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Cinema

Al cinema: ecco i flop di questa prima parte di stagione 2024

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    Pellicole con budget stellari in termini di costi, sulle quali si era puntato per fare incassi record e che invece hanno cocentemente deluso le aspettative. Stiamo parlando di The Fall Guy, Furiosa, Back to Black ed altri titoli, annunciati come vincenti e che, invece, hanno deluso il mercato.

    Argylle – La super spia

    Costato la bellezza di 200 milioni di dollari, con un cast di all-star di superstar e pure un balletto sexy di Dua Lipa… si rivela una sorta di finto-Bond pacchiano, lungo (2 ore e 19 minuti) e particolarmente noioso. I “miseri” incassi la dicono lunga: solo 96 milioni di dollari.

    Back to black

    Sulla carta, dopo i successi di altri biopici negli ultimi anni (su tutti Bohemian Rhapsody, 4 Oscar e 910 milioni al box office internazionale; ma anche Bob Marley: One Love, uscito quest’anno), la storia di Amy Winehouse era potenzialmente vincente. Ma il punto di vista ambiguo sulla sua storia (non viene citato il ruolo in realtà molto controverso del padre che – guarda caso – ha concesso i diritti di canzoni e immagine…) e le recensioni negative hanno tenuto lontani dalle sale anche i fan più fedeli della cantante scomparsa nel 2011. Solo 50 milioni di dollari l’incasso, a fronte di 30 di budget.

    Ghostbusters – Minaccia glaciale

    Una saga, quella degli Acchiappafantasmi che, negli ultimi episodi (e il reboot al femminile del 2016, molto deludente) alla quale sarebbe opoortuno mettere la parola “fine”. Anche l’ultima avventura per la quale tornano gli eroi di un tempo (Bill Murray, Dan Aykroyd & Co.) non basta a far quadrare i conti: 200 milioni di dollari di incasso su 100 di budget, non il risultato sperato. Davvero molto lontano viste le aspettative iniziali di questa operazione amarcord…

    The fall guy

    Era stato annunciato come un film cha avrebbe “spaccato” il botteghino primaverile. E invece i famosissimi Ryan Gosling ed Emily Blunt non bastano a formalizzare il successo. per molti critici una durata eccessiva (2 ore e 5 minuti) e i profitti non soddisfano: solo 174 milioni di dollari in totale, su un budget che si attesta tra i 125 e i 150 milioni.

    Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna

    Una supercoppia di stelle solitamente amatissime dagli spettatori (Scarlett Johansson + Channing Tatum) non basta a fare gli incassi sperati. Recensioni perlopiù negative e un totale disinteresse da parte del grande pubblico. on due attori del genere ci si aspettava tutt’altro risultato. A fronte di 100 milioni di budget, neanche 20 milioni di incasso nel primo weekend negli Stati Uniti.

    Furiosa: A Mad Max Saga

    Mad Max: Fury Road, uscito nel 2015, aveva rivoluzionato il genere action (oltre a incassare la bellezza di 380 milioni di dollari). Un exploit che purtoppo non ha fatto il bis con questo prequel che vede protagonisti Anya Taylor-Joy e Chris Hemsworth. Una vera e propria montagna di soldi (170 milioni di dollari quelli spesi) che raggiunge solo il pareggio con le vendite dei biglietti d’ingresso. Una gran bella occasione mancata.

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      Cinema

      Nino D’Angelo, una vita in 18 giorni: il documentario del figlio Toni emoziona Venezia

      Dal dolore dell’addio a Napoli alla rinascita artistica, il cantautore si racconta senza filtri. Il film diretto dal figlio Toni ripercorre i momenti più intensi di un percorso umano e professionale unico.

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      nino d'angelo

        È questo il ritratto che emerge da Nino. 18 giorni, il documentario presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e diretto da Toni D’Angelo, figlio del celebre cantautore e attore napoletano. Un viaggio intimo che unisce la storia personale e quella artistica, tra conquiste e sacrifici.

        L’addio a Napoli e il peso delle scelte

        Ai microfoni di Oggi, Nino D’Angelo ha ripercorso una delle decisioni più difficili della sua vita: lasciare la sua città. «Negli anni Ottanta Napoli viveva una guerra di camorra, temevo per i miei figli e mia moglie. È stato un dolore immenso andare via dai miei affetti, dalle mie radici», ha raccontato. Una ferita che, a distanza di anni, resta viva: «Se dovessi rinascere, vorrei farlo esattamente come la prima volta. È più bello conquistare ogni cosa giorno dopo giorno».

        Dal caschetto biondo alla depressione

        Simbolo di un’epoca, il celebre caschetto biondo è stato per D’Angelo una maschera di cui a un certo punto ha sentito il bisogno di liberarsi. «Tagliarlo è stato come rinunciare a una parte di me, ma anche un atto di verità. Mi sono reso conto che quel personaggio non ero io. Per un periodo ho vissuto una forte depressione, non sapevo più chi fossi», ha confessato.

        Ricchezza e felicità: il paradosso della vita

        Il documentario esplora anche la dimensione più intima dell’artista: il rapporto con la ricchezza e la felicità. «Quando hai tutto è difficile essere felice. Io lo sono stato molto più da povero che da ricco», ha detto con disarmante sincerità. Una riflessione che illumina il percorso di un uomo rimasto fedele alle proprie origini popolari, anche quando la fama lo aveva portato lontano.

        Un viaggio nei luoghi della memoria

        Nino. 18 giorni si apre con immagini di San Pietro a Patierno, quartiere natale del cantante, e attraversa i luoghi simbolo della sua vita: Casoria, dove ha iniziato a costruire la sua carriera e la sua famiglia, fino a Palermo, dove la sceneggiata che lo consacrò al grande pubblico andava in scena proprio mentre nasceva suo figlio Toni. Un destino intrecciato: Nino vide il bambino solo 18 giorni dopo, e da quell’attesa prende titolo il film.

        Il racconto di un uomo, oltre l’artista

        Il documentario non si limita a celebrare la carriera di D’Angelo, ma indaga l’uomo dietro al mito popolare: le fragilità, la lotta per l’identità, il rapporto con il successo e con le proprie radici. Toni D’Angelo, già regista affermato, ha scelto di restituire un ritratto lontano dall’agiografia, mettendo al centro il padre nella sua dimensione più vera.

        Con Nino. 18 giorni, Venezia ha applaudito non solo un artista simbolo della cultura napoletana, ma un uomo che ha saputo attraversare luci e ombre restando fedele alla propria essenza.

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          Cinema

          Kathy Bates e i fantasmi di Misery: “Mi sentivo impreparata, come una contadinotta”

          L’attrice premio Oscar ripercorre l’esperienza che le cambiò la vita: dal disorientamento sul set al successo travolgente. Una carriera costruita tra fragilità iniziali e ruoli indimenticabili.

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          Kathy Bates

            Kathy Bates non dimenticherà mai l’esperienza di Misery non deve morire, film che nel 1990 la consacrò come una delle attrici più potenti del cinema americano. Intervistata da Variety, l’interprete di Annie Wilkes ha raccontato senza filtri il disorientamento provato all’epoca: un successo improvviso che la travolse e la mise a confronto con le proprie insicurezze.

            “C’è una foto di me mentre scendo da un’auto con un bavaglino di pizzo nero e un reggiseno bianco sotto. Sembravo ridicola. Vivevo tutto come un incubo. Mi sentivo una contadinotta capitata per caso in un mondo troppo grande per me”, ha ricordato Bates, oggi 76enne.

            Una vittoria che pesa

            Con Misery, tratto dal romanzo di Stephen King e diretto da Rob Reiner, Bates vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista per il ruolo della fan psicopatica che sequestra lo scrittore interpretato da James Caan. Un traguardo enorme, arrivato però in un momento in cui lei stessa non si sentiva pronta.

            “Guardando indietro, mi sono sentita non protetta. Non avevo idea di cosa stessi facendo. Ero una ragazza di Memphis, figlia di genitori anziani, e vent’anni indietro rispetto ai tempi. Non conoscevo niente di quel mondo, e quella sensazione mi ha perseguitata per anni”, ha raccontato.

            Le difficoltà sul set e il rimprovero a Reiner

            Il regista Rob Reiner, in passato, aveva confermato le incertezze dell’attrice, sottolineando come quell’ingenuità fosse paradossalmente vicina alla goffaggine e alla follia del personaggio di Annie Wilkes. Bates, invece, ritiene che il problema fosse più profondo. “Non ero solo inesperta. Mi mancavano gli strumenti per affrontare l’impatto emotivo e mediatico del cinema. Venivo dal teatro, ma il cinema era un’altra cosa”.

            Con ironia, l’attrice ha persino scherzato sul finale del film, rimproverando bonariamente Reiner: “Perché non mi hai fatto tagliare il piede a James Caan, come nel libro?”. Una battuta che racconta il suo rapporto complesso ma affettuoso con quel set.

            Dopo Misery, una carriera di conferme

            Nonostante le incertezze, Misery aprì a Bates le porte di Hollywood. Solo un anno dopo fu protagonista di Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, anche quello un ruolo che la mise a dura prova. “Non mi sentivo all’altezza, ma andai avanti”, ha confessato.

            Il resto è storia del cinema: da Titanic di James Cameron a Primary Colors, da A proposito di Schmidt fino al cult Waterboy con Adam Sandler. Bates ha attraversato generi diversi, dimostrando una versatilità unica, fino a diventare una presenza fissa anche in televisione con American Horror Story.

            Il peso della fragilità

            Quella fragilità iniziale, ammette oggi, è stata però anche una risorsa: “Il senso di inadeguatezza mi ha permesso di avvicinarmi ai personaggi con umiltà. Ho imparato a trasformare le mie insicurezze in emozioni autentiche da portare sullo schermo”.

            Kathy Bates è ormai un’icona di Hollywood, ma non dimentica le difficoltà che hanno segnato i suoi primi passi. Il ruolo di Annie Wilkes le ha cambiato la vita, tra paure e riconoscimenti, lasciando un segno indelebile nella storia del cinema.

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              Cinema

              Leonardo DiCaprio corre verso l’Oscar, Margot Robbie mezza nuda a Londra: in Italia vince “Demon Slayer”

              Il nuovo film di Paul Thomas Anderson con DiCaprio è già in corsa per l’Academy, Margot Robbie fa scintille all’anteprima di A Big Bold Beautiful Journey. Da noi, invece, il box office è dominato da Demon Slayer: Il castello dell’infinito (808 mila euro), seguito dall’horror The Conjuring – Il rito finale.

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                A Hollywood si gioca già la partita dell’Oscar. Leonardo DiCaprio, con One Battle After Another diretto da Paul Thomas Anderson, si candida al premio più ambito senza passare per i festival, scavalcando la trafila che un tempo dettava legge. Margot Robbie, dal canto suo, ha monopolizzato i flash all’anteprima londinese di A Big Bold Beautiful Journey, più nuda che vestita, confermandosi regina di stile e provocazione.

                E in Italia? I numeri raccontano una realtà diversa: a portare pubblico in sala sono i giovanissimi. In testa al box office troviamo Demon Slayer: Kimetsu No Yaiba – Il castello dell’infinito, capace di incassare 808 mila euro con 97 mila spettatori in un solo giorno su 334 schermi. Mica male per un anime.

                Scende al secondo posto l’horror The Conjuring – Il rito finale, che con 325 mila euro dimezza gli incassi del giorno precedente ma porta comunque il totale a 6 milioni. Terza piazza per Material Love (o The Materialists) di Celine Song: commedia sofisticata con Dakota Johnson divisa tra Chris Evans e Pedro Pascal, 87 mila euro e 1,17 milioni complessivi.

                Quarto posto per Downton Abbey – Il gran finale di Simon Curtis, 66 mila euro e un totale di 71 mila. Più giù resiste, al quinto, Elisa di Leonardo Di Costanzo, dramma psicologico con Barbara Ronche, che aggiunge 20 mila euro e arriva a 251 mila.

                Tra le curiosità: I Puffi restano sesti con oltre 2,49 milioni complessivi, mentre Come ti muovi sbagli di Gianni Di Gregorio raccoglie 121 mila euro totali. L’animazione tedesca Grand Prix e il sequel Troppo cattivi 2 si contendono l’ottava e nona posizione. In decima chiude il film-concerto Francesco De Gregori Nevergreen di Stefano Pistolini, con 9 mila euro.

                Il pubblico adulto, insomma, continua a latitare: le sale si riempiono solo quando a trainare sono horror o anime. Tutti gli altri aspettano il nuovo film di DiCaprio, ma davanti a uno schermo televisivo.

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