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Trump superstar: a Hong Kong si ride (forte) del presidente, a suon di opera lirica

C’è chi lo vorrebbe a processo. E chi lo applaude cantando. In Cina, l’ex presidente Usa è diventato uno show pop fra travestimenti, droni e citazioni grottesche. E indovina un po’? Piace ai giovani.

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    A Hong Kong non si parla d’altro: l’opera cantonese più vista dell’anno non è su un antico imperatore o un’epica guerra. È su Donald Trump. Anzi, sul “presidente”, come da copione. Tre ore e mezza di show ininterrotto, due attori che si dividono il ruolo – uno serio, uno grottesco – e un pubblico che scoppia a ridere ogni sera.

    Il titolo è già un colpo basso: “Trump, i gemelli del presidente”. Dentro c’è di tutto: la telefonata con Zelensky, gli attacchi a Harvard, le uscite surreali su Musk, l’attentato in Pennsylvania. Il tutto condito da costumi sgargianti, battute in rima e scenografie che sembrano uscite da un cartone animato. L’opera è costruita con gli stilemi tradizionali del teatro cantonese, ma si muove come un musical da off-Broadway: veloce, sfacciata, modernissima.

    Il pubblico, soprattutto i giovani, impazzisce. Perché il presidente, in fondo, è perfetto per il ruolo. Non solo politico, ma performer da reality, caricatura vivente. Edward Li Kui-Ming, compositore 65enne e regista dello spettacolo, lo dice senza mezzi termini: “Trump è un personaggio da palcoscenico, e io faccio opera. Era destino”.

    E così, mentre negli Stati Uniti si discute se il presidente sia ancora un leader o una minaccia, a Hong Kong si ride. Forte. E lo si fa con la vecchia opera cantonese, quella che sembrava sparita e che ora si prende la scena. Grazie a Trump. O meglio: ai suoi due gemelli teatrali, che cantano, danzano e fanno a pezzi la serietà con cui l’Occidente lo prende.

    Trump superstar. Ma solo nel teatro.

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      Trump oltre ogni limite: l’attacco a Rob Reiner anche davanti alla morte scandalizza persino i repubblicani

      La morte di Rob Reiner e della moglie Michele, uccisi dal figlio a Los Angeles, è cronaca. A far esplodere il caso politico è però il messaggio di Donald Trump: un finto cordoglio trasformato in un attacco feroce, pieno di insulti e ossessioni personali. Un’uscita che non solo indigna i democratici, ma viene giudicata inaccettabile anche da esponenti repubblicani, costretti a prendere le distanze da un presidente incapace di fermarsi nemmeno davanti alla morte.

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        La tragedia è chiara, verificata, raccontata. Rob Reiner e la moglie Michele sono stati uccisi dal figlio nella loro casa di Los Angeles. Una vicenda drammatica, che avrebbe richiesto silenzio, rispetto, misura. Donald Trump ha scelto invece un’altra strada: usare la morte come palcoscenico personale.

        Il “cordoglio” che diventa insulto
        Sul suo social Truth, il presidente americano ha pubblicato un messaggio che formalmente si apre con una frase di circostanza, ma che in poche righe si trasforma in un attacco violento. Reiner viene definito “paranoico”, “ossessionato”, affetto da una presunta “sindrome da squilibrio di Trump”, arrivando a suggerire che la sua morte sia collegata alla rabbia che avrebbe “provocato negli altri”.

        Un linguaggio che non ha nulla di istituzionale e che scavalca anche i precedenti eccessi trumpiani: non è più polemica politica, è accanimento postumo.

        La morte come pretesto narrativo
        Il punto non è lo scontro ideologico tra Trump e Reiner, noto da anni. Il regista è stato una delle voci più critiche del trumpismo culturale e politico. Ma qui il bersaglio non è un avversario vivo, in grado di rispondere: è un morto. E la tragedia familiare diventa un pretesto per ribadire la centralità del presidente, la sua ossessione per chi lo ha contrastato, la necessità di riscrivere ogni evento in funzione di sé.

        Un meccanismo che molti osservatori, anche conservatori, hanno definito “indegno del ruolo presidenziale”.

        Il gelo dei repubblicani e le prese di distanza
        Ed è qui che il caso esplode davvero. Perché questa volta non sono solo i democratici a reagire. Diversi esponenti repubblicani, parlamentari e commentatori vicini al partito, hanno parlato apertamente di “parole inaccettabili”, “uscita vergognosa”, “mancanza totale di umanità”. C’è chi ha ricordato che la libertà di critica politica non può mai giustificare l’assenza di rispetto davanti a una morte violenta, soprattutto quando arriva da un presidente in carica.

        Non una difesa compatta, quindi, ma imbarazzo, silenzi pesanti e prese di distanza che segnano una frattura evidente.

        Un precedente che resta
        Trump non ha colpito solo la memoria di Rob Reiner. Ha colpito l’idea stessa di limite. Ha dimostrato che, nel suo racconto del mondo, non esiste un momento in cui fermarsi, nemmeno davanti a un lutto, nemmeno davanti a un omicidio.

        Ed è forse per questo che, per una volta, anche una parte del suo stesso campo ha scelto di dire basta.

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          Fabio Fazio annuncia una serata speciale di Che Tempo che Fa tutta per Ornella: evento dedicato dal 18 gennaio

          Fabio Fazio rivela che il 18 gennaio Che Tempo che Fa tornerà con una serata completamente dedicata a Ornella. Un appuntamento speciale, preparato durante le vacanze, che il conduttore definisce “per noi molto significativo” e che punta a trasformarsi in un vero evento televisivo.

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            Fabio Fazio accende l’attesa con un annuncio che ha subito fatto rumore tra pubblico e addetti ai lavori. Il 18 gennaio Che Tempo che Fa tornerà in onda con una serata interamente dedicata a Ornella. Non una semplice ospitata, ma un vero evento costruito con largo anticipo e con un lavoro che, come ha spiegato lo stesso conduttore, proseguirà anche durante le vacanze. Una dichiarazione che trasforma il ritorno del programma in un appuntamento già carico di aspettative.

            L’annuncio in diretta che spiazza tutti
            «Vi voglio dire che stiamo immaginando una serata di Che Tempo che Fa totalmente dedicata a Ornella. Il 18 gennaio, quando ricominceremo con il programma. Lavoreremo durante le vacanze per costruire questo piccolo evento, per noi molto significativo». Le parole di Fabio Fazio hanno il tono di chi non parla di una semplice puntata, ma di un progetto pensato, curato e vissuto come qualcosa di speciale. Un annuncio che ha subito dato il via al tam tam sui social.

            Una serata evento costruita durante le vacanze
            Colpisce soprattutto un dettaglio: la decisione di lavorare durante le vacanze per preparare l’appuntamento. Un’indicazione chiara di quanto la puntata sia considerata centrale nella ripartenza del programma. Non un riempitivo di stagione, ma una dichiarazione d’intenti sul tipo di racconto che Che Tempo che Fa vuole portare in onda nel nuovo ciclo. Un tributo costruito con calma, senza fretta, con l’idea di rendere quella serata diversa dalle altre.

            Il ritorno del programma e l’effetto attesa
            Il 18 gennaio segnerà quindi non solo la ripartenza di Che Tempo che Fa, ma anche l’ingresso diretto in una dimensione speciale, emotiva, simbolica. Ornella diventa il fulcro della serata, il centro di un racconto che promette di andare oltre la classica intervista. Il pubblico, intanto, è già in modalità conto alla rovescia.

            Tra aspettative, curiosità e voglia di rivedere il programma in una versione più “evento”, la mossa di Fazio centra l’obiettivo: trasformare una data di palinsesto in un appuntamento da cerchiare in rosso. Il 18 gennaio non è più solo un ritorno in onda. È già diventato una serata speciale.

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              Nella redazione di Libero scoppia il taxi-gate: tra buoni, sicurezza serale e budget saltato

              Non è l’uscita di Daniele Capezzone a tenere banco a Libero, ma una vicenda interna che ha acceso tensioni tra colleghi: buoni taxi concessi per motivi di sicurezza, budget sforato e improvviso stop. Da lì una raffica di mail, proteste e nervi sempre più scoperti.

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                Altro che crisi delle copie o addii eccellenti. Nella redazione milanese di Libero, in questi giorni, il vero argomento fisso non è l’uscita di Daniele Capezzone. A dominare le conversazioni, i corridoi, le chat e perfino le scrivanie è il cosiddetto taxi-gate. Una storia nata come misura di sicurezza e trasformata in poche ore in un caso interno carico di tensioni, malumori e accuse incrociate.

                Il caso che agita le stanze di Libero
                Tutto parte dai turni serali. Un gruppo di giornaliste, preoccupate per i rientri notturni a Milano, chiede all’azienda di poter usufruire dei buoni taxi per motivi di sicurezza. La richiesta viene accolta, nero su bianco, con un chiarimento preciso: non un benefit, ma una misura legata esclusivamente alla tutela personale. Una decisione che inizialmente sembra mettere tutti d’accordo, almeno sulla carta.

                Buoni taxi per sicurezza, non per benefit
                Il punto chiave, ribadito anche internamente, è proprio questo: i buoni non sono un premio, né un privilegio, ma uno strumento straordinario per coprire una fascia oraria considerata delicata. Una distinzione che dovrebbe evitare polemiche, ma che invece finisce per accendere ancor di più la miccia. Perché, nel giro di poco tempo, qualcosa nei conti non torna.

                Il budget sforato e il dietrofront
                Qualcuno, a quanto risulta, sfonda il tetto di spesa stabilito. Il budget salta e l’azienda è costretta a fare un passo indietro sulla cifra concordata. Da qui nasce il vero cortocircuito: ciò che era stato autorizzato per ragioni di sicurezza viene ridimensionato, rivisto, rimesso in discussione. Un dietrofront che lascia strascichi immediati e riapre tutte le tensioni che sembravano sopite.

                Mail, proteste e nervi tesi
                Da quel momento partono le mail. Tante. Le proteste si moltiplicano, i toni si irrigidiscono, i nervi si scoprono. Il taxi-gate diventa il centro di una piccola tempesta interna che si allarga giorno dopo giorno. In redazione si parla quasi solo di questo, mentre tutte le altre questioni, perfino quelle più pesanti, finiscono in secondo piano. Il clima, raccontano, è quello delle settimane che precedono una resa dei conti: formalmente tutto regolare, ma sotto la superficie la tensione si taglia con il coltello.

                Il risultato è un paradosso tutto mediatico: mentre fuori si discute di palinsesti, politica e grandi manovre editoriali, dentro Libero a catalizzare l’attenzione è una vicenda fatta di turni serali, sicurezza e conti che non quadrano. Una storia che continua ad allungare ombre e a produrre strascichi, nel silenzio ufficiale e nel rumore costante dei corridoi.

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