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Cronaca

Ancelotti, chiesti cinque anni di carcere per evasione fiscale per più di 1 milione di euro

Il caso è destinato a far discutere ancora a lungo, con possibili ripercussioni sia sulla carriera dell’allenatore che sull’immagine del club madrileno. Intanto, Ancelotti si prepara a difendersi dalle accuse, in attesa di ulteriori sviluppi giudiziari.

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    Carlo Ancelotti, celebre allenatore italiano fresco di vittoria in Champions League contro il Borussia Dortmund, è finito nel mirino della giustizia spagnola. Il tecnico è accusato di evasione fiscale per un importo superiore a 1 milione di euro. Il procuratore di Madrid aveva già chiesto almeno 4 anni e 9 mesi di carcere a marzo.

    Secondo l’accusa, Ancelotti avrebbe evaso 1.062.079 euro tra il 2014 e il 2015, durante la sua prima avventura con i Blancos. Come riportato da Mundo Deportivo, che ha avuto accesso alle carte dell’Avvocatura dello Stato, Ancelotti era obbligato a pagare le tasse in Spagna per l’intero importo guadagnato. Tuttavia, l’allenatore del Real Madrid avrebbe incluso nelle sue dichiarazioni solo la remunerazione per il suo lavoro con i Blancos, omettendo i guadagni derivanti dai diritti di immagine.

    La vicenda ha destato grande scalpore, soprattutto considerando il recente trionfo europeo di Ancelotti. Nonostante le accuse, il tecnico mantiene la sua posizione alla guida del Real Madrid, una delle squadre più prestigiose al mondo.

    L’accusa sottolinea che Ancelotti avrebbe dovuto dichiarare tutte le sue entrate in Spagna, ma avrebbe omesso una parte significativa legata ai diritti di immagine, incrementando così la somma evasa. Questa omissione ha portato alla richiesta di una pena severa da parte del procuratore, che vede nell’operato di Ancelotti una grave violazione delle leggi fiscali spagnole.

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      Mondo

      I dazi di Trump fanno scappare i coniglietti Lindt: la cioccolata svizzera rischia di diventare americana

      La minaccia dei dazi fino al 39% costringe Lindt a studiare un piano da 10 milioni di dollari per spostare la fabbricazione dei suoi simboli pasquali oltreoceano. L’annuncio scuote la Svizzera e alimenta i timori che la tradizione dei dolci di stagione perda la sua anima europea.

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        I coniglietti dorati con il fiocco rosso, icona della Pasqua svizzera, potrebbero presto avere un passaporto americano. Colpa della politica commerciale del presidente Usa Donald Trump, che minaccia di innalzare i dazi sull’importazione dei prodotti europei fino al 39%. Una mossa che mette in seria difficoltà Lindt & Sprüngli, il colosso del cioccolato. Che da decenni lega la propria immagine al coniglietto di cioccolato più famoso al mondo.

        Secondo quanto riportato da Bloomberg, l’azienda starebbe valutando di spostare la produzione dei suoi prodotti stagionali. Non solo i coniglietti pasquali ma anche i Babbo Natale di cioccolato, dagli stabilimenti tedeschi a impianti situati direttamente negli Stati Uniti. Un investimento stimato in circa 10 milioni di dollari, che servirebbe ad aggirare le tariffe punitive e a mantenere competitivo il prezzo al consumo.

        Lindt, da parte sua, non ha confermato apertamente il progetto. Ma un portavoce ha spiegato: «Stiamo lavorando costantemente per rendere la nostra produzione e le nostre catene di approvvigionamento più efficienti, tenendo conto dell’attuale situazione tariffaria. Questo include la verifica di quali prodotti vengono fabbricati, in quali siti produttivi e per quali mercati».

        Il problema è duplice. Da un lato i dazi del 15% già imposti all’Unione Europea, che rischiano di salire vertiginosamente. Dall’altro il rincaro del cacao, che nei primi sei mesi del 2025 ha registrato un +16%. Una combinazione esplosiva che potrebbe far lievitare i prezzi al dettaglio e rendere proibitivi i dolci pasquali per milioni di consumatori.

        Eppure, il mercato americano è troppo importante per essere messo a rischio. Negli Stati Uniti, primo consumatore mondiale di cioccolato, Lindt ha registrato un giro d’affari da 843 milioni di dollari nel 2024, con una crescita annua del 4,9%. Un successo che l’azienda non intende perdere a causa delle tensioni commerciali.

        Non solo: nei piani di riorganizzazione c’è anche lo spostamento della produzione destinata al Canada da Boston a stabilimenti europei, per schivare i dazi di ritorsione decisi da Ottawa contro Washington.

        Un puzzle globale che rischia di trasformare la geografia del cioccolato: le tavolette Lindor resteranno prodotte solo in Svizzera, la Francia continuerà a ospitare il polo dell’Excellence, e l’Italia conserverà il primato delle creazioni alla nocciola. Ma i coniglietti pasquali, per sopravvivere, potrebbero dover attraversare l’Atlantico. Con buona pace della tradizione elvetica.

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          Mondo

          Germania, cala la sete di birra: consumi giù del 35% in trent’anni

          Dai 126 litri a persona nel 2000 agli 88 di oggi: la bevanda simbolo del Paese non è più un rito quotidiano. La spinta delle analcoliche non basta a compensare il calo.

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          birra

            La Germania, patria per eccellenza della birra, sta vivendo un cambiamento epocale nei consumi. Negli ultimi trent’anni il consumo pro capite è crollato del 35% e nei primi mesi del 2025 la produzione ha registrato un ulteriore calo del 6,3%. Numeri che fotografano una crisi strutturale per un settore che da secoli rappresenta un pilastro dell’identità culturale ed economica del Paese.

            Il caso del birrificio Lang-Bräu, costretto a chiudere nel 2025 dopo 172 anni di attività nel nord della Baviera, è solo uno degli esempi più simbolici. Secondo Bloomberg, solo tra il 2023 e il 2024 hanno abbassato la saracinesca 52 aziende brassicole, su un totale di circa 1.500 attive in Germania. A incidere sono soprattutto i costi di produzione, cresciuti in media del 6% all’anno, come calcolato dalla società di consulenza Roland Berger. Spese che i produttori non riescono a ribaltare interamente sul prezzo finale, vedendo così erodere progressivamente i margini di guadagno.

            Se nel 2000 un cittadino tedesco beveva in media 126 litri di birra all’anno, oggi la cifra è scesa a 88. Un calo che non dipende soltanto dai rincari, ma anche da un mutamento culturale. Le nuove generazioni, in particolare la Gen Z, consumano meno alcol, spinti da una maggiore attenzione alla salute e da disponibilità economiche più limitate. Così la birra non è più la compagna quotidiana delle serate, ma diventa piuttosto un consumo occasionale.

            Per rispondere a questa trasformazione, molti produttori hanno puntato sulle birre analcoliche. Un segmento in forte crescita, ma che al momento resta marginale e accessibile soprattutto ai grandi marchi capaci di investire in nuove linee produttive. Secondo i dati Eurostat, nel 2024 i Paesi dell’Unione europea hanno prodotto complessivamente 34,7 miliardi di litri di birra. 32,7 miliardi con più dello 0,5% di alcol e circa 2 miliardi tra birre analcoliche o a bassissimo tenore alcolico. La Germania rimane al primo posto in Europa, con oltre il 22% della produzione totale: circa 7,2 miliardi di litri, in larghissima parte di tipo tradizionale.

            La sfida per il settore è chiara: rinnovarsi senza tradire la propria storia. Per i piccoli birrifici indipendenti, però, la strada appare sempre più in salita. La bevanda simbolo dell’Oktoberfest continua a resistere nei numeri assoluti, ma l’epoca d’oro in cui la birra scandiva la vita quotidiana dei tedeschi sembra ormai alle spalle.

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              Italia

              Dallo stupro di gruppo al profilo su OnlyFans: la nuova vita (e le nuove domande) di Asia Vitale

              La ragazza simbolo del caso Palermo si mostra oggi senza filtri su OnlyFans. Rivendica il controllo sul proprio corpo. Ma tra emancipazione e contraddizione, resta l’amaro dubbio: stiamo assistendo a una rinascita o a una nuova forma di esposizione?

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                Due anni fa il suo nome è diventato simbolo. Asia Vitale, la ragazza di Palermo violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, oggi riappare sotto una luce diversa: quella di una webcam. Dopo la chiusura del suo profilo Instagram e il calo dei follower, ha aperto un nuovo canale su OnlyFans. Si chiama AsiaVitale3.0 e propone contenuti sessuali a pagamento. Tutto legale, tutto consenziente, tutto rivendicato.

                “Il corpo è mio”, dice. “Chi ha problemi con questo mestiere dovrebbe cambiare mentalità”. Eppure, la sua storia personale rende difficile ignorare la frattura tra passato e presente. Dopo aver subito un’aggressione brutale e aver vissuto anni in comunità per allontanarsi da una famiglia che lei stessa definisce “tossica”, oggi Asia monetizza la propria immagine, il proprio corpo, la propria sessualità.

                Non c’è giudizio, ma c’è stupore. Non si tratta di negare la libertà di scelta, ma di registrare una contraddizione che interroga chi osserva. Come si arriva, da una violenza così feroce, a scegliere di mettersi di nuovo sotto gli occhi di tutti, stavolta per guadagnare?

                “Ho rimosso le loro facce”, dice parlando dei suoi aggressori. “Cerco solo di andare avanti”. Racconta di un rapporto con il sesso profondamente cambiato, più consapevole, più adulto. Ma confessa anche un trauma più recente: un sequestro subito a Ballarò, da parte della madre di uno degli accusati, che voleva costringerla a ritirare la denuncia.

                Oggi lavora in un hotel a Courmayeur e prova a costruirsi una nuova vita. OnlyFans la aiuta a far quadrare i conti, ma non garantisce stabilità. I video vengono pagati, ma possono anche essere rivenduti illegalmente. Un’altra forma di sfruttamento, di cui Asia è perfettamente consapevole.

                Il suo è un racconto di sopravvivenza. Ma anche una domanda aperta: dopo tutto questo dolore, davvero la libertà passa ancora per l’esposizione del corpo?

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