Cose dell'altro mondo
Salvate il baccello Goroshek: tanto rumore per nulla, anzi… per un pisello
Una coppia di turisti che subisce il furto delle valigie e del proprio peluche preferito, si vede proiettata in una spy story degna di un romanzo di John Le Carré…

Una storia che ha del surreale e che prende lo scorso 1° settembre, quando una coppia di tiristi russi, Karo Astapov e Ann, denunciano il furto dei loro bagagli, tra cui una contenente il loro pupazzo “Goroshek”: un baccello di pisello, simbolo del loro amore. E fin qui nulla di strano… a parte la scelta dell’oggetto che dovrebbe rappresentare il loro rapporto. Ma come si dice: contenti loro…
Caccia al baccello
Sul baccellone mettono una ricompensa di 20.000 euro a chi lo dovesse recuperare, scatenando una vera e propria caccia al tesoro nei vicoli di Roma. Com’era logico aspettarsi, il caso diventa virale: i volantini tappezzano i muri di Trastevere, e in rete le segnalazioni fioccano.
Un caso degno di Chi l’ha visto
Naturalmente, al posto del vero Goroshek, iniziano a spuntare numerosi pupazzi simili. Ogni segnalazione viene attentamente esaminata da Karo, al suo rientro nella madre patria moscovita, anche se nessuna corrisponde al suo peluche. Tra i vari ritrovamenti, uno in particolare sembra portare a una svolta: un tizio, che mantiene l’anonimato, afferma di aver recuperato Goroshek a Villa Pamphili, allegando anche una foto. Dopo un’attenta analisi, Karo conferma che il pupazzo non è il loro: quello dello scatto ricevuto appare troppo nuovo e soffice rispetto al loro, vecchio di dieci anni e dall’aspetto più “magro”. D’altronde, 20.000 euro fanno gola a molti, soprattutto in questi tempi di “vacche magre”.
Arriva pure, immancabile, la teoria complottista
La surrealtà dell’episodio aumenta al palesarsi di alcune assurde teorie complottiste. Per alcuni il baccellone conterrebbe delle microspie, con la coppia russa presentata come spie del KGB. Il buffo Goroshek non sarebbe un semplice peluche di pessimo gusto ma uno strumento di intelligence gathering, utilizzato per raccogliere informazioni segrete, giustificando in questo modo la ricompensa sostanziosa offerta per il suo recupero.
Non siamo spie
Tutte cose che, nella scocciatura dello smarrimento, non possono che divertire i due russi. In una chat con il giornalista che segue la vicenda, Karo afferma ironicamente che, se davvero Goroshek contenesse microspie, lo avrebbero già ritrovato: “Non siamo spie, e non ci sono diamanti nascosti nel pupazzo”.
Legame affettivo
Sarà banale dirlo ma per i due russi il pupazzo vale molto di più dei soldi offerti per il suo ritrovamento. Per alcuni potrà sembrare una romanticheria fuori dal tempo ma loro ci tengono veramente. E se ne infischiano se la questione ha ormai assunto i contorni di una spy story in piena regola…
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Cose dell'altro mondo
Il fantasma dell’umido: si traveste da spettro per buttare la spazzatura a Monreale
Con un lenzuolo in testa e un sacchetto in mano, il “fantasma dell’umido” sperava di farla franca. Ma la polizia municipale ha seguito le sue tracce fino a casa, infliggendogli una multa e scatenando l’ilarità del sindaco e dei cittadini

A Monreale, in provincia di Palermo, la raccolta differenziata ha toccato l’80%, ma c’è sempre chi tenta di eludere le regole. L’ultimo a provarci è stato un uomo – o forse una donna – che ha deciso di travestirsi da fantasma per gettare l’immondizia in modo illegale. Con un lenzuolo bianco calato sulla testa e un sacco della spazzatura in mano, ha sfidato i turni e le regole, convinto che bastasse un costume per non farsi riconoscere.
Il “fantasma dell’umido” ha pensato che una mascherata fosse la via più semplice per liberarsi dei rifiuti senza pagare dazio. Ma non ha fatto i conti con le telecamere di videosorveglianza, ormai puntate su ogni angolo della città. Gli agenti della polizia municipale lo hanno seguito in diretta, dalle prime manovre furtive davanti ai cassonetti fino al momento in cui, sfilato il lenzuolo, è tornato a casa convinto di averla fatta franca.
“Ciò che ha ottenuto – ha commentato il sindaco di Monreale Alberto Arcidiacono – è che verrà preso in giro da tantissimi”. Un siparietto tragicomico, che ha fatto il giro dei social e ha scatenato l’ironia degli utenti. Ma dietro la risata resta la fermezza del Comune. “Abbiamo installato le telecamere non per sanzionare, ma per educare i pochi che si ostinano a non rispettare la differenziata”, ha precisato il primo cittadino.
E l’assessore Giulio Mannino ha rincarato la dose: “A ogni ‘furbetto’ deve essere chiaro che il suo comportamento non resta impunito. Daremo la caccia a questi fantasmi e li porteremo alla luce”.
Il travestimento fantasioso dell’uomo – che forse sperava di passare inosservato – è stato invece la sua condanna. Il Comune ha potuto risalire con esattezza al suo domicilio e notificargli la sanzione. E ora che la sua impresa è venuta a galla, la beffa è doppia: una multa salata e la berlina pubblica.
Il caso del “fantasma dell’umido” è solo l’episodio più curioso di un fenomeno più ampio. Come spiega il sindaco, la zona di San Martino delle Scale è spesso teatro di abbandoni illeciti. “Chi viene a fare le scampagnate lascia di tutto, anziché portarlo via – dice Arcidiacono – comportamenti inqualificabili che stiamo cercando di fronteggiare”.
Questa volta, però, il trasgressore ha superato la fantasia. Travestirsi da spettro per non farsi beccare. Peccato che a Monreale, anche i fantasmi hanno un volto. E, come ha detto il sindaco, ora c’è solo da ridere.
Cose dell'altro mondo
Si può riscrivere il passato con un bisturi? Michelle Comi l’ha fatto
Michelle Comi ha deciso di tornare vergine grazie a un intervento chirurgico. Ma cosa c’è dietro questa scelta? Scopriamo cos’è la vaginoplastica e come la chirurgia estetica possa riscrivere il passato.

La creator e influencere Michelle Comi ha deciso di tornare vergine grazie a un intervento chirurgico, raccontando naturalmente la cosa sui social. Ma cosa c’è dietro questa scelta? Scopriamo cos’è la vaginoplastica e come la chirurgia estetica possa sfidare il tempo.
Riparando ad una “prima volta” deludente
La Comi ha sconvolto il web con un annuncio sorprendente: è tornata vergine! No, nessuna magia, solo un intervento di vaginoplastica. La giovane influencer ha spiegato che la sua prima volta è stata vissuta con troppa superficialità, lasciandole un profondo rimpianto. Così ha deciso di riavvolgere il nastro della sua vita intima affidandosi alla chirurgia. Ma cosa comporta davvero questa operazione?
Vaginoplastica: un ritorno al passato
La vaginoplastica è un intervento che, tra le varie applicazioni, permette di ricostruire l’imene e di ristabilire un certo grado di tonicità vaginale. Questo tipo di operazione, spesso associata a motivazioni culturali o personali, è oggetto di dibattiti accesi tra chi la considera un diritto individuale e chi la vede come un’inutile pressione sociale.
Un modo per riattribuire un valore perduto
Michelle, consapevole delle critiche, ha spiegato: «La chirurgia, che spesso demonizzate, in questo caso mi aiuta a superare un dolore profondo». Per lei, l’intervento non è solo una questione estetica, ma un modo per riprendersi il controllo della propria esperienza intima e darle il valore che avrebbe voluto fin dall’inizio.
Tra curiosità e polemiche: il web si divide
Come sempre accade con le scelte personali esposte sui social, il pubblico si è diviso. Da un lato c’è chi la sostiene e applaude il suo coraggio nel raccontarsi senza filtri, dall’altro chi ritiene che un’esperienza passata non possa essere cancellata con un’operazione chirurgica.
La discussione impazza
Quel che è certo è che Michelle ha acceso i riflettori su un tema poco discusso e pieno di sfaccettature. Al di là delle opinioni, la sua storia dimostra ancora una volta che, nella vita e nella chirurgia, ognuno deve sentirsi libero di scegliere ciò che lo fa stare meglio. E voi, cosa ne pensate? Si può davvero riscrivere il passato con un bisturi? La verginità è più un fatto anatomico o uno stato mentale? Meditate gente, meditate… che il tema non è affatto superficiale come potrebbe apparire.
Cose dell'altro mondo
Maxi rogo di marijuana in Turchia intossica 25 mila persone
L’idea di bruciare tonnellate di marijuana senza adeguate misure di contenimento ha creato un’emergenza sanitaria evitabile, con migliaia di persone costrette a convivere con le conseguenze di una scelta discutibile.

Un’operazione della gendarmeria turca nella provincia di Lice, nel sud-est della Turchia, ha avuto conseguenze inaspettate e gravi per la popolazione locale. La scorsa settimana, le autorità hanno effettuato un sequestro di 20 tonnellate di marijuana, coltivata e prodotta nell’area, un quantitativo enorme destinato alla distruzione. Ma la modalità scelta dai militari per smaltire la droga ha dell’incredibile e ha scatenato una crisi sanitaria senza precedenti. Le forze dell’ordine hanno deciso di bruciare la marijuana all’aperto, provocando un’intossicazione di massa che ha colpito ben 25 mila persone.
La protesta dei residenti è esplosa immediatamente, con numerose denunce rivolte alle autorità turche, accusate di aver gestito la situazione in modo approssimativo e pericoloso. Il fumo sprigionato dalla combustione ha investito diversi villaggi dell’area, causando malori diffusi, difficoltà respiratorie e una serie di effetti collaterali che hanno compromesso la quotidianità degli abitanti per giorni. Tra i più colpiti i bambini, molti dei quali sono tornati da scuola debilitati e con sintomi di intossicazione. Le famiglie hanno riferito di aver vissuto giorni terribili, impossibilitate perfino ad aprire le finestre, per paura di respirare il fumo tossico che si era diffuso nell’aria.
Un insolito smaltimento: la marijuana bruciata doveva formare la scritta “Lice”
Le modalità con cui la gendarmeria ha scelto di distruggere la droga hanno suscitato sconcerto e indignazione. Le balle di marijuana sequestrata sono state sistemate in modo da formare la scritta “Lice”, il nome della provincia, e poi incendiate. Il gesto, che sembrava quasi un’operazione scenografica, è stato documentato con riprese effettuate da droni, mostrando il fumo che si propagava nell’aria. Tuttavia, non si è tenuto conto delle conseguenze che una combustione di tale portata avrebbe avuto sulla popolazione locale.
La rabbiosa reazione della comunità
Gli abitanti di “Lice” e dei villaggi circostanti hanno espresso profondo sdegno per quanto accaduto, chiedendo che in futuro la distruzione di sostanze stupefacenti venga effettuata in modo più sicuro, lontano dai centri abitati e con metodi meno dannosi per la salute pubblica. “Sono giorni che non possiamo neanche aprire le finestre. Migliaia di persone e tantissimi bambini sono stati male. La droga deve essere bruciata in maniera più professionale e lontano dai centri abitati”, hanno dichiarato i residenti. Il caso ha sollevato importanti interrogativi sulla gestione del sequestro e sulla mancanza di protocolli adeguati per la distruzione delle sostanze illecite. Mentre le autorità difendono la loro operazione, la popolazione locale si sente abbandonata e esposta a gravi rischi sanitari.
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