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Cronaca

Nuova circolare del ministro Valditara: da settembre cellulari vietati a scuola anche per scopo didattico

La mossa del Ministro Valditara segna un cambiamento importante nelle politiche educative italiane, con un focus rinnovato sulla didattica tradizionale e sulla riduzione dell’uso dei dispositivi elettronici nelle scuole medie. L’obiettivo è proteggere e migliorare le capacità cognitive e critiche degli studenti, preparandoli al meglio per il loro futuro educativo e professionale.

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    Il dibattito sull’uso dei cellulari a scuola è da tempo al centro delle discussioni, non solo in Italia. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha deciso di prendere una posizione chiara e netta, firmando una circolare che, a partire dal prossimo settembre, vieta l’uso dei cellulari nelle scuole medie per qualsiasi scopo, anche didattico. Questo provvedimento mira a promuovere una didattica più tradizionale e a contrastare gli effetti negativi dell’uso eccessivo dei dispositivi elettronici.

    Cosa dice la circolare

    Il Ministro Valditara ha dichiarato la circolare firmata vieta dal prossimo anno scolastico l’utilizzo del cellulare a qualsiasi scopo, anche didattico, perché lui non crede che si faccia buona didattica con un cellulare fino alle scuole medie. Questo divieto non si applica all’uso di tablet e computer, che rimangono permessi sotto la supervisione dei docenti.

    Si ritorna al diario di carta

    Oltre al divieto sui cellulari, Valditara ha annunciato il ritorno obbligatorio al diario cartaceo per gli studenti delle scuole medie. Questo strumento tradizionale si affiancherà al registro elettronico, permettendo ai genitori di controllare i compiti a casa ma incentivando i ragazzi a scrivere a mano. Il ministro ha sottolineato l’importanza di riabituare i giovani al rapporto con la penna e la carta.

    Quali sono le motivazione per questa decisione

    La decisione del Ministro Valditara si basa su preoccupazioni riguardanti gli effetti negativi dell’uso eccessivo dei dispositivi elettronici. Secondo un’indagine della VII commissione del Senato, l’uso prolungato di smartphone e altri dispositivi può avere impatti negativi sulla concentrazione, la memoria e lo spirito critico dei ragazzi. Valditara ha ribadito che il ritorno a metodi più tradizionali di apprendimento potrebbe mitigare questi effetti negativi e favorire lo sviluppo cognitivo degli studenti.

    Si parte da settembre

    Il nuovo regolamento entrerà in vigore dal prossimo anno scolastico. Le scuole dovranno adattarsi a queste nuove direttive, assicurandosi che i dispositivi elettronici vengano utilizzati solo quando strettamente necessario e sempre sotto il controllo dei docenti. Il ritorno al diario cartaceo e l’eliminazione dei cellulari dalla didattica rappresentano un passo significativo verso una maggiore attenzione all’equilibrio tra tecnologia e metodi tradizionali di insegnamento.

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      Storie vere

      Alla faccia dell’errore giudiziario. Storia di Sandra: 43 anni in carcere da innocente

      Dopo 43 anni di prigione per un omicidio che non aveva commesso, Sandra Hemme, 64 anni, è stata finalmente dichiarata innocente e liberata. Il caso della donna incarcerata ingiustamente per più tempo negli Stati Uniti.

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        “Vittima di un’ingiustizia”. Con queste parole il giudice Ryan Horsman ha dichiarato innocente la 64enne Sandra Hemme, scarcerata dalla prigione di Chillicothe, in Missouri, dopo aver scontato 43 anni dell’ergastolo a cui era stata condannata per un omicidio che non aveva commesso, quello della bibliotecaria Patricia Jeschke, uccisa nel 1980 a St. Joseph, nel Missouri. A supporto della sua innocenza, rivela la CNN, le prove presentate dall’avvocato della donna, Sean O’Brien, prove che secondo il giudice hanno dimostrato l’estraneità della donna all’omicidio e quindi la sua innocenza. Nonostante questo, per mesi il procuratore generale repubblicano Andrew Bailey si è opposto alla scarcerazione di Hemme.

        Più volte il procuratore generale ha presentato istanze in tribunale cercando di tenere in prigione la donna per scontare condanne per aggressioni avvenute in carcere nei decenni passati. Ma il giudice Horsman il 14 giugno scorso ha stabilito che “la totalità delle prove supporta l’accertamento dell’effettiva innocenza” di Hemme rispetto alla condanna per omicidio. L’8 luglio una Corte d’appello statale ha stabilito che la donna dovesse essere liberata e il 9 luglio Horsman ha stabilito che Hemme dovesse essere rilasciata per tornare a casa con sua sorella.

        Sandra Hemme: un incubo lungo 43 anni

        Secondo il suo team legale dell’Innocence Project, Hemme è stata la donna incarcerata ingiustamente da più tempo negli Stati Uniti. Un’incredibile ingiustizia, durata quattro decenni, che finalmente ha trovato un epilogo positivo.

        La storia di Sandra Hemme è quella di una battaglia lunga e dolorosa. Incarcerata all’età di 21 anni, la sua vita è stata segnata dalla privazione della libertà, dagli errori giudiziari e dall’incessante lotta per dimostrare la propria innocenza. Le nuove prove presentate dal suo avvocato, Sean O’Brien, hanno finalmente convinto la corte della sua estraneità al delitto, portando alla sua liberazione.

        Il percorso di liberazione

        Nonostante la chiarezza delle nuove prove, la strada verso la libertà non è stata facile per Hemme. Il procuratore generale Andrew Bailey ha cercato in ogni modo di mantenere la donna in prigione, presentando istanze per condanne legate ad aggressioni avvenute durante la detenzione. Tuttavia, il giudice Ryan Horsman ha respinto queste richieste, sottolineando che la totalità delle prove dimostrava l’innocenza di Hemme riguardo all’omicidio per cui era stata condannata.

        Una nuova vita

        Ora, Sandra Hemme può finalmente tornare a casa, iniziando un nuovo capitolo della sua vita accanto alla sorella. La sua storia rappresenta un potente monito sull’importanza di una giustizia equa e accurata, e una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità.

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          Storie vere

          Come fare la generosa con il portafoglio… degli altri!

          Una famiglia padovana in vacanza a Riva del Garda ha trovato un portafoglio contenente molto denaro, carte di credito e documenti che hanno prontamente restituito alla legittima proprietaria titolare di un ristorante molto noto della zona. Un invito a cena per sdebitarsi…? Si certo ma con una sorpresa finale.

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            Si fa presto a dire ricompensa. Un portafoglio smarrito viene riconsegnato a un ristoratore di Riva del Garda che come ricompensa invita a cena i suoi angeli custodi. Ma…

            Il bel gesto ripagato con una cena

            … ma è successo che questa azione benemerita è diventato un caso. E come mai? Fondamentalmente perché nei paesi dove la cronaca locale latita appena accade qualcosa di particolare, i giornali e i lettori trovano pane per i loro denti. Il fatto è semplice. Una ristoratrice di Riva del Garda aveva smarrito il suo portafoglio su una panchina sul lungo lago. Una famiglia padovana in vacanza nella località gardenese, lo avevo trovato e ha provveduto a restituirlo alla legittima proprietaria. Per sdebitarsi del bel gesto, – dopo aver sborsato subito 50 euro per ringraziare il figlio quindicenne della famiglia – la ristoratrice generosa come ricompensa aveva deciso di invitare tutti a cena.

            Ma qualcosa è andata storta

            Il portafoglio conteneva carte di credito, molto denaro contante e i documenti personali della sua proprietaria. La famiglia si è recata nel ristorante ma alla fine della cena la gratuità annunciata si è trasformata in un conto di 80 euro a cui era stato applicato uno sconto del 10%. Senza protestare, la famiglia, un po’ incredula, ha saldato la cifra e ha lasciato il locale educatamente. L’episodio non è passato inosservato ai paesani, che lo hanno segnalato alla stampa locale. Finalmente un bel caso di cronaca da raccontare, vista la risibilità degli argomenti a disposizione.

            Disattenzione, scuse e nuovo invito a cena

            Diventata quindi il caso del giorno la ristoratrice si è subito ravveduta e ha giustificato il suo gesto come una semplice disattenzione. Tutta colpa del gran caldo e del troppo lavoro di questo periodo, ha argomentato la proprietaria del ristorante. Disattenzione dovuta alla stanchezza e allo stress di questi giorni di fine estate. Dopo le scuse pubbliche il giorno successivo la famiglia è stata invitata nuovamente a cena, questa volta senza dover pagare un euro.

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              Cronaca

              Non poteva pagarsi il volo: 36enne nigeriano si fa arrestare a Varese per essere rimpatriato

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                Non potendo permettersi un biglietto aereo, ha trovato una strada alternativa: farsi arrestare. È la storia, raccontata da La Prealpina, di un 36enne nigeriano residente nel Varesotto, che pur di tornare in patria dalla sua famiglia ha deciso di cercare l’espulsione attraverso un gesto plateale.

                Il copione si è consumato venerdì alla stazione ferroviaria di Varese. L’uomo, in pieno giorno, si è acceso uno spinello proprio davanti agli agenti della Polfer, con l’evidente obiettivo di attirare la loro attenzione. Mossa riuscita. Fermato e perquisito, addosso gli è stato trovato un etto e mezzo di hashish. A quel punto è scattato l’arresto, e la sua comparizione in tribunale per la convalida.

                È stato in quell’aula che il suo piano è diventato evidente. Quando il giudice ha comunicato che la pena sarebbe stata convertita in espulsione, il 36enne ha reagito con entusiasmo: «Benissimo, ci sono riuscito!». Una frase che lascia pochi dubbi sulle sue reali intenzioni.

                Dietro alla vicenda non c’è la ricerca di profitto né un traffico organizzato. L’uomo percepisce la Naspi dopo anni di lavoro in una fabbrica del Varesotto e manda gran parte del sussidio alla sua famiglia in Nigeria. Il suo unico desiderio, spiegano i magistrati, era quello di rientrare a casa, senza avere i mezzi economici per farlo con le proprie forze.

                Non è nemmeno la prima volta. Lo scorso marzo lo stesso 36enne aveva provato a ottenere il rimpatrio inscenando una crisi a bordo di un treno, costringendo i passeggeri a chiamare la polizia. Anche in quell’occasione era stato fermato, ma il tentativo non aveva prodotto l’effetto sperato.

                Questa volta invece la sua strategia ha avuto esito. Ora, come previsto dalle norme, sarà espulso e accompagnato in Nigeria. Un caso che solleva interrogativi sul funzionamento delle procedure di rimpatrio e sulla disperazione di chi, pur regolarmente presente in Italia, sceglie di passare dalle aule giudiziarie per raggiungere il proprio obiettivo: tornare a casa.

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