Cronaca
Mostro di Firenze: l’amico che non si è mai arreso, il dna e il proiettile mancante
Una nuova scoperta potrebbe rivoluzionare le indagini sul Mostro di Firenze: un frammento di DNA trovato su un proiettile risalente agli omicidi di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili potrebbe finalmente portare a nuove rivelazioni.
La scoperta di un frammento di DNA sconosciuto su un proiettile utilizzato per gli omicidi di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, l’ultimo duplice delitto attribuito al Mostro di Firenze, ha suscitato grande clamore, specialmente in Francia, dove risiedono i familiari delle vittime. Salvatore Maugeri, amico fraterno di Jean Michel, ha commentato: «È una novità totalmente sconvolgente». Maugeri si è dichiarato sorpreso e felice, sperando che questa scoperta possa rappresentare una svolta nelle indagini.
Il mistero del proiettile mancante
La scoperta del frammento di DNA è legata a un mistero che ha tenuto impegnati gli investigatori per anni. Secondo le ricostruzioni di Maugeri e di uno specialista, vi era la convinzione che un proiettile fosse ancora nascosto nella scena del crimine, in quanto il numero dei fori e dei bossoli rinvenuti non coincideva. Dopo aver studiato la dinamica dell’omicidio, Maugeri ha segnalato alle autorità la probabile esistenza del proiettile mancante. Alla fine, gli investigatori hanno trovato il proiettile all’interno di un cuscino, dove si era conservato per più di trent’anni. Questa scoperta è stata resa possibile grazie alle indicazioni fornite da Maugeri, dimostrando quanto sia importante non lasciare nulla di intentato nelle indagini di casi così complessi.

La sequenza del DNA
Il frammento di DNA è stato individuato da Lorenzo Iovino, un ematologo italiano che lavora negli Stati Uniti, su incarico dell’avvocato Vieri Adriani, rappresentante delle famiglie delle vittime. Questa sequenza di DNA ricorre anche su proiettili di altri due delitti, aumentando le possibilità che possa giocare un ruolo cruciale nella risoluzione del caso. Maugeri e i parenti delle vittime nutrono grandi speranze, considerando che il proiettile si è conservato per più di trent’anni all’interno di un cuscino.
Le ricerche e le battaglie
Maugeri rivendica il merito di aver segnalato la possibilità dell’esistenza di un proiettile ancora non ritrovato, basandosi su studi sulla dinamica dell’omicidio. Queste segnalazioni sono state fatte anche in un libro scritto con uno specialista. La narrazione della vicenda del Mostro di Firenze è complessa e piena di contraddizioni, ma Maugeri non si è mai arreso. Le sue battaglie hanno spesso riacceso l’interesse per il caso, e oggi le speranze dei familiari sono riposte nelle analisi dei nuovi frammenti di DNA.
Le difficoltà delle famiglie
Le famiglie delle vittime sono stremate. La madre di Jean Michel è morta tre settimane fa a 93 anni, sostenuta solo dalla fede. Il fratello e le sorelle sono sconfortati e arrabbiati nei confronti della giustizia italiana, che non è riuscita a portare verità e ha mostrato mancanza di empatia. Anche Anne, la figlia di Nadine, è rimasta delusa dopo un confronto con il giudice in Italia.
Il legame tra Jean Michel e Maugeri
Maugeri e Jean Michel erano amici sin da ragazzi e suonavano insieme in una band chiamata “Vendredi 13”. Il tragico omicidio di Jean Michel e della sua fidanzata Nadine avvenne nel 1985, dieci anni dopo la formazione della band. Jean Michel cercò di fuggire dall’assassino, ma fu inseguito e ucciso.
Le prossime mosse
Dopo questa nuova scoperta, l’avvocato Adriani intende chiedere alla famiglia di Stefania Pettini, una delle vittime del Mostro di Firenze, l’autorizzazione per cercare possibili campioni biologici, ad esempio sotto le unghie, visto che anche lei ebbe una colluttazione con l’assassino.
Questa scoperta del frammento di DNA sconosciuto potrebbe finalmente portare a nuove rivelazioni nel caso del Mostro di Firenze, accendendo una speranza nelle famiglie delle vittime e in tutti coloro che cercano giustizia.
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Cronaca Nera
Omicidio Meredith, parla Mignini: «Una nuova pista, un nome mai emerso». E riapre il caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Giuliano Mignini rivela di aver trasmesso alla Procura un nome inedito. L’ex magistrato non assolve Knox e Sollecito: «Erano gli unici presenti. Circostanze fortunate per loro». Mentre la nuova pista prende forma, tornano dubbi, ferite e domande su uno dei casi più mediatici della cronaca italiana.
Diciotto anni dopo, il caso Meredith Kercher torna a farsi sentire come un eco che non si spegne mai. A riaccendere la miccia è Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini sull’omicidio della studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007. Una dichiarazione, una suggestione, e il fascicolo rientra nell’immaginario di un Paese che quel delitto non l’ha mai davvero archiviato.
Mignini parla di una nuova informazione arrivata di recente: «Una fonte che ritengo affidabile mi ha fatto il nome di un individuo, mai preso in considerazione prima d’ora. Una persona che potrebbe essere implicata nell’omicidio e che scappò all’estero pochi giorni dopo il delitto». Una frase che pesa, perché arriva da chi quella storia l’ha vissuta dall’interno. E perché, per la prima volta, si cita un potenziale nuovo protagonista.
La Procura di Perugia, per ora, non conferma l’apertura di un nuovo fascicolo. Ma Mignini specifica: «Ci sono elementi che potrebbero far pensare che questa persona abbia un qualche coinvolgimento nella vicenda. Ho segnalato la cosa alla Procura di Perugia». Poi un retroscena: «Se avessi conosciuto certi particolari all’epoca, avrei sicuramente approfondito. Purtroppo, per anni, chi sapeva non ha parlato per paura».
Nel frattempo, la storia resta segnata dalla condanna di Rudy Guede — oggi libero — e dall’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito dopo un percorso giudiziario infinito. Una conclusione che Mignini non ha mai considerato soddisfacente. «Le circostanze sono state fortunate per loro», osserva. E aggiunge: «Sicuramente Knox e Sollecito pensano di aver “stravinto” ma la realtà è ben diversa. Bastava che l’avvocato Biscotti non chiedesse il rito abbreviato per Guede e la condanna sarebbe stata certa anche per loro».
Non un’accusa esplicita, ma un’ombra che torna. «Sono stati assolti con formula dubitativa», ricorda l’ex pm. «Gli unici presenti sul luogo del delitto erano con certezza conclamata Amanda Knox e quasi certamente Raffaele Sollecito. Il dubbio è su quello che hanno fatto. Hanno partecipato o sono stati solo spettatori?». Una domanda che sembra avere perso i confini del processo per diventare terreno di memoria, convinzioni personali, ferite istituzionali.
Diciotto anni dopo, Meredith Kercher resta al centro di una storia giudiziaria che continua a interrogare più che a rassicurare. E nell’Italia che osserva questi ritorni, c’è una sensazione sospesa: come se il tempo avesse provato a chiudere una porta che qualcuno, ancora oggi, non riesce a sigillare.
Politica
Nuovo amore per Maria Elena Boschi: dopo Berruti arriva l’avvocato Roberto Vaccarella. Prima fuga romantica a New York
Avvistati a Capalbio e pronti per un viaggio insieme negli Stati Uniti, Boschi e Vaccarella sembrano intenzionati a vivere questo nuovo legame lontano dal clamore. Per la deputata di Italia Viva si apre una nuova fase sentimentale: discreta, sorridente e con il passo leggero di chi ricomincia.
Archiviata una storia lunga e mediatica, se ne apre un’altra, più silenziosa ma non per questo meno intensa. Maria Elena Boschi sembra aver ritrovato il sorriso accanto a Roberto Vaccarella, avvocato penalista e fratello di Elena, da anni compagna del presidente del CONI Giovanni Malagò.
Dopo cinque anni con l’attore Giulio Berruti — relazione intensa, raccontata e spesso sotto i riflettori — l’ex ministra di Italia Viva sceglie oggi un passo diverso. Meno esposizione, più vita reale. La notizia è circolata nelle ultime ore dopo le indiscrezioni sui primi avvistamenti a Capalbio, poi confermati da più fonti. Passeggiate, cene riservate, niente ostentazione.
A questo si aggiunge un dettaglio che racconta bene l’evoluzione del rapporto: i due sarebbero pronti a partire per New York per la loro prima vacanza a due. Un viaggio simbolico, di quelli che segnano il passaggio da conoscenza promettente a coppia ufficiale. E chi conosce Boschi racconta di una serenità nuova, più matura, più protetta.
La parabola è chiara: dalle copertine alla discrezione, dall’amore cinematografico a una relazione che sembra preferire il passo lento e gli occhi bassi sulle cose piccole. Il resto, al momento, resta fuori dall’inquadratura. Nessun annuncio, nessuna foto insieme, nessuna conferma social.
Per lei è un ritorno a una normalità voluta, dopo anni in cui la vita privata è stata materia di dibattito pubblico. Oggi la narrazione cambia: c’è spazio per un sorriso nelle vie del centro, per un viaggio programmato con calma, per un tempo personale che non chiede applausi.
Se son rose fioriranno, dice il proverbio. Qui, per ora, c’è un bocciolo custodito, e la scelta precisa di lasciarlo crescere senza fretta. In un mondo che corre, Maria Elena Boschi — almeno sul fronte del cuore — sembra aver deciso di fermarsi dove il ritmo è più umano. E di ripartire, stavolta, solo quando sarà il momento.
Politica
“Cerchiamo di non dare notizie sulla villa di Giorgia Meloni”: il messaggio di Ghiglia e il caso privacy che agita Palazzo Chigi
La vicenda nasce dall’interrogazione di Italia Viva sui lavori dell’abitazione della premier. Nei messaggi agli uffici, il componente del Garante Privacy chiedeva se fosse possibile “coprire” alcuni dati. In aula, il governo respinse la richiesta di dettagliare i fornitori per motivi di riservatezza.
Quando un messaggio diventa un caso politico, il confine tra diritto alla privacy e trasparenza pubblica si fa sottile. È il cuore della storia ricostruita da “Report”, che punta i riflettori su Agostino Ghiglia, componente dell’Autorità garante per la Privacy in quota Fratelli d’Italia, e sul suo intervento a tutela della premier Giorgia Meloni.
Il messaggio agli uffici
Il programma di inchiesta riporta una comunicazione interna di Ghiglia, risalente ai primi giorni del 2025, in cui il componente dell’Autorità chiede di approfondire l’interrogazione parlamentare presentata da Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi. Il tema era la villa acquistata dalla presidente del Consiglio per 1,1 milioni di euro nella zona del Torrino, a Roma. Il messaggio è netto: «Cercatemi interrogazione Bonifazi. Approfondiamo se è suo diritto ad avere risposta a tutte le domande, in dettaglio. O se qualcosa si può coprire in termini di protezione dati, al netto della trasparenza e dell’interesse pubblico. Urgente».
Le interrogazioni e la linea del governo
Secondo “Report”, quell’indicazione puntava a verificare se fosse possibile limitare la quantità di informazioni fornite. Una strategia che si riflette poi nella risposta dell’esecutivo: in aula il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, rifiuta di comunicare l’elenco dei fornitori impegnati nei lavori di ristrutturazione della villa, richiamando la tutela della riservatezza. «Verrebbe meno l’aspettativa di privacy», spiegò.
La cronologia del trasferimento
Il dossier sulla residenza della premier era già emerso mesi prima delle Europee del 2024, quando Meloni lasciò l’abitazione messa a disposizione in comodato dal senatore di Fratelli d’Italia Giovanni Satta per trasferirsi nella nuova casa. L’acquisto, perfezionato nel gennaio 2025 senza mutuo, riguardava una villa “chiavi in mano”, come la stessa premier aveva puntualizzato, chiamandosi fuori da eventuali domande su precedenti abusi edilizi e specificando che ogni responsabilità era prevista nel contratto di compravendita.
Il nodo politico: privacy o opacità?
Il caso apre una riflessione: fino a che punto la riservatezza può legittimare il silenzio della pubblica amministrazione quando si parla di figure istituzionali? Da un lato il diritto alla privacy, dall’altro il principio di trasparenza legato alla gestione della cosa pubblica. Una tensione che torna ciclicamente, soprattutto quando si intrecciano ruoli di governo, interrogazioni parlamentari e controlli istituzionali.
Se per alcuni si tratta di legittima tutela della sicurezza e della privacy di una figura apicale, per altri è un precedente delicato. Nel mezzo, ancora una volta, l’equilibrio sottile che separa ciò che i cittadini hanno il diritto di sapere e ciò che resta nelle stanze dei palazzi romani.
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