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Cronaca

Ancelotti, chiesti cinque anni di carcere per evasione fiscale per più di 1 milione di euro

Il caso è destinato a far discutere ancora a lungo, con possibili ripercussioni sia sulla carriera dell’allenatore che sull’immagine del club madrileno. Intanto, Ancelotti si prepara a difendersi dalle accuse, in attesa di ulteriori sviluppi giudiziari.

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    Carlo Ancelotti, celebre allenatore italiano fresco di vittoria in Champions League contro il Borussia Dortmund, è finito nel mirino della giustizia spagnola. Il tecnico è accusato di evasione fiscale per un importo superiore a 1 milione di euro. Il procuratore di Madrid aveva già chiesto almeno 4 anni e 9 mesi di carcere a marzo.

    Secondo l’accusa, Ancelotti avrebbe evaso 1.062.079 euro tra il 2014 e il 2015, durante la sua prima avventura con i Blancos. Come riportato da Mundo Deportivo, che ha avuto accesso alle carte dell’Avvocatura dello Stato, Ancelotti era obbligato a pagare le tasse in Spagna per l’intero importo guadagnato. Tuttavia, l’allenatore del Real Madrid avrebbe incluso nelle sue dichiarazioni solo la remunerazione per il suo lavoro con i Blancos, omettendo i guadagni derivanti dai diritti di immagine.

    La vicenda ha destato grande scalpore, soprattutto considerando il recente trionfo europeo di Ancelotti. Nonostante le accuse, il tecnico mantiene la sua posizione alla guida del Real Madrid, una delle squadre più prestigiose al mondo.

    L’accusa sottolinea che Ancelotti avrebbe dovuto dichiarare tutte le sue entrate in Spagna, ma avrebbe omesso una parte significativa legata ai diritti di immagine, incrementando così la somma evasa. Questa omissione ha portato alla richiesta di una pena severa da parte del procuratore, che vede nell’operato di Ancelotti una grave violazione delle leggi fiscali spagnole.

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      Cronaca

      L’album fotografico di Leone XIV, il Papa social che punge Trump, difende i migranti e ironizza sul rapporto tra mariti e mogli

      Sul suo account personale, il cardinale Robert Prevost – oggi Papa Leone XIV – ha condiviso prese di posizione nette contro le politiche migratorie trumpiane e a favore dell’Ucraina, dei diritti civili e delle vittime di abusi nella Chiesa. Ma tra i post spunta anche un video dell’era Covid su uomini e donne che potrebbe far storcere più di un naso.

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        Il nuovo Pontefice non è certo un conservatore silenzioso. Chi ha sbirciato nel suo profilo X – l’ex Twitter – si è trovato davanti a una manciata di post, selezionati con cura ma tutt’altro che anodini. Lì, dove ancora si presenta come “Católico, agustino, Obispo”, Robert Francis Prevost ha lasciato tracce inequivocabili del suo pensiero sociale e politico, tra affinità con papa Francesco, strali contro Donald Trump, difesa dei migranti e una certa propensione per le battute discutibili.

        L’ultimo post è del 15 aprile scorso, appena qualche settimana prima dell’elezione al soglio pontificio, ed è già un messaggio pesante: Prevost rilancia l’indignazione per la deportazione in Salvador di Kilmar Abrego Garcia, un cittadino americano, in una vicenda che coinvolge direttamente le politiche migratorie dell’amministrazione Trump in tandem con il presidente salvadoregno Bukele. “Non vedete la sofferenza? La vostra coscienza non viene disturbata?”, si chiede il post originario, amplificato dal futuro Leone XIV. Parole dure, che sembrano parlare a una Chiesa che non vuole più limitarsi al silenzio diplomatico.

        Ma è J.D. Vance, vice di Trump e astro nascente della destra americana, a guadagnarsi più di un attacco da parte del cardinale. Due post, datati 3 e 13 febbraio, rilanciano articoli che lo criticano apertamente. Il primo è firmato da Kat Armas, scrittrice cubano-americana, che contesta la gerarchia dell’amore umano proposta da Vance: “Prima la famiglia, poi il vicino, poi la nazione, infine il resto del mondo”. Una visione “non evangelica”, secondo Armas, e condivisa da Prevost. Il secondo post è un articolo di Sam Sawyer, gesuita e direttore di America Magazine, che accusa il vice di Trump di strumentalizzare il cristianesimo per giustificare una chiusura verso i migranti.

        Non si tratta di esternazioni estemporanee: già nel 2017, quando l’America era scossa dalle immagini dei bambini separati dai genitori al confine e rinchiusi in gabbie, Prevost si era fatto sentire rilanciando il cardinale Cupich: “Non c’è nulla di cristiano in queste politiche. La vergogna ricade su tutti noi”.

        Dalla guerra in Ucraina alla pena di morte, passando per George Floyd e i preti pedofili, il profilo social del nuovo Papa è disseminato di post che suonano come un manifesto valoriale. Diversi sono gli omaggi a papa Francesco, soprattutto per la sua posizione sulla guerra scoppiata nel 2022. In un video personale del 2022, Prevost afferma con chiarezza che la pena di morte è “inammissibile”, mentre nel 2020 aderisce alla condanna dell’uccisione di George Floyd da parte di un agente a Minneapolis, unendosi al coro che chiede giustizia e riforme.

        Ma non tutto è allineato allo spirito di compassione e giustizia sociale. Il 28 giugno 2020, nel pieno del lockdown, Prevost ha ripostato un video satirico che rischia di creare più imbarazzo che simpatia. Protagonisti una moglie iperprotettiva e un marito frustrato: lei srotola il metro per misurare la distanza sociale ogni volta che lui si avvicina per un gesto d’affetto, ma alla fine è lui, mentre conta le banconote, a usare lo stesso metro per tenerla lontana. Un finale che strappa risate facili ma può anche apparire come una caduta di stile per chi, oggi, porta il nome di Leone XIV.

        In tempi di trasparenza e comunicazione diretta, non stupisce che un papa moderno abbia lasciato una traccia digitale così netta. Quel che sorprende, piuttosto, è la varietà del tono: dal Vangelo all’ironia da social, dalle denunce profetiche ai video da forward su WhatsApp. Un Papa che twitta, insomma. E che, a quanto pare, non sempre si autocensura.

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          Cronaca

          A quarantadue anni dalla scomparsa di Mirella Gregori, il mistero si infittisce: spunta un nuovo memoriale

          Nel documento depositato alla Commissione parlamentare, il reo confesso torna a parlare del caso Gregori. Otto nuovi capitoli tra ricordi, accuse e conferme. Spuntano nomi mai emersi, dettagli intimi, pedinamenti e persino una “corresponsabile”. È il punto più avanzato di una verità ancora negata.

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            Il 7 maggio 1983 è una data scolpita nella memoria di chi ha vissuto quegli anni. Non per una strage, né per un attentato, ma per un’assenza. Quella di Mirella Gregori, quindicenne romana, figlia di un barista di via Montebello, sparita nel nulla dopo aver detto alla madre: “È Alessandro, il mio compagno delle medie. Vado a Porta Pia, torno subito.” Non tornò mai. Quarantadue anni dopo, quella frase è ancora un enigma. E il suo caso, da sempre legato a quello – più noto, più esposto – di Emanuela Orlandi, torna a farsi sentire con forza grazie a un nuovo memoriale firmato da Marco Accetti, il fotografo che nel 2013 si è autoaccusato dei due rapimenti.

            Il documento, depositato presso la Commissione parlamentare d’inchiesta che sta indagando ufficialmente sui casi Orlandi-Gregori, è lungo, denso, a tratti disturbante. Otto sezioni, nuovi particolari, nomi mai ascoltati, e soprattutto una narrazione precisa, come se il tempo si fosse fermato e quei giorni del 1983 si potessero rivivere in ogni dettaglio. L’incipit è già di per sé inquietante: «Ecco i vestiti di Mirella», dice l’uomo che si firmava “l’Americano” e che, secondo tre perizie, sarebbe proprio Accetti. Elenca maglia, maglietta, scarpe, colori e marche. Dettagli talmente precisi da risultare, secondo gli investigatori, autentici. Come li avrebbe conosciuti se non l’avesse davvero incontrata?

            Il memoriale prosegue con riferimenti a telefonate registrate, intercettazioni inedite, perfino pedinamenti a due ragazze che, secondo l’autore, erano state “attenzionate” prima della scelta definitiva caduta su Mirella. Una di queste, Antonella Fini, oggi adulta, è stata ascoltata dalla Squadra Mobile e avrebbe confermato di essere stata contattata, spiata, perfino derubata del diario scolastico. L’obiettivo? Capire chi fosse, come pensava, quanto fosse fragile. Una profilazione da brividi, fatta a scopo di selezione. Altro che mitomania.

            In questo nuovo memoriale, Accetti parla anche di una “corresponsabile”, Patrizia De Benedetti, sua ex compagna all’epoca dei fatti, che avrebbe avuto un ruolo attivo nella strategia di avvicinamento alle ragazze. La accusa apertamente, per la prima volta, di aver coperto, sviato, giustificato. Una mossa che riapre il vaso di Pandora dei possibili complici, delle connivenze, dei silenzi.

            Ma non finisce qui. Tra le righe emerge anche il nome di Patrizia Iaccarino, altra ragazza mai citata prima, che sarebbe stata avvicinata nel 1980-83 con modalità analoghe. E ancora: il citofono quel pomeriggio del 7 maggio, la voce che si fingeva quella dell’amico Alessandro De Luca, la presunta presenza di due “collaboratori” nella festa d’inaugurazione del bar, un litigio con il fidanzato, perfino l’annotazione che Mirella – avrebbe detto lui – era vergine. Tutto questo raccontato con freddezza e una minuziosità che non si inventa.

            La domanda sorge spontanea: perché nessuno ha ancora voluto processare questo uomo? L’ex pm Capaldo ci aveva provato, nel 2015, ma il fascicolo fu archiviato. Oggi, dopo decenni di depistaggi e negligenze, il memoriale-bis potrebbe essere il tassello mancante. Se non altro per smontarlo, o per dimostrarne la verità. Certo è che mai, in questi quarantadue anni, si era arrivati a un tale livello di precisione. Le parole di Accetti, che continua a chiedere un processo per spiegare tutto, sono le stesse: “Non voglio passare per mitomane. Voglio essere giudicato.”

            Maria Antonietta, sorella maggiore di Mirella, lo ripete da anni: “Mia sorella è stata una sequestrata di serie B”. E forse ha ragione. I riflettori, le fiction, l’eco mediatica si sono concentrati su Emanuela Orlandi. Mirella, invece, è rimasta il volto su una foto ingiallita. Una ragazzina dai capelli ricci e il sorriso aperto, andata incontro a qualcosa di indicibile e mai più ritrovata. Il 9 maggio, l’Europa festeggia la pace. Ma in una casa romana, c’è chi aspetta ancora giustizia. E chi ha solo bisogno di sapere, finalmente, la verità.

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              Cronaca

              Il mondo politico italiano sull’elezione di Leone XIV, tra entusiasmo e cautela

              L’elezione di ieri dell’americano Prevost al soglio pontificio ha suscitato, come da copione, un’ondata di reazioni nel panorama politico italiano. Dai commenti entusiasti della destra alla prudente riflessione della sinistra, i principali esponenti politici italiani si esprimono sulla nuova guida della Chiesa cattolica.

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                Con l’elezione di Leone XIV, la Chiesa cattolica entra in una nuova fase, segnata da una figura percepita come moderatamente conservatrice ma parimenti aperta al dialogo. Il nuovo pontefice ha posto al centro del suo primo messaggio temi come la pace, l’unità tra i popoli e il ritorno a valori spirituali tradizionali, con toni concilianti ma fermi. Questo ha generato immediate reazioni nel mondo politico italiano, da sempre attento agli equilibri vaticani.

                Dalla destra italiana entusiasmo e aspettative

                Fratelli d’Italia e Lega unanimi nel vedere in Leone XIV “un Papa che difende i valori”, accogliendo con favore l’elezione di Leone XIV. Giorgia Meloni ha parlato di “una guida spirituale forte in un’epoca di smarrimento valoriale”, sottolineando come il nuovo Papa possa rappresentare un punto di riferimento nella difesa dell’identità culturale europea. Matteo Salvini ha espresso soddisfazione per i riferimenti del pontefice alla famiglia e alla tradizione, definendolo “un Papa vicino alla gente”.

                Forza Italia: “Un ponte tra tradizione e modernità”

                Anche Forza Italia ha salutato positivamente l’elezione, con Antonio Tajani che ha lodato il tono equilibrato del messaggio inaugurale, interpretandolo come “una base solida per ricostruire fiducia tra istituzioni religiose e società”.

                La sinistra si mostra cauta, aspettando conferme dai fatti

                Dall’area progressista, le reazioni sono state più misurate. Elly Schlein ha dichiarato che “le parole iniziali di Leone XIV indicano un’apertura al confronto”, ma ha sottolineato che “saranno le scelte concrete a definire il suo pontificato”. Il PD resta attento soprattutto ai temi dei diritti civili e dell’inclusività.

                Movimento 5 Stelle: “Collaborazione sui temi sociali”
                Giuseppe Conte ha riconosciuto “toni inclusivi e un invito al dialogo su povertà e giustizia sociale”, auspicando una sinergia costruttiva tra istituzioni civili e religiose su battaglie comuni, come quella contro le diseguaglianze.

                Un Papa che unisce o divide?
                L’elezione di Leone XIV sembra aver raccolto, per ora, un consenso trasversale, seppur con accenti diversi. La destra ne esalta il richiamo alla tradizione, la sinistra mostra interesse per il potenziale dialogo sui temi sociali. Resta da vedere se il nuovo pontefice riuscirà a mantenere questo equilibrio anche nelle scelte future, in un’Italia sempre più frammentata anche sul piano etico e culturale.

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