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Spettacolo

Bedda matri, che ci fu? All’Arenella ritorna Paola Cortellesi

La terza stagione della serie tv Sky, “Petra”, tratta dai gialli di Sellerio della scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett, vede Paola Cortellesi nel ruolo dell’ispettrice Petra Delicato. Le riprese si stanno svolgendo a Palermo, portando un’aria di mistero nel quartiere di Palermo.

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Paola Cortellesi e Pennacchi a Palermo

    C’è un cadavere all’Arenella e così l’ispettrice Petra Delicato (Paola Cortellesi) alla sue terza stagione in tv ritorna a Palermo per indagare e risolvere il caso. La serie tv Sky tratta dai gialli di Sellerio della scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett, ritrova Paola Cortellesi nel ruolo dell’ispettrice. Le riprese si stanno svolgendo nel quartiere dell’Arenella a Palermo, portando un’aria di mistero nella città siciliana e in tutta la zona.

    Scena del crimine all’angolo con piazza Tonnara

    In via della Leva, all’angolo con piazza Tonnara, si gira una scena cruciale della puntata. Un uomo è precipitato dal balcone del bar Levante. Attorno a lui, polizia, ambulanze e un furgoncino grigio con la scritta “mortuaria”. La scena sembra reale, ma è solo finzione per la serie tv.

    Una storia particolare della borgata marinara

    L’Arenella è una borgata marinara che si è sviluppata nell’ottocento, attorno alla Tonnara Florio. Un edificio che fu acquistato dalla potente famiglia di imprenditori parzialmente modificata in abitazione. Famosa, altresì per la presenza di una torre neogotica, detta dei Quattro Pizzi, per le curiose guglie angolari.

    Accanto alla torre si trova un mulino realizzato, come la torre, dall’architetto Carlo Giachery, nel 1852. Per la progettazione l’architetto si ispirò a quelli olandesi. Attualmente all’interno della borgata si trovano due porti turistici, un tempo per soli pescatori: il porto dell’Arenella e il porto dell’Acquasanta. Una borgata marinara che nel secondo dopoguerra fu inglobato dal centro urbano palermitano.

    Tra barche, reti e indagini

    Paola Cortellesi, l’attrice protagonista e regista premiata per “C’è ancora domani“, è stata avvistata sul set diverse volte. Di solto indossa jeans, maglia nera a maniche lunghe e una giacca verde militare. Sorride ai palermitani che attirano la sua attenzione mentre sorseggia un caffè, e la chiamano per nome.

    Tutta l’ex borgata è diventato un set a cielo aperto

    La scena coinvolge comparse vestite da poliziotti e personale della polizia mortuaria. Il cadavere viene caricato su una barella e portato sul furgoncino. Il “cadavere” è un residente dell’Arenella che scherza sulla sua nuova interpretazione. La controfigura è un fantoccio che vola giù dal balcone, aggiungendo realismo alla scena.

    Maria Sole Tognazzi alla regia

    La regista Maria Sole Tognazzi dirige la scena con attenzione ai dettagli. Presto lascerà il set di Palermo al fratello Ricky Tognazzi, impegnato in un film su Francesca Morvillo, giudice e moglie di Giovanni Falcone, uccisa nella strage di Capaci.

    Ma chi sono i personaggi?

    Dall’ingresso del bar Levante, due personaggi, un uomo e una donna con le manette ai polsi, vengono portati via. Cortellesi osserva, immersa nei pensieri, mentre fuma una sigaretta. Andrea Pennacchi, alias il vice ispettore Antonio Monte, si unisce a lei e discutono mentre l’auto della polizia si allontana. Dopo le riprese in piazza Bellini e all’Arenella, la troupe si sposterà alla Cala e in corso Vittorio Emanuele. Quindi, il set tornerà a Genova per completare la stagione.

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      Televisione

      Tv generalista in caduta libera: persi 1,3 milioni di spettatori, telegiornali allo sbando e pubblico in fuga

      Nessun Tg si salva: dal Tg1 al Tg5 fino a La7, tutti in rosso. Gli italiani abbandonano il rito serale e scelgono altre fonti di informazione.

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        Il nuovo anno televisivo si apre con una doccia gelata per Rai, Mediaset e La7: gli ascolti delle tv generaliste sono crollati del 7,7% in un solo anno. Significa un milione e trecentomila spettatori in meno tra il 14 e il 20 settembre, rispetto al 2024. Non parliamo di reality o fiction, ma dei telegiornali: i pilastri della televisione italiana, per decenni liturgia quotidiana dell’ora di cena.

        E invece oggi quella liturgia non funziona più. Secondo lo Studio Frasi, tutti e otto i Tg serali hanno perso pubblico. Nessun superstite. Il Tg1, ancora il più visto, scende a 3,8 milioni con un calo del 7,6%. Il Tg5 precipita a 3,3 milioni e perde il 10,5%. Il Tg3 crolla del 14,6%, la Tgr regionale del 13,7%. Peggio di tutti il Tg2, che lascia sul campo quasi un quinto del suo pubblico, e Studio Aperto, che si riduce a 408 mila spettatori con un -20%.

        Nemmeno Mentana regge l’urto: il Tg La7 perde il 5,5%, fermandosi a 1,2 milioni. E il Tg4, ormai ridotto a mezzo milione, si accontenta di un -8%. Un’ecatombe che non si può liquidare solo come effetto della concorrenza digitale.

        «Sono 1,6 milioni le persone che nel 2024 seguivano almeno un Tg e che quest’anno non lo hanno più fatto», spiega l’analista Francesco Siliato. «Non perché manchino guerre o crisi, ma perché i Tg vengono percepiti come latitanti, troppo uguali, troppo superficiali».

        Il problema è che i telegiornali continuano a replicare lo stesso schema di trent’anni fa: titoli, servizi, collegamenti, in un mondo che corre a una velocità completamente diversa. La conseguenza è che perfino il pubblico più fedele, gli over 60, inizia a disertare.

        Il 2025 rischia così di diventare l’anno del funerale dei Tg generalisti. Senza credibilità, senza freschezza, senza più la forza di orientare l’opinione pubblica, restano un rito svuotato, seguito da pochi nostalgici. Un sottofondo per l’ora di cena, niente di più.

        E il dato più amaro è che i dirigenti lo sanno: servirebbe una rivoluzione, ma nessuno sembra pronto a rischiare. Intanto la televisione generalista perde terreno, e gli italiani non sembrano avere alcuna intenzione di tornare indietro.

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          Cinema

          Ema Stokholma madrina della Festa del Cinema di Roma: “Il cinema mi ha salvato, mi ha fatto capire che non stavo male solo io”

          “Resto una persona traumatizzata, ma anche fortunata: sono nata in Europa e il mondo mi ha accolta. Non voglio più nessuno da mantenere. L’amore? Non ci credo più. L’unico che mi fa pensare sia possibile è Luca Barbarossa.”

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            Sarà Ema Stokholma la madrina della prossima Festa del Cinema di Roma, in programma alla fine di ottobre. Un ruolo che la conduttrice, pittrice e scrittrice accoglie con entusiasmo, come una nuova sfida in una vita sempre in movimento. «Il cinema è fondamentale per raccontare le nostre vite e ne ho molto rispetto – racconta a F –. Ci sono film che per me sono stati cruciali, mi hanno fatto capire che non stavo male solo io».

            Ema, oggi 41 anni, non ha mai nascosto le ombre del proprio passato. Le violenze subite da bambina, gli abusi, il trauma che l’ha segnata per sempre: «Un trauma che non si supera mai. Io resto una persona traumatizzata. I bambini che vivono la guerra resteranno segnati a vita, come quelli che vedono certe scene sui social o che hanno vissuto il Covid».

            Ma dentro quel dolore c’è anche la forza di chi ha imparato a salvarsi da sola. «Sono stata fortunata a nascere in Europa, dove a 15 anni ho potuto prendere un treno e scappare dalla Francia per venire in Italia. Ho dormito per strada, ma c’era il sole, non morivo di fame. Il mondo mi ha accolta».

            Oggi si definisce una donna libera, indipendente, e anche felice nella sua solitudine: «Sto benissimo da sola e non voglio più nessuno da mantenere. È sempre andata così: trovavo uomini da accudire, da aiutare, e poi ci rimettevo io. Mi ritrovavo invasa, senza soldi e senza rispetto. Non accadrà più».

            Dell’amore parla con disincanto, ma non senza tenerezza. «Non ci credo più. L’unico che ogni tanto mi fa pensare che potrebbe essere diverso è Luca Barbarossa. Lo ammiro per la famiglia che ha saputo costruire, quando parla di sua moglie gli brillano gli occhi».

            Della madre, invece, conserva un ricordo complesso. «Quando è morta non ho provato nulla. Solo ascoltando un album di George Michael che le piaceva ho capito di averla perdonata». Oggi il suo punto debole resta il fratello: «Per farmi piangere basta nominarlo. Siamo due persone buone. Con quello che abbiamo vissuto, potevamo diventare serial killer».

            Un’anima sopravvissuta che ha scelto di splendere, e ora porta la sua luce sul red carpet più importante d’Italia.

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              Cinema

              “Bombolo core de Roma”: al Rome Film Fest il documentario che racconta il mito popolare di Franco Lechner

              Con interviste ai figli, agli amici e agli attori che lo hanno affiancato, il documentario ripercorre la parabola umana e artistica del comico romano, icona del cinema popolare degli anni Settanta e Ottanta.

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                Arriva alla Festa del Cinema di Roma 2025 il documentario Bombolo core de Roma, diretto da Stefano Calvagna, autore di ventidue film di culto e già regista del biopic Non escludo il ritorno dedicato a Franco Califano. Un tributo sentito a Franco Lechner, in arte Bombolo, attore simbolo della romanità verace, protagonista di una lunga stagione del cinema popolare italiano.

                Il film, presentato oggi nella sezione dedicata ai documentari italiani, ripercorre la carriera dell’attore attraverso materiali d’archivio, testimonianze e una galleria di immagini che raccontano il suo legame profondo con Roma. Ampio spazio è dedicato ai film che ne hanno consacrato la fama, dai polizieschi con Tomas Milian e Nico Giraldi alle commedie cult come W la foca, È forte un casino e Remo e Romolo, due figli di una lupa.

                Cuore del documentario è la puntata del 1984 di Che fai ridi?, firmata da Pier Francesco Pingitore, in cui Bombolo raccontava con ironia la propria vita tra Trastevere e Campo de’ Fiori, dove da giovane vendeva piatti e improvvisava gag di strada che gli valsero l’attenzione degli autori del Bagaglino.

                Calvagna alterna scene d’epoca e interviste ai figli, agli amici e agli attori che hanno condiviso con lui il set, come Carmine Faraco e Tony Morgan, oltre ai ristoratori dei locali che frequentava abitualmente – dal Costanza al Lilli – custodi di aneddoti e ricette entrate nella leggenda, come i celebri rigatoni “alla cacamesotto”.

                Nel racconto emerge un ritratto sincero e umano: Bombolo come incarnazione del “core de Roma”, genuino, diretto, inimitabile. Calvagna sottolinea come l’attore rappresenti una memoria collettiva, un linguaggio universale fatto di spontaneità e sarcasmo popolare.

                Non mancano i riferimenti all’eco internazionale del personaggio: il regista Eli Roth e Quentin Tarantino lo hanno citato come fonte d’ispirazione, raccontando di aver imitato i suoi celebri “tzé tzé” durante le riprese di Inglourious Basterds. Un omaggio che dimostra quanto l’energia di Bombolo abbia travalicato i confini del cinema italiano.

                Con Bombolo core de Roma, Calvagna firma un affettuoso atto d’amore verso un artista capace di far ridere generazioni intere e di restare, a distanza di decenni, il volto più autentico della comicità romana.

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