Cose dell'altro mondo
Papa Francesco sorprende tutti e va al bar a prendersi un caffè: “Per favore, mi fa un espresso?”
Durante la visita in Lussemburgo, il Pontefice rompe il protocollo e va al bar dopo pranzo per gustarsi un caffè. Il barista: “Il caffè più stressante che abbia mai preparato”
LUSSEMBURGO. Non smette mai di stupire Papa Francesco, capace di trasformare ogni occasione in un momento di vicinanza e autenticità. Durante il viaggio ufficiale in Lussemburgo, il Pontefice ha aggiunto un tocco personale alla sua visita rompendo il protocollo. Dopo il pranzo con l’amico cardinale Jean Claude Hollerich, ha chiesto di fare una breve sosta in un bar per un caffè. Una richiesta che ha lasciato di stucco gli accompagnatori, abituati a ben altro tipo di impegni ufficiali.
È così che Papa Francesco si è trovato al caffè Grupetto, un locale frequentato soprattutto da tifosi del ciclismo, in Rue Notre Dame. Ad accoglierlo un giovane barista, André Ribeiro, che, incredulo, si è ritrovato a preparare il caffè più importante della sua vita. “È stato il caffè più stressante che abbia mai fatto”, ha raccontato Ribeiro, ancora emozionato per l’incontro inatteso. Il Papa, seduto sulla sua sedia a rotelle e circondato dalle guardie del corpo, ha sorseggiato l’espresso con la serenità di chi fa parte della vita quotidiana, scambiando qualche parola con i presenti e regalando sorrisi.
Una scena quasi surreale, quella di Papa Francesco al bancone di un bar, ma che riflette perfettamente il suo stile di vicinanza alla gente. Non è la prima volta che il Pontefice stupisce con gesti di estrema semplicità. A Roma aveva fatto parlare di sé quando decise di recarsi personalmente dall’ottico per sostituire le lenti degli occhiali, attirando curiosi e passanti increduli nel centro storico della capitale. E chi può dimenticare quando partecipò a una cena con i volontari della Giornata Mondiale della Gioventù e mangiò la famosa pizza di O’ Zì Aniello, scherzando e scattando foto con tutti come se fosse uno di famiglia.
Tornando al bar di Lussemburgo, il Papa ha dimostrato ancora una volta la sua attenzione verso le persone comuni. Dopo aver lasciato il locale, si è fermato lungo il percorso per benedire una donna incinta, un gesto che ha emozionato non solo la futura mamma, ma anche tutti coloro che hanno assistito alla scena. “Mi ha benedetto il pancione, è stata un’emozione indescrivibile”, ha raccontato la donna.
Questi gesti, che possono sembrare piccoli e informali, raccontano in realtà molto della personalità di Papa Francesco. La sua capacità di rompere le barriere del protocollo, di avvicinarsi alla gente comune, di condividere momenti di vita quotidiana con semplicità e spontaneità, rendono ogni sua azione un esempio di umanità e vicinanza. Anche il barista André Ribeiro, nel ricordare quel momento unico, ha detto che l’atmosfera del locale si è improvvisamente riempita di calore e serenità.
Dopo il caffè e gli incontri lungo il percorso, il Papa è tornato alla Casa Arcivescovile per continuare la giornata prevista. Un fuori programma, quello di Lussemburgo, che ha aggiunto un capitolo di umanità e semplicità alla storia di un Pontefice che non smette mai di sorprenderci, anche con un semplice espresso.
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Cose dell'altro mondo
Morire sola “come un cane”: per qualcuno una scelta precisa
Una frase, breve e precisa, presente a chiusura del lungo testo del manifesto funebre. E’ quanto si legge per le strade di Villasanta, in provincia di Monza: l’ultimo desiderio di una 58enne, davvero inusuale ma da rispettare.
Si tratta di una vicenda molto particolare, che potremmo definire “bizzarra” e che si presterebbe anche a della facile ironia… se l’interessato non fosse una persona che è venuta a mancare. Una situazione che ha generato una lunga polemica sui social, a partire da una foto scattata durante il necrologio.
L’inusuale manifesto funebre
Affisso in paese, lascia sbigottiti i residenti
Il manifesto funebre che rendeva nota la dipartita di una 58enne di Villasanta (Monza) dopo una lunga malattia, ha lasciato sorpresi tutti gli abitanti del paese. Altro che la classica frase “non fiori, ma opere di bene”… nel testo compare un passaggio quantomeno inusuale: “astenersi dalle esequie vicini e parenti”. Come a dire… non voglio nessuno al mio funerale, statevene a casa e lasciatemi (riposare) in pace.
La sorella si è occupata di tutto
La sorella della donna defunta si è fatta completamente carico di questa anomale ultime volontà: esequie rigorosamente interdette a “vicini di casa e parenti”, senza dimenticare di ringraziare “quanti, incontrandola, le hanno riservato saluti e quanti nell’ultimo periodo si sono sinceramente preoccupati per le sue condizioni”.
La chiesa vuota
Al rito funebre celebrato lo scorso i17 settembre, la chiesa parrocchiale del comune brianzolo ha visto presente la sorella, che l’ha “amorevolmente accudita fino agli ultimi istanti di vita”, (come si legge nel necrologio) e un paio di persone, a quanto ci è dato sapere attraverso un quotidiano locale.
Andarsene in solitudine
Non sappiamo il motivo di questa scelta così drastica da parte della donna, che potrebbe sembrare dettata da un incontenibile livore nei confronti di tutto e tutti. E, tutto sommato, non è neanche importante capirlo, è stata una sua scelta e come tale va rispettata. In fondo, morire è un po’ come sognare: un’attività che si fa completamente da soli…
Cose dell'altro mondo
Salvate il baccello Goroshek: tanto rumore per nulla, anzi… per un pisello
Una coppia di turisti che subisce il furto delle valigie e del proprio peluche preferito, si vede proiettata in una spy story degna di un romanzo di John Le Carré…
Una storia che ha del surreale e che prende lo scorso 1° settembre, quando una coppia di tiristi russi, Karo Astapov e Ann, denunciano il furto dei loro bagagli, tra cui una contenente il loro pupazzo “Goroshek”: un baccello di pisello, simbolo del loro amore. E fin qui nulla di strano… a parte la scelta dell’oggetto che dovrebbe rappresentare il loro rapporto. Ma come si dice: contenti loro…
Caccia al baccello
Sul baccellone mettono una ricompensa di 20.000 euro a chi lo dovesse recuperare, scatenando una vera e propria caccia al tesoro nei vicoli di Roma. Com’era logico aspettarsi, il caso diventa virale: i volantini tappezzano i muri di Trastevere, e in rete le segnalazioni fioccano.
Un caso degno di Chi l’ha visto
Naturalmente, al posto del vero Goroshek, iniziano a spuntare numerosi pupazzi simili. Ogni segnalazione viene attentamente esaminata da Karo, al suo rientro nella madre patria moscovita, anche se nessuna corrisponde al suo peluche. Tra i vari ritrovamenti, uno in particolare sembra portare a una svolta: un tizio, che mantiene l’anonimato, afferma di aver recuperato Goroshek a Villa Pamphili, allegando anche una foto. Dopo un’attenta analisi, Karo conferma che il pupazzo non è il loro: quello dello scatto ricevuto appare troppo nuovo e soffice rispetto al loro, vecchio di dieci anni e dall’aspetto più “magro”. D’altronde, 20.000 euro fanno gola a molti, soprattutto in questi tempi di “vacche magre”.
Arriva pure, immancabile, la teoria complottista
La surrealtà dell’episodio aumenta al palesarsi di alcune assurde teorie complottiste. Per alcuni il baccellone conterrebbe delle microspie, con la coppia russa presentata come spie del KGB. Il buffo Goroshek non sarebbe un semplice peluche di pessimo gusto ma uno strumento di intelligence gathering, utilizzato per raccogliere informazioni segrete, giustificando in questo modo la ricompensa sostanziosa offerta per il suo recupero.
Non siamo spie
Tutte cose che, nella scocciatura dello smarrimento, non possono che divertire i due russi. In una chat con il giornalista che segue la vicenda, Karo afferma ironicamente che, se davvero Goroshek contenesse microspie, lo avrebbero già ritrovato: “Non siamo spie, e non ci sono diamanti nascosti nel pupazzo”.
Legame affettivo
Sarà banale dirlo ma per i due russi il pupazzo vale molto di più dei soldi offerti per il suo ritrovamento. Per alcuni potrà sembrare una romanticheria fuori dal tempo ma loro ci tengono veramente. E se ne infischiano se la questione ha ormai assunto i contorni di una spy story in piena regola…
Cose dell'altro mondo
Carbonara in lattina! L’abbiamo provata per voi ed è il peggiore degli incubi…
Abbiamo assaggiato la pasta alla carbonara della Heinz una settimana fa. Risultato? Da dimenticare…
Avendo una certa età ne abbiamo attraversate tante di esperienze. Anche quelle culinarie. Ma la carbonara Heinz anche no, per favore! E’ un affronto al palato e alla tradizione culinaria italiana. Con curiosità a Londra abbiamo assaggiato questa…cosa. Risultato? La pasta, spezzata e insipida, galleggiava in un brodo lattiginoso e annacquato – molto simile alla colla usata per la carta da parati. Assai lontano dalla cremosa salsa a base di uova, pecorino romano e guanciale che caratterizza il piatto originale. L’assenza totale di sapore, unita a un aroma che ricordava più un vecchio “mocio Vileda” bagnato che un piatto di pasta, ha reso la nostra esperienza gastronomica davvero indimenticabile… nel senso negativo del termine naturalmente!
Assenza totale di gusto
Questa opportunità ce l’ha fornita la premiazione dei World’s 50 Best Hotels, la classifica internazionale dell’industria dell’ospitalità. Il test lo abbiamo fatto nel caratteristico Brixton Village, considerato il mercato più alternativo di Londra. Un incrocio di culture diverse e multietniche con mille bancarelle e ristorantini di diverse nazionalità. Xanthe Clay, autrice di libri di cucina ed esperta di consumi con la sua ironia, sulla carbonata in scatola, ha rincarato la dose, definendo questo “miscuglio” un prodotto deludente, dalla consistenza che assomiglia più a una zuppa e dall’odore che ricorda il brodo di pollo. Ma c’è un ma…
Un cucchiaio al posto della forchetta
La giornalista e food blogger aggiunge, forse per giustificare la scelta della Heinz, che considerando il target a cui si rivolge questo prodotto potrebbe avere successo. Nei suoi commenti e soprattutto nei suoi ‘distinguo’ Xanthe è stata fin troppo generosa parlando di un vago odore di brodo di pollo. Leggendo bene la lista degli ingredienti per ricreare la ‘cremina’ sono stati utilizzati latte scremato in polvere, farina di mais e altri addensanti che non riescono ad addensare proprio un bel nulla. Altro che pastasciutta! Per assaggiarla abbiamo utilizzato un cucchiaio.
Qualcosa del tutto privo di sapore
Questa parodia di carbonara non avrà successo a meno che prevalgano i gusti – un po’ particolari – degli anglosassoni che, così come gli americani, utilizzano spesso cibi in scatola e non capiscono la differenza tra un gusto e l’altro. Gli inglesi in scatola si mangiano un po’ di tutto dai ravioli al burro, agli anellini al sugo. Sono abituati a gusti industriali e a improbabili consistenze. E chissà che, una volta assaggiata la carbonara in scatola, a qualcuno non venga la voglia di assaggiare quella fatta al ristorante. E se non riescono a venire in Italia che almeno cerchino un buon ristorante italiano della City.
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