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Turetta, doppio ricorso in appello: ergastolo contestato da accusa e difesa

Filippo Turetta, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, è al centro di un doppio appello. La difesa punta a ridurre la pena per la collaborazione dell’imputato, mentre la procura contesta l’esclusione delle aggravanti. In gioco non è solo la pena, ma il senso simbolico di una sentenza che ha segnato l’Italia.

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    Due appelli, un solo processo, ma letture opposte di ciò che è accaduto quella tragica sera dell’11 novembre 2023. Da un lato, la difesa di Filippo Turetta chiede di rivedere la condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’assise di Venezia, sostenendo che non ci fu premeditazione e che vanno concesse attenuanti per la collaborazione prestata e il comportamento processuale dell’imputato. Dall’altro, la procura di Venezia contesta la stessa sentenza ma da prospettiva opposta, chiedendo che vengano riconosciute anche le aggravanti della crudeltà e dello stalking, escluse in primo grado.

    Il risultato è un paradosso giudiziario: la sentenza più severa del nostro ordinamento – l’ergastolo – non basta né all’accusa né alla difesa, che si sono entrambe appellate, pur per motivi diametralmente opposti.

    Il ricorso della difesa di Turetta, depositato ieri dall’avvocato Giovanni Caruso, punta tutto sull’assenza di premeditazione. Secondo la tesi difensiva, l’uccisione di Giulia Cecchettin non sarebbe stata pianificata, ma sarebbe maturata in un contesto di “crisi relazionale”. A sostegno della richiesta di attenuanti generiche, la difesa sottolinea il comportamento collaborativo dell’imputato: l’ammissione dei fatti, la descrizione dettagliata della dinamica dell’aggressione, e il successivo rientro volontario in Italia dopo la fuga in Germania.

    Una strategia che punta evidentemente a far cadere l’ergastolo, convertendolo in una pena detentiva con termine certo, che potrebbe permettere – in caso di ulteriori attenuanti e buona condotta – un percorso carcerario diverso e un futuro in libertà, seppure lontano nel tempo.

    Ma la partita non si gioca solo sul fronte difensivo. Proprio ieri, la Procura generale di Venezia ha a sua volta presentato ricorso contro la sentenza emessa lo scorso dicembre, puntando il dito contro ciò che ritiene una grave sottovalutazione delle aggravanti. La Corte d’assise, pur comminando l’ergastolo, aveva infatti escluso due aggravanti pesantissime: quella della crudeltà, per le modalità dell’uccisione, e quella dello stalking, per il comportamento reiterato e ossessivo nei confronti della vittima nelle settimane precedenti.

    Secondo i magistrati, le prove acquisite avrebbero dovuto portare a un giudizio più netto anche su questi punti. Il ricorso, in questo caso, non punta a inasprire la pena (l’ergastolo resta il massimo previsto dalla legge), ma a rafforzarne il significato morale e giuridico, rendendo inequivocabile la natura del gesto. Una mossa che ha anche una valenza pubblica e simbolica, in un Paese scosso da femminicidi sempre più frequenti, e che guarda a questo processo come a un banco di prova per la giustizia.

    Nel frattempo, Filippo Turetta resta detenuto nel carcere di Verona, in regime di alta sorveglianza. Dal giorno del suo arresto, avvenuto il 19 novembre 2023 in Germania dopo una fuga durata una settimana, il giovane ha sempre mantenuto un comportamento definito “passivo ma collaborativo” dagli operatori penitenziari. Nessun gesto di rottura, nessuna dichiarazione pubblica, ma nemmeno segni di pentimento espliciti.

    Sul piano giuridico, ora sarà la Corte d’assise d’appello a dover valutare entrambe le richieste. Da un lato quella della procura, che punta a un rafforzamento della condanna anche sul piano delle motivazioni e del riconoscimento delle aggravanti. Dall’altro, quella della difesa, che mira a rimuovere l’etichetta della premeditazione e ad alleggerire la pena finale.

    Al centro di tutto, Giulia Cecchettin, 22 anni, uccisa da chi diceva di amarla. Il suo nome è diventato simbolo di una battaglia collettiva, di un risveglio sociale, e della presa di coscienza di un Paese intero di fronte alla violenza di genere. E anche per questo il processo a Filippo Turetta non è solo un fatto giudiziario, ma un passaggio cruciale per la memoria civile di un’intera generazione.

    Fammi sapere se vuoi una versione più lunga (fino a 5000 battute), più dura oppure con un taglio più emotivo o narrativo.

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      Per Tommy Cash il nostro Lucio Corsi è il nuovo… Bod Dylan!

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        Quando il rapper estone, noto per i suoi outfit degni di un rave nei Balcani e per non essere esattamente sobrio nei paragoni, ha detto che Lucio Corsi assomiglierebbe a Bob Dylan in quanto a flow, un brivido ha attraversato le schiene degli appassionati del rock. Ma non un brivido d’emozione. Piuttosto, quello che si prova quando senti il vicino dire che la sua Panda truccata è meglio di una Ferrari.

        Chi è Lucio e perché è vestito così

        Corsi è uno di quei cantautori che sembrano usciti da un armadio anni ‘70. Look da David Bowie in vacanza e testi che oscillano tra il poetico e il mistico, ma con la leggerezza di chi la prende giustamente a ridere. A scanso d’equivoci: Lucio è bravo, è originale, è il nostro Lucio. Ma Bob Dylan? Davvero?

        Tommy Cash, ci vuoi bene ma… anche meno

        Forse Tommy voleva solo fare un complimento, di quelli iperbolici da festival indie dove tutto è “geniale”. Ma paragonare Corsi a Dylan è come dire che un chihuahua è il lupo dei giorni nostri: tenero, ma fuori scala. Dylan ha reinventato la canzone d’autore mondiale. Corsi ci ha regalato Cosa faremo da grandi?, che però non ha ancora spostato gli equilibri della Nobel Foundation.

        Lunga vita al glam-folk toscano

        Con tutto il bene che vogliamo a entrambi, possiamo ammettere che certe dichiarazioni vanno prese con ironia. Lucio è unico, è inimitabile. Ma Dylan… è Dylan! E per ora, il massimo che possiamo fare è ascoltare entrambi. Magari, con le lenti rosa che Tommy sembra amare tanto.

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          Il segreto delle gemelle Cappa: feste, silenzi e quella Garlasco che non c’è più

          Gli inquirenti indagano su nuovi profili genetici: nel mirino non solo Andrea Sempio, ma anche le cugine di Chiara Poggi e il miglior amico di Alberto Stasi. Chiara, riservata e lontana da certe frequentazioni, potrebbe aver pagato con la vita un rifiuto? Un martello trovato in un canale riapre le ipotesi.

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            Nel 2007, Garlasco era una Las Vegas in miniatura. Non quella delle slot e dei casinò, ma di un’adolescenza di provincia in cerca di adrenalina, fatta di serate in discoteca, feste in villa con piscina, comitive che si scambiavano amici e segreti. E poi c’erano loro: le gemelle Cappa, Paola e Stefania, figlie dell’avvocato di grido Ermanno, regine delle notti tra Le Rotonde e le case degli amici più altolocati. Fisicamente identiche, caratterialmente esplosive. Un mondo, quello, a cui la cugina Chiara Poggi sembrava appartenere solo per parentela. Timida, composta, riservata. Diversa.

            Il 13 agosto di diciotto anni fa Chiara viene trovata uccisa nella villetta di famiglia in via Pascoli. Il fidanzato Alberto Stasi sarà condannato in via definitiva a 16 anni, pena ormai quasi interamente scontata. Ma qualcosa, forse, non ha mai quadrato del tutto. Oggi la procura di Pavia ha riaperto il caso, mettendo sotto indagine Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, e ordinando il prelievo del DNA ad altri sei nomi legati in varia misura a quella cerchia ristretta che ruotava attorno alla vittima.

            Nel registro figurano: le gemelle Cappa; Marco Panzarasa, miglior amico di Stasi; Alessandro Biasibetti, oggi frate domenicano; Roberto Freddi e Mattia Capra, amici del fratello Marco e di Sempio. Un gruppo di ragazzi, oggi adulti, ben inseriti, laureati, con famiglie e carriere. Ma che allora – nei racconti di chi li frequentava – si divideva in due mondi paralleli: i “tranquilloni” della PlayStation e le “festaiole” del sabato notte.

            Chiara, raccontano le amiche dell’epoca, apparteneva al primo gruppo. Non le piacevano le situazioni sopra le righe, non amava i locali. Preferiva le cene in famiglia, lo studio, le abitudini rassicuranti. Eppure orbitava, per legami di sangue e per affetto, attorno a personaggi molto diversi da lei. Come le gemelle Paola e Stefania, appunto, oggi richiamate a fornire il proprio profilo genetico. Perché? È solo un atto dovuto, oppure qualcuno ipotizza che Chiara possa aver detto “no” a qualcosa che la infastidiva? A una proposta sgradita? A un patto taciuto?

            Gli investigatori, guidati dai carabinieri di Milano, stanno cercando di dare un ordine a quel caos adolescenziale fatto di gite, viaggi, party. Nel luglio del 2007, un mese prima dell’omicidio, Stasi e Panzarasa erano volati a Londra. Anche Chiara li aveva raggiunti per qualche giorno. Una foto li ritrae sorridenti. Pochi giorni dopo, tutto si infrange.

            Ora, a riaccendere i riflettori sul caso, non è solo il ritorno dei nomi noti, ma un oggetto: un martello. È stato trovato in un canale vicino a una vecchia casa della famiglia Cappa, a Tromello. È davvero quello scomparso dalla villetta di via Pascoli? Saranno gli accertamenti a dirlo. Intanto, il sospetto serpeggia: che quell’arma sia stata nascosta da qualcuno che frequentava quel casolare. Un sommozzatore dei vigili del fuoco lo ha recuperato nella fanghiglia dopo ore di dragaggio. A indirizzare le ricerche, la testimonianza di un conoscente che, molti anni fa, raccontò di aver visto una ragazza gettare un oggetto pesante nel canale.

            Il DNA di sei persone verrà ora confrontato con due tracce maschili trovate sotto le unghie di Chiara. Una sarebbe compatibile con Andrea Sempio, l’altra ancora sconosciuta. E tra i nomi spunta anche quello di Marco Panzarasa, avvocato penalista a Pavia. Lui e Stasi erano amici inseparabili, parlavano fino a quindici volte al giorno. Erano stati compagni di liceo e avevano continuato a sentirsi dopo il diploma. Dopo il delitto, i rapporti si interruppero. Marco, quel giorno, era a Loano: rientrò d’urgenza in treno.

            Nella nuova lista c’è anche il DNA di alcuni carabinieri e del medico legale che per primi entrarono nella casa di Chiara, forse senza i guanti. Si procederà per esclusione, tracciando ogni impronta. Tutto verrà analizzato: dai tappetini insanguinati ai resti della colazione. Gli inquirenti ritengono che Chiara non fosse da sola, quella mattina. Che qualcuno abbia condiviso con lei quegli ultimi attimi di normalità.

            È possibile che la ragazza, troppo diversa da certi ambienti, abbia visto o saputo qualcosa di troppo? Che abbia rifiutato di entrare in un gioco più grande di lei? Forse non lo sapremo mai. Ma è certo che, a distanza di quasi due decenni, Garlasco continua a raccontare se stessa. E oggi lo fa anche con la voce muta del DNA.

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              SuperSimo scatenata: Lady Gaga “le spiccia casa”!

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                Simona Ventura torna a far parlare di sé e stavolta non per un’intervista o un programma TV, ma per l’ennesimo video virale dove balla scatenatissima sulle note di un pezzo di Lady Gaga. La clip, che sta impazzando sui social, la mostra in un tripudio di mosse, piroette e sorriso stampato, come se fosse ancora sul palco di Ballando con le Stelle… o forse non ne è mai scesa davvero!

                Sarà l’effetto di settimane di allenamenti con i maestri del noto show di Rai 1, oppure un’irrefrenabile voglia di far festa? Fatto sta che la Simo sembra aver trovato la sua nuova vocazione: ballerina social a tempo pieno. Tra TikTok, Instagram e meme, il pubblico la acclama: “Simona, sei il nostro spirito guida del weekend!”

                I fan impazziscono, i commenti si moltiplicano, e c’è già chi propone di istituire un Simona Ventura Dance Challenge. Se Lady Gaga sapesse, probabilmente l’arruolerebbe per il prossimo tour! Tra ironia e leggerezza, il web l’ha già incoronata regina del dancefloor digitale. E noi ci chiediamo: riuscirà mai a fermarsi? Ma soprattutto… vogliamo davvero che lo faccia?

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