018, ha stabilito un nuovo record, avvicinandosi al Sole come nessun veicolo spaziale aveva mai fatto prima: soli 6,1 milioni di chilometri.

    Un’impresa straordinaria resa possibile da un’orbita calcolata con precisione millimetrica. La sonda ha sfruttato l’effetto gravitazionale di Venere per aumentare la propria velocità, raggiungendo l’incredibile cifra di 692mila chilometri orari. Per comprendere la portata di questo dato: è oltre 200 volte più veloce di un aereo passeggeri.

    La Parker Solar Probe non si è limitata a battere record di velocità. Ha volato nella corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera del Sole, affrontando temperature vicine ai 982 gradi Celsius. Eppure, grazie a un avanzatissimo scudo termico, è riuscita a proteggere i suoi strumenti scientifici, garantendo il corretto funzionamento della missione.

    Un viaggio iniziato nel 2018

    Lanciata dalla base di Cape Canaveral, la sonda prende il nome dall’astrofisico Eugene Parker, che nel 1958 teorizzò l’esistenza del vento solare. La missione ha come obiettivo principale quello di studiare da vicino la nostra stella per comprendere fenomeni fondamentali come il riscaldamento della corona solare, la dinamica del vento solare e le eruzioni di particelle cariche che possono influenzare le telecomunicazioni e i sistemi elettrici sulla Terra.

    Dal 2018, la Parker Solar Probe ha effettuato diversi flyby di Venere, utilizzando la gravità del pianeta per spingersi sempre più vicina al Sole. Ogni passaggio ha permesso alla sonda di perfezionare la sua traiettoria, portandola in una posizione mai raggiunta prima.

    Attesa per i dati

    Nonostante il traguardo storico, il vero lavoro della missione inizia ora. La sonda ha raccolto dati cruciali durante il suo passaggio ravvicinato e, vista l’enorme distanza dalla Terra, il primo segnale radio con la conferma ufficiale del successo è atteso proprio in queste ore. Gli scienziati della Nasa sperano di ricevere informazioni dettagliate che potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione del Sole e dei suoi processi.

    Perché studiare il Sole?

    La nostra stella non è solo la fonte primaria di energia per il sistema solare, ma anche un elemento fondamentale per la vita sulla Terra. Tuttavia, il Sole è anche responsabile di fenomeni che possono avere conseguenze devastanti. Le tempeste solari, ad esempio, possono danneggiare i satelliti, interrompere le comunicazioni radio e causare blackout elettrici. Comprendere meglio questi eventi è essenziale per prevederli e mitigarne gli effetti.

    Oltre alla scienza pratica, la missione Parker Solar Probe rappresenta un progresso tecnologico e umano straordinario. Affrontare condizioni estreme come quelle della corona solare richiede non solo una progettazione all’avanguardia, ma anche una conoscenza approfondita delle leggi fisiche che governano il nostro universo.

    Un futuro sempre più vicino al Sole

    L’ultimo flyby della sonda non è la fine della missione. La Parker Solar Probe continuerà a orbitare attorno al Sole, avvicinandosi ulteriormente con ogni passaggio. Gli scienziati prevedono che entro il 2025 la sonda possa raggiungere una distanza di appena 5,9 milioni di chilometri dalla superficie solare.

    Questo storico avvicinamento non è solo un tributo alla capacità dell’uomo di superare i propri limiti, ma anche un invito a guardare verso il cielo con rinnovato stupore. La Parker Solar Probe ci ricorda che, anche in un’epoca di sfide globali, lo spirito di scoperta e l’aspirazione a esplorare l’ignoto restano tra le più grandi conquiste dell’umanità.

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      Tech

      Caro chatbot consumi troppo. L’impatto ambientale dell’AI e dei modelli linguistici

      Quanta acqua e quanta elettricità servono per alimentare l’intelligenza artificiale? Ecco i numeri del consumo globale dei modelli generativi.

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        L’intelligenza artificiale – AI – sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare e comunicare, ma quanto costa in termini ambientali? Secondo Sam Altman, Ceo di OpenAI, una singola richiesta a ChatGPT consuma circa 0,34 wattora di energia, più o meno quanto una lampadina ad alta efficienza per pochi minuti. Inoltre, ogni query utilizza 0,000085 galloni d’acqua, cioè un quindicesimo di cucchiaino. Ma se questi numeri sembrano irrilevanti su scala individuale, la situazione cambia drasticamente se si moltiplicano per centinaia di milioni di utenti.

        Con 800 milioni di richieste giornaliere, il consumo totale raggiunge 272 milioni di wattora al giorno, equivalenti a 272.000 kWh e a 257.000 litri d’acqua. A titolo di paragone, il prelievo idrico annuo italiano per uso potabile supera 9,14 miliardi di metri cubi, ovvero 25 miliardi di litri al giorno. Se confrontiamo questi dati, il consumo di AI appare più contenuto, ma resta significativo per un’unica tecnologia.

        L’energia dei modelli linguistici

        Una recente ricerca pubblicata su arXiv ha cercato di stimare l’impatto energetico dei grandi modelli linguistici (LLM). Alcuni sistemi avanzati, come ChatGPT-o3 e DeepSeek-R1, possono arrivare a 33 Wh per un prompt lungo, un valore 70 volte superiore rispetto ai modelli più efficienti come GPT-4.1 nano. Se si considera una media di 700 milioni di query giornaliere, l’impatto annuale dell’AI potrebbe essere paragonabile al fabbisogno energetico di 35.000 abitazioni statunitensi, contribuendo a 1,5 milioni di tonnellate di acqua evaporata e a emissioni di CO₂ tali da richiedere un’intera foresta grande quanto Chicago per essere assorbite.

        Verso un’AI più sostenibile?

        Con la continua crescita delle tecnologie AI, il tema della sostenibilità diventa cruciale. Se la superintelligenza è il futuro, come sostiene Altman, allora l’AI dovrà trovare soluzioni per ridurre il suo impatto ecologico. Intanto, gli sviluppatori stanno già lavorando per ottimizzare i consumi energetici e rendere l’intelligenza artificiale più efficiente. Perché, se oggi consumiamo una lampadina per ogni richiesta, domani potremmo farlo in modo ancora più intelligente (e sostenibile). La sfida è aperta!

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          Telecamere amiche o spie in salotto? Il lato oscuro della videosorveglianza domestica

          Sempre più diffuse per proteggere casa e giardino, molte telecamere connesse a Internet possono trasformarsi in occhi indiscreti puntati sulla nostra vita.

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            Le telecamere che installiamo per sentirci più sicuri – videosorveglianza – sono spesso le stesse che ci espongono a rischi invisibili ma reali. Basta una configurazione sbagliata, una password lasciata di default o un dispositivo economico privo di adeguate misure di sicurezza, e chiunque là fuori nel mondo può accedere alle immagini della nostra quotidianità. E non serve nemmeno essere hacker esperti. Esistono motori di ricerca come Shodan che indicizzano dispositivi connessi alla rete, comprese le telecamere domestiche. Basta copiare un indirizzo IP in un lettore video e si aprono finestre su cucine, salotti, cortili, uffici, persino stanze da letto.

            Ci spiano anche nella stanza da letto

            In Italia si stima che oltre 70mila dispositivi siano esposti a questo tipo di vulnerabilità. Il problema è che spesso non ce ne accorgiamo, perché non riceviamo segnali evidenti e nessuno ci avvisa. Le immagini possono essere registrate, condivise, vendute, e diventare materiale per ricatti o violazioni della privacy. Alcuni casi giudiziari hanno già portato a condanne, ma il fenomeno resta sommerso. Per proteggersi è fondamentale cambiare le credenziali di accesso, aggiornare regolarmente il software del dispositivo, disattivare l’accesso remoto se non necessario e scegliere prodotti con standard di sicurezza elevati. La consapevolezza è il primo passo per evitare che la nostra telecamera diventi l’occhio di qualcun altro.

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              Tech

              L’intelligenza artificiale scrive le email spam meglio degli umani: ora è il 51% del totale

              Il dato arriva da uno studio congiunto della Columbia University e della University of Chicago, realizzato insieme all’azienda di sicurezza Barracuda. E fa impressione: nel 2022, solo il 10% delle email di spam era generato da un algoritmo. Un anno dopo erano il 40%. Ora, siamo al 51%.

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                I ricercatori parlano chiaro: «La maggior parte delle email che finiscono nella cartella spam è oggi con ogni probabilità stata scritta da un modello linguistico di grandi dimensioni». Che vuol dire? Che dietro quelle offerte sospette, le promesse di vincite clamorose, i messaggi fasulli delle banche o le truffe romantiche non c’è più un hacker maldestro con scarsa padronanza dell’inglese. C’è ChatGPT, o uno dei suoi cugini.

                Spam sempre più furbo

                Il vantaggio è evidente: le email create dall’IA sono formalmente impeccabili. Niente refusi, grammatica in ordine, toni professionali. Risultato? I sistemi automatici di rilevamento faticano di più a identificarle come truffe. Peggio: sembrano perfino più credibili delle email reali. Il confine tra legittimo e fraudolento diventa più sottile, e questo è un problema serio.

                L’altro aspetto inquietante è la velocità con cui si sta evolvendo il fenomeno. Gli spammer usano i modelli linguistici non solo per scrivere più velocemente, ma anche per “addestrare” i propri messaggi: cercano sinonimi, modificano le frasi, usano la parafrasi per evitare le blacklist. È una forma di ingegneria linguistica applicata alla truffa. E funziona.

                Serve più formazione, non solo filtri

                Secondo Barracuda, non bastano più i filtri antispam: servono strategie nuove. «La formazione resta la difesa più efficace» dice l’azienda. «Bisogna investire su corsi di sicurezza per i dipendenti, sensibilizzarli sulle minacce più recenti, insegnare loro a riconoscere i segnali di pericolo e a segnalare le email sospette».

                In altre parole: non possiamo più fidarci dell’aspetto di un’email per giudicarla sicura. L’intelligenza artificiale sa scrivere troppo bene. E dietro quel testo perfetto, oggi più che mai, potrebbe nascondersi una truffa.

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