Sport
Re Carlo Ancelotti alla conquista della Seleção
Dopo cinque Champions League e 31 trofei in cinque Paesi, Carlo Ancelotti diventa il nuovo commissario tecnico del Brasile. La missione è chiara: riportare la squadra pentacampione sul tetto del mondo, a vent’anni dall’ultimo trionfo.

Carlo Ancelotti ha finalmente abbracciato una delle sfide più affascinanti della sua carriera: diventare commissario tecnico del Brasile. La sua nomina segna un momento storico per la Seleção, che non vince il Mondiale dal 2002 e ha un disperato bisogno di tornare ai fasti di un tempo. La sua esperienza lo rende l’uomo perfetto per questo incarico. Re Carlo annovera ben cinque Champions League vinte, 31 titoli complessivi conquistati in cinque Paesi diversi—Italia, Spagna, Inghilterra, Germania e Francia. E naturalmente una reputazione di allenatore capace di gestire i grandi campioni e costruire squadre vincenti.
La sua storia con il Brasile ha radici lontane
Nel 1994, quando era il vice di Arrigo Sacchi, fu testimone della finale mondiale persa ai rigori contro i verdeoro. Ora, a 66 anni, avrà l’occasione di chiudere il cerchio e cercare la rivincita, guidando lui stesso la squadra più iconica del calcio internazionale. Il suo compito non sarà semplice. La Seleção sta vivendo un periodo difficile, con prestazioni altalenanti e un’Argentina dominante che ha recentemente inflitto una pesante sconfitta per 4-1. Il Brasile è quarto nelle qualificazioni sudamericane, superato da Ecuador e Uruguay, e deve risalire rapidamente la classifica per assicurarsi un posto al prossimo Mondiale.
Ednaldo Rodrigues, presidente della CBF, aveva già provato a ingaggiarlo nel 2023, ma solo ora è riuscito a portarlo a bordo. La sua dichiarazione non lascia dubbi: “Il più grande allenatore del mondo guiderà la più forte nazionale del pianeta”. La missione è chiara: riportare il Brasile sul tetto del mondo, in un torneo che si svolgerà negli Stati Uniti, in Messico e in Canada. Un ritorno agli scenari americani che potrebbe portare la squadra a rivivere la magia di vent’anni fa.
Dieci milioni di euro netti più bonus
Ancelotti ha firmato un contratto annuale da dieci milioni di euro netti, con un bonus di cinque milioni in caso di vittoria del Mondiale e la possibilità di estendere il rapporto fino al 2030. Il suo staff sarà composto da figure di fiducia, tra cui il figlio Davide e Francesco Mauri, suoi vice al Real Madrid. Si parla anche della possibile collaborazione con Cafu e Kaká, ma per ora restano ipotesi giornalistiche. La grande incognita riguarda il luogo in cui Ancelotti vivrà. Alcuni lo vorrebbero in Brasile, mentre altri ritengono più logico un trasferimento in Inghilterra, più vicino ai principali campionati europei da cui provengono la maggior parte dei convocati.
Il nuovo commissario tecnico ha già iniziato a prendere contatti con i giocatori chiave, tra cui Casemiro, ex colonna del centrocampo del Real Madrid ora al Manchester United, e Neymar, che torna al Santos ma è fermo per infortunio. Tra i talenti su cui punterà figurano Vinicius Jr., Rodrygo ed Endrick del Real Madrid, oltre a Raphinha del Barcellona. Il debutto è fissato per il 5 giugno contro l’Ecuador, seguito dalla sfida contro il Paraguay l’11 giugno.
Per Ancelotti, questa sarà una sfida completamente nuova. Abituato ai club e ai tornei europei, dovrà ora adattarsi alla pressione di un’intera nazione che vive il calcio come una religione. La sua grande esperienza nella gestione dei campioni potrebbe essere l’elemento decisivo per riportare la Seleção alla gloria. E mentre il Brasile attende di scoprire se il maestro del calcio saprà risvegliare l’anima vincente della squadra, Ancelotti ha già lanciato il suo messaggio: “Vi aspetto tutti”.
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Sport
La coppia più caliente del tennis italiano, Fabio Fognini e Flavia Pennetta, fa capolino agli Internazionali di Roma
Un’apparizione che ha emozionato il pubblico durante gli Internazionali d’Italia. Tra ricordi intimi, dichiarazioni sorprendenti e un addio carico di emozioni, ecco tutto quello che c’è da sapere su questo storico momento.

Fognini e la Pennetta non sono solo due campioni del tennis italiano, ma anche una delle coppie più amate e passionali dello sport. Sposati dal 2016 e genitori di tre figli – Federico, Farah e Flaminia – hanno sempre vissuto la loro storia con intensità, senza mai nascondere la loro intesa anche sotto le lenzuola. In una vecchia intervista, Fognini aveva raccontato con disinvoltura:
“Facciamo sesso 12-15 volte a settimana, anche durante i tornei. Lo consiglio anche prima della partita”.
Una dichiarazione che fece il giro del web, contribuendo a costruire la loro immagine di coppia affiatata e senza filtri.
Le lacrime di lei agli Internazionali d’Italia
L’ultima apparizione di Fabio Fognini agli Internazionali di Roma ha segnato un momento storico e commovente. Il tennista ligure, 37 anni, ha giocato il primo turno contro il britannico Jacob Fearnley, perdendo 6-2, 6-3. Ma il risultato è passato in secondo piano: lo stadio ha applaudito con affetto un campione che ha dato tanto al tennis italiano. Sugli spalti, Flavia Pennetta non ha trattenuto le lacrime. L’ex campionessa, oggi 43enne, ha condiviso su Instagram dolci parole per il marito, accompagnate da una foto e dalla didascalia: “Un amore così grande”.
Le parole d’addio di Fognini: “Ci vediamo sui campi”
Nel suo discorso post-partita, Fognini ha ringraziato Roma e i tifosi:
“È stato un bellissimo viaggio. Non mi sono ancora ritirato, giocherò fino a fine stagione. Poi deciderò con calma con la mia famiglia”.
Il tennista ha parlato anche della Coppa Davis, ammettendo che resterà per lui una “ferita aperta”. Nonostante i momenti difficili, Fognini si è detto orgoglioso della carriera vissuta:
“Da piccolo non avrei mai pensato di arrivare tra i top ten. Esco con il sorriso sulle labbra”.
Una storia d’amore, di sport e di passione
Fabio e Flavia sono la dimostrazione che si può conciliare carriera sportiva di alto livello con una relazione intensa e duratura. Le loro dichiarazioni sul sesso, l’affetto mostrato pubblicamente e la commozione del ritiro hanno conquistato il cuore dei fan. Non solo atleti, ma anche icone di un amore autentico che continua a ispirare.
Calcio
Grazie Inter, grazie Barcellona: la notte di San Siro che ha incantato il calcio europeo
Una partita leggendaria, da standing ovation planetario. L’Inter vince 4-3 e vola in finale, dopo due ore di dramma calcistico, emozioni surreali e un gol da centravanti di Acerbi al 93’. Una semifinale che resterà negli annali.

Se il calcio fosse una disciplina olimpica dell’anima, Inter-Barcellona sarebbe la finale dei sogni. Ma a volte i sogni diventano veri, e lo stadio diventa teatro, tempio, arena, incubo e redenzione insieme. Nella notte di San Siro, la Champions League ha vissuto una delle sue partite più belle di sempre, e non sono solo i tifosi interisti a dirlo. Lo dice la BBC, che ha rilanciato le parole di Alan Shearer: “Forse la semifinale più epica della storia”. Lo dice The Telegraph, che ne elenca sei motivi. E lo dice Le Figaro, parlando di “sfida leggendaria”. Il calcio europeo si è fermato per assistere a una battaglia campale, un 4-3 da brividi, il seguito perfetto del 3-3 dell’andata al Camp Nou. Tredici gol in due partite. Tredici lampi che resteranno impressi nella memoria.
E se c’è una richiesta unanime, è questa: UEFA, non fateci aspettare altri 15 anni per rivedere Inter-Barcellona in semifinale. Perché da Mourinho contro Guardiola nel 2010 a Inzaghi contro Xavi oggi, ogni volta che queste due squadre si incrociano in Europa, succede qualcosa che travolge schemi e statistiche. Succede il calcio allo stato puro. Succede la follia.
San Siro, pieno come non mai, ha trattenuto il respiro fino all’ultimo minuto. Al 93′, quando tutto sembrava perduto, è arrivato l’uomo inatteso: Francesco Acerbi, 37 anni, difensore di mestiere, bomber per un attimo. Si è ritrovato in area come un attaccante navigato, ha controllato di destro e ha segnato di sinistro, con l’eleganza di chi non dovrebbe trovarsi lì e invece ci sta benissimo. Un gol da volpe, come lo ha definito L’Équipe, che ha rimandato tutto ai supplementari. Da lì, altri trenta minuti di apnea collettiva, un’altalena emotiva in cui è successo tutto, e il contrario di tutto.
Nel delirio, c’è spazio anche per un paradosso: l’uomo partita è un portiere che ha subito tre gol. Yann Sommer, 35 anni, svizzero, è stato semplicemente magico. Le sue parate su Lamine Yamal al 76’ e al 116’, quella su Eric Garcia al 57’, il riflesso su Raphinha al 119’: interventi da poster. Più che un portiere, un portale antipanico, l’ultimo baluardo in una difesa spesso lasciata scoperta. Eppure Sommer non ha tremato. Ha tenuto. E ha permesso all’Inter di restare viva.
Sul versante opposto, resta il rimpianto di un Barcellona meraviglioso e incompiuto, capace di dominare a tratti, ma punito da un’Inter che si rifiuta di morire. Lamine Yamal, a 16 anni, ha fatto impazzire la fascia, è stato “il divino maranza” come lo ha battezzato qualcuno, ma è uscito con le cuffie rosa in testa e la delusione sulle spalle. Marca titola: “Mancava solo un minuto”, con la foto del prodigio catalano stremato a terra. El Mundo Deportivo saluta con un “Addio epico”, mentre Sport si spacca tra le lacrime e l’orgoglio.
Ma il pathos non ha confini. Persino la CNN parla di “puro dramma”, The Athletic di “sensazionale”, Olé celebra Lautaro Martinez, sempre decisivo nelle notti pesanti. E A Bola, giornale portoghese, azzarda: “Se il calcio fosse esistito nel Cinquecento, questa partita l’avrebbe dipinta Leonardo da Vinci”. Improbabile, forse. Ma quanto ci piacerebbe crederlo.
L’Inter, nel suo spirito più autentico, quello della “pazzia” trasformata in identità, conquista così una finale di Champions che mancava dal 2010, anno dell’ultima cavalcata vincente. Ma questa è un’altra storia, scritta da altri uomini. Quella di oggi è la storia di una squadra che non si arrende mai. Che va sotto. Che pareggia. Che trema. Che segna. Che prende gol. Che si rialza. E che alla fine vince.
E se oggi in Europa si parla dell’Inter come del miglior spot per il calcio, non è solo per il risultato. È per lo spettacolo puro, per il ritmo forsennato, per l’adrenalina collettiva. È per aver riportato tutti a quello stato d’animo primordiale in cui la partita è più grande del torneo, del business, della tattica. Dove conta solo correre, segnare, crederci.
La finale ora aspetta. Ma intanto, una cosa è certa: questa semifinale resterà. Nei ricordi, nei video, nei titoli dei giornali, nei bar di tutta Europa. Perché Inter-Barcellona, 4-3, è stato calcio allo stato selvaggio. E ogni tanto, il calcio deve ricordarsi di essere anche questo.
Sport
Perché la Ferrari è bianca e blu al Gran Premio di Miami: il look inedito che accende la Formula 1
In occasione del GP di Miami, la Ferrari rompe con la tradizione e si presenta in pista con una livrea divisa a metà: davanti Rosso Ferrari, dietro blu e bianco. Non è la prima volta che Maranello sperimenta nuovi colori, ma mai così vistosamente. Una scelta che mescola spettacolo, strategia e un pizzico di nostalgia.

Il Gran Premio di Miami non è solo una tappa del mondiale: è una sfilata, uno show, una celebrazione della Formula 1 in versione americana. E per l’occasione, la Ferrari ha deciso di vestirsi a festa. Ma non con il consueto Rosso Corsa: stavolta sulla SF-25 brillano il bianco e l’azzurro, in una livrea tanto scenografica quanto inedita, che ha già fatto discutere i puristi.



Il frontale resta fedele al DNA della Scuderia, ma la parte posteriore sfuma nel blu e nel bianco, colori che celebrano la partnership con HP, sponsor che festeggia proprio a Miami il suo primo anniversario con Maranello. A presentare la nuova veste, Charles Leclerc, Lewis Hamilton e il Team Principal Fred Vasseur, svelando l’auto in mezzo a una folla festante. Sul telo che la copriva, i messaggi dei tifosi, scritti nell’ambito dell’iniziativa Messages of Forza, quasi a voler caricare di emozione un gesto altamente simbolico.
Ma la Ferrari che cambia colore non è una novità assoluta. Già un anno fa, sempre a Miami, il Cavallino aveva giocato con l’azzurro — nelle sue due sfumature ufficiali: La Plata, più chiaro, e Dino, più intenso — tingendo non solo la monoposto ma anche le tute dei piloti. Un colore che fa parte della tradizione della scuderia, anche se di solito resta in secondo piano dietro al rosso iconico.
E poi c’è il giallo. Il Giallo Modena, tanto caro a Enzo Ferrari, che rimanda alle radici emiliane del marchio e che ogni tanto riappare, soprattutto al GP di Monza, come già accaduto nel 2022 e nel 2023. Non è solo estetica: è un omaggio alla storia. Lo stesso vale per il Rosso Amaranto, scelto nel 2020 per celebrare le 1000 gare in Formula 1 al Mugello, una tonalità che rievocava le prime corse degli anni ’50.
A Las Vegas, nel 2023, la Ferrari aveva scelto una livrea che mescolava rosso e bianco, richiamando gli anni ’70 e ’80 — decenni d’oro per la scuderia negli Stati Uniti. Stavolta, però, a Miami, il salto è più audace: la divisione visiva tra le due metà della vettura è netta, quasi grafica, e si impone sullo sfondo di un evento che è già di per sé una festa dello sfarzo.
Dietro alla scelta, ovviamente, c’è anche la strategia. In un mondo dove immagine, marketing e performance convivono sempre più strettamente, una Ferrari diversa serve a ribadire una presenza forte, a colpire l’occhio e a far parlare. E se Miami è la vetrina perfetta per farlo, perché non sfruttarla fino in fondo?
Ora resta da vedere se questo nuovo look porterà anche fortuna. Perché va bene il colore, va bene lo spettacolo, ma alla fine quello che conta — in pista e fuori — è sempre e solo una cosa: la vittoria. E lì, come sempre, a parlare dovrà essere il cronometro.
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