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Cucina

Il risotto agli asparagi: storia, tradizione e un pieno di benefici per il palato e la salute

Dalle origini antiche all’evoluzione moderna, il risotto agli asparagi è un classico della cucina italiana che unisce tradizione, sapore e creatività, con varianti per ogni palato e importanti benefici nutrizionali

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    Il risotto agli asparagi è un grande classico della cucina italiana, apprezzato per la sua semplicità e il gusto delicato. Questo piatto è nato nelle regioni settentrionali, in particolare in Lombardia e Veneto, dove il risotto è parte integrante della tradizione culinaria e gli asparagi, freschi e di stagione, si trovano facilmente nelle campagne a primavera. La combinazione tra il sapore cremoso del riso e il gusto caratteristico degli asparagi crea un’armonia unica che ha conquistato gli amanti della cucina tradizionale e contemporanea.

    Storia e tradizione

    La storia del risotto agli asparagi si intreccia con quella dei primi risotti italiani. Il risotto nasce intorno al XV secolo, quando il riso cominciò a diffondersi in Italia grazie ai commerci con l’Oriente. Nel Nord Italia, i risotti sono diventati il simbolo di una cucina che valorizza ingredienti semplici e locali, e gli asparagi sono entrati presto in scena, soprattutto nel periodo primaverile quando raggiungono il picco della freschezza. Originariamente, il risotto agli asparagi veniva cucinato nei casali lombardi e veneti, con il riso delle campagne circostanti e gli asparagi selvatici raccolti a mano. Da allora, il piatto è rimasto un caposaldo della tradizione, arricchito e variato nel tempo, pur mantenendo il legame con la semplicità delle origini.

    Proprietà nutrizionali

    Gli asparagi sono protagonisti di questo piatto non solo per il sapore ma anche per le loro proprietà benefiche. Ricchi di vitamine A, C, E e K, gli asparagi contengono anche importanti antiossidanti e folati, sostanze utili per il sistema immunitario e per la salute cardiovascolare. Il risotto agli asparagi, quindi, non è solo un piacere per il palato ma anche una scelta salutare. Il riso fornisce energia a lunga durata, grazie ai carboidrati complessi, ed è facilmente digeribile. Inoltre, se preparato con brodo vegetale e senza troppi condimenti, il risotto agli asparagi può essere un pasto leggero ma nutriente, ideale anche per chi segue una dieta equilibrata.

    Variazioni sul tema

    Il risotto agli asparagi, pur essendo perfetto nella sua versione base, si presta a numerose variazioni che ne arricchiscono il gusto. Tra le varianti più popolari troviamo il risotto agli asparagi e pancetta, in cui la pancetta aggiunge una nota croccante e saporita; oppure il risotto agli asparagi e gamberetti, una versione più sofisticata che unisce il sapore delicato del pesce a quello degli asparagi. Un’altra opzione interessante è il risotto agli asparagi e zafferano, una combinazione che regala al piatto un colore dorato e un aroma più intenso.

    Gli chef più creativi amano sperimentare aggiungendo formaggi come il gorgonzola o il pecorino per un sapore più deciso, o optando per un tocco di limone o erbe fresche, come il timo e il basilico, per una nota agrumata e fresca. Infine, per chi cerca una versione più cremosa, l’aggiunta di un cucchiaio di mascarpone o di crema di formaggio in fase di mantecatura è l’ideale.

    Ecco gli ingredienti per preparare un classico risotto agli asparagi, per circa quattro persone:

    Ingredienti

    • 320 g di riso Carnaroli (o Arborio)
    • 300 g di asparagi (freschi, tagliati a rondelle e tenendo le punte intere)
    • 1 cipolla (piccola, tritata finemente)
    • 1,2 l di brodo vegetale (circa, da aggiungere man mano)
    • 50 ml di vino bianco (per sfumare)
    • 40 g di burro (di cui metà per la mantecatura)
    • 60 g di parmigiano grattugiato
    • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
    • Sale e pepe (q.b.)

    Procedimento

    Dopo aver pulito e tagliato a rondelle gli asparagi, si fa rosolare la cipolla nell’olio d’oliva e metà del burro. Si aggiungono poi gli asparagi, facendoli cuocere leggermente e insaporire. In una casseruola a parte, il riso viene tostato a secco per un minuto, sfumato con il vino bianco e quindi cotto con aggiunte graduali di brodo caldo. Dopo qualche minuto si uniscono anche gli asparagi (tenendo da parte le punte per guarnire). A cottura ultimata, il risotto viene mantecato con il burro restante e il parmigiano per ottenere una cremosità perfetta. Buon appetito!

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      Cucina

      Grigliata di Ferragosto, i segreti del “re della carne” Dario Cecchini: come scegliere i tagli e non sbagliare

      Dario Cecchini, volto iconico della macelleria italiana e protagonista della serie Netflix Chef’s Table, racconta a Cook la sua filosofia: qualità prima di tutto, niente sprechi, attenzione alle cotture lente e ai tagli meno conosciuti. Ecco come arrivare al Ferragosto con il fuoco giusto e la carne perfetta.

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        A Ferragosto il profumo della brace è un richiamo primordiale. Giardini, cortili, spiagge: ovunque il crepitio del fuoco annuncia la festa. Ma per trasformare una grigliata in un rito di piacere collettivo serve più di qualche bistecca buttata alla rinfusa. Serve conoscenza, rispetto per la materia prima e un’idea precisa di cosa mettere sulla griglia. Lo sa bene Dario Cecchini, il “re della carne” di Panzano in Chianti, macellaio da mezzo secolo, oggi anche ristoratore in Franciacorta e volto internazionale grazie a Chef’s Table.

        Intervistato da Cook, Cecchini parte da un concetto semplice: la quantità. «Calcolate 300-400 grammi di carne a persona — dice —. Per appetiti davvero robusti anche mezzo chilo, ma è una misura da toscani». La vera astuzia, però, è bilanciare: accanto a costate e salsicce, insalate, bruschette e antipasti preparati in anticipo alleggeriscono il pasto e permettono di assaporare tutto senza eccessi.

        Poi c’è il cuore della grigliata: il fuoco. Per Cecchini il primo acquisto non è la carne, ma legna e carbone di qualità, rigorosamente vegetali e privi di additivi chimici. «Dal fuoco dipende la riuscita. Se non trovate buona legna, usate carbone, ma che sia pulito», raccomanda.

        Sul fronte delle carni, Cecchini mette subito in chiaro la sua filosofia: «Essere carnivori è una responsabilità. Scelgo solo animali adulti, cresciuti bene. Il vitello giovane, oltre a non avere avuto una vita dignitosa, ha una carne troppo tenera e poco saporita». E allora via libera a manzo di qualità, con tagli che vanno dalla costata alla fiorentina — Chianina se possibile — passando per filetto, controfiletto, scamone, codone e pezza. Con un consiglio tecnico: cuocere il filetto intero, così da preservarne la morbidezza delle fibre.

        Ma il macellaio toscano invita anche a uscire dalla comfort zone. «Non esistono solo i tagli nobili. Il diaframma, il ragno, la parte alta della pancia: cotti con pazienza, regalano sapori sorprendenti». Tagli poveri, certo, ma capaci di conquistare se rispettati. «La carne è sacra. Nulla deve essere sprecato».

        E se il manzo resta protagonista, il maiale ha capitoli da prima fila. Oltre alle classiche costine e braciole, Cecchini mette sul podio la scamerita: coppa fresca di maiale, tagliata a fette spesse e profumata di fiori di finocchio selvatico, come vuole la tradizione toscana. Per chi ama le carni bianche, impossibile non citare il pollo: alette e fusi da cuocere lentamente su fuoco indiretto, con una finitura di limone, pepe e erbe aromatiche.

        Alla fine, il Ferragosto secondo Dario Cecchini è un equilibrio di sapori, tempi e scelte consapevoli. «Non serve strafare. Serve rispettare il fuoco, l’animale e il momento di condivisione. Il resto… è solo questione di cuore e brace».

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          Parmigiana leggera un corno: anche d’estate la melanzana si tuffa nel pomodoro e gode come sempre

          Dalla versione classica e bollente a quella fredda con stracciatella e basilico, la parmigiana d’estate resta la regina dei piatti italiani. Fritta, grigliata, scomposta o alla napoletana: ogni casa ha la sua liturgia, e guai a toccarla.

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            C’è un momento preciso in cui la parmigiana smette di essere solo un piatto e diventa una posizione esistenziale: è quando fuori ci sono 32 gradi, il ventilatore tossisce, il forno arroventa l’aria e tu, con un gesto da martire del gusto, scegli di prepararla lo stesso. Perché la parmigiana d’estate non è più una semplice pietanza: è un atto di fede. O meglio, di gola.

            Melanzane, pomodoro, mozzarella, basilico. E sopra tutto, un profumo che sa di Sud, di domeniche lunghe, di madri e nonne che “oggi solo due forchettate” e intanto ti affogano l’anima nel ragù. Ma con l’arrivo del caldo, anche lei, la regina, si reinventa. E si divide in almeno cinque correnti di pensiero.

            1. La classica (o integralista): fritta, afosa, irresistibile

            La melanzana si frigge. Punto. Al forno sì, ma solo dopo. Niente cotture light, niente rivisitazioni: qui si frigge in olio bollente, si stratifica con sugo e mozzarella e si inforna fino a quando il bordo non caramella. È pesante, è rovente, è uno schiaffo al fegato e un abbraccio al cuore. Si mangia tiepida, o il giorno dopo, da sola o col pane. E se non si unge il piatto, non è parmigiana.

            2. La grigliata (per chi ci crede ancora)

            Versione estiva, più gentile ma non meno dignitosa. Le melanzane si affettano sottili e si grigliano, una a una, come in una Via Crucis gastronomica. Poi si compongono a strati con mozzarella (meglio fiordilatte, ben scolato) e sugo fresco di pomodoro appena saltato con aglio e basilico. Si può evitare il forno: basta lasciarla riposare in frigo e mangiarla fredda. Funziona. Ma guai a chiamarla parmigiana davanti a una nonna del Sud.

            3. La scomposta (figlia di MasterChef)

            Melanzane a cubetti saltate in padella, quenelle di ricotta o stracciatella, pomodorini confit, gocce di pesto, crumble di pane. Esteticamente perfetta, ma a rischio bestemmia. È buona, sia chiaro. Ma è un’altra cosa. Come il gelato al basilico: interessante, ma non chiamiamolo basilico.

            4. La napoletana (con l’uovo dentro, e chi si azzarda a dire niente)

            A Napoli la parmigiana ha le uova sbattute tra gli strati. Non sempre, ma spesso. E c’è chi aggiunge anche il salame. In pratica, una bomba calorica che però ha senso anche d’estate. Soprattutto se la mangi fredda, come si fa il giorno dopo, tagliata a quadrotti, con la crosticina che scricchiola sotto i denti e il pomodoro che ha avuto il tempo di sposarsi con tutto. Matrimonio perfetto.

            5. La light (o “salutista da terrazza”)

            Melanzane cotte al vapore (già qui qualcuno storce il naso), pomodorini crudi, fiocchi di latte o yogurt greco, basilico e un filo d’olio. Freschissima, veloce, ottima per chi vuole restare in forma. Ma diciamocelo: è un’altra cosa. Una bellissima insalata di melanzane, ma non una parmigiana. Lei, la vera, la riconosci perché ti chiede un sorso di vino rosso, una fetta di pane e mezz’ora di riposo sul divano dopo averla mangiata.


            Il trucco della nonna: mai usare mozzarella troppo fresca. Va lasciata a sgocciolare in frigo per almeno tre ore. O vi ritroverete un lago al centro della teglia. E se proprio volete una parmigiana perfetta, fatela riposare. Come la vendetta, è un piatto che dà il meglio di sé freddo o tiepido. O, meglio ancora, il giorno dopo.

            E allora sì, anche con 35 gradi all’ombra, mentre l’insalata vi fissa dal piatto di fianco, voi affondate la forchetta nella parmigiana e capite che certe passioni, d’estate, non si spengono. Anzi, si sciolgono. Con la mozzarella.

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              Grigliatori seriali: storie vere di uomini e barbecue al limite della legalità

              C’è il carbonizzatore compulsivo, il talebano delle marinature, l’hipster del carbone bio e il filosofo della griglia. L’estate li scatena tutti: armati di carne, birra e superiorità morale. Viaggio semiserio tra i fanatici del barbecue da giardino.

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                A Ferragosto non è una semplice grigliata. È una guerra di ego, fumo e salsicce. In ogni quartiere, condominio o casa vacanze, appena arriva l’estate, si risveglia l’istinto tribale del grigliatore seriale. E no, non parliamo solo di cucina: parliamo di maschi alfa in bermuda e sandali che si trasformano in sciamani del barbecue.

                Il più pericoloso è il carbonizzatore compulsivo: quello che ti promette “cottura perfetta” e poi serve pollo che potresti usare per incidere la pietra. Quando gli fai notare che il wurstel ha preso fuoco, risponde “Così è più saporito”.

                Poi c’è il maniaco delle marinature, che inizia a preparare tutto due settimane prima, usa sette tipi di spezie sconosciute e ti vieta di toccare la carne perché “non si gira prima dei quattro minuti e trentadue secondi per lato”. Se osi chiedere il ketchup, ti guarda come se avessi bestemmiato in latino.

                Il più snob? Il bio-grigliatore esteta, che compra solo carbone attivato da quercia del Madagascar, usa griglie in acciaio chirurgico e serve tofu affumicato su ardesia. Sostiene che la carne sia una violenza ma ti punta comunque la pinza contro se non apprezzi il suo burger di ceci e miso.

                Infine c’è lui, il filosofo della griglia: griglia poco, parla tanto. Ti racconta la storia del barbecue dalle caverne a oggi, ti spiega la simbologia del fumo e poi ti serve un’arista cruda, perché “è il simbolo dell’incompletezza dell’uomo moderno”.

                E intanto le mogli, le fidanzate, i figli e i poveri invitati mangiano patatine e pregano che almeno l’anguria sia commestibile. Perché il vero rito del barbecue non è mangiare bene: è vedere un uomo (o una donna, ma più raramente) sentirsi onnipotente davanti a una griglia rovente e a una birra calda.

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