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Sic transit gloria mundi

Equalize e la sorveglianza di massa: gli esperti ci spiegano come difendersi da spioni e intrusi digitali

Dopo lo scandalo sui dossieraggi di massa, l’inchiesta che ha svelato l’enorme quantità di dati sottratti a ignari cittadini e persino a figure istituzionali, cresce l’allerta sui rischi di spionaggio digitale. Tra violazioni di account, app sospette e intrusioni sofisticate, difendersi diventa un imperativo: ecco tutti i consigli degli esperti per proteggere i propri dispositivi e mantenere al sicuro dati sensibili e privacy personale.

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    L’inchiesta sull’agenzia Equalize, emersa dai tribunali milanesi, ha mostrato un quadro inquietante: una società di cybersecurity che, invece di proteggere i dati, sembra averli sfruttati per spiare e accumulare informazioni su banchieri, politici e persino alte cariche istituzionali, tra cui il Presidente della Repubblica e il Presidente del Senato Ignazio La Russa. Dietro questo “database delle vite altrui” ci sarebbero stati Enrico Pazzali, manager influente, Carmine Gallo, ex poliziotto dai metodi poco ortodossi, e Nunzio Samuele Calamucci, hacker ed ex Anonymous. L’obiettivo dichiarato? “Tenere in pugno il Paese,” come riporta il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. La vicenda, sottolinea il magistrato, “preoccupa sia per dimensione sia per il livello imprenditoriale dei dati personali e riservati. Davvero stiamo appena cominciando a capire come funziona questo mercato clandestino delle informazioni riservate”.

    Di fronte a un quadro del genere, sorge spontanea la domanda: se persino le comunicazioni istituzionali possono essere violate, come possono difendersi i cittadini dal rischio di spionaggio digitale?

    A spiegare le migliori strategie per difendersi sono Riccardo Ricciarelli, ingegnere informatico di SicurNet, e Salvatore Aranzulla, il più noto blogger e divulgatore tecnologico. Dai controlli periodici sulle app agli aggiornamenti dei sistemi, ecco i consigli per mantenere la privacy anche nell’era della sorveglianza di massa.

    “Quando noti comportamenti anomali del tuo smartphone, come rallentamenti, calo della batteria o popup continui, potrebbe esserci un’app sospetta in azione,” afferma Aranzulla dal suo sito www.aranzulla.it. Ricciarelli aggiunge: “Molte app possono camuffarsi con nomi apparentemente innocui. Su Android è bene controllare le app da Impostazioni > App > Mostra tutte le app, mentre su iPhone basta andare su Impostazioni > Generali > Spazio iPhone per scovare nomi anomali.” È anche buona norma, sottolinea, disinstallare tutto ciò che non si ricorda di aver installato: “Alcune app possono nascondere funzionalità spia dietro servizi come app di dieta o fitness.”

    Un’altra indicazione di compromissione possono essere le notifiche anomale, soprattutto lato browser, che spingono a cliccare su link sospetti. “È un trucco spesso usato dai truffatori per ingannare l’utente a scaricare malware,” spiega Ricciarelli. “Se ricevi strane notifiche su Chrome o altri browser, meglio cancellare i dati di navigazione per eliminare potenziali tracce di malware.” Per farlo, su Chrome basta andare su Cronologia > Cancella dati di navigazione e selezionare Dall’inizio come intervallo temporale.

    Un ulteriore segnale di possibile intrusione è un consumo anomalo di dati o batteria. “Gli spyware sono attivi in background, e spesso lasciano tracce come un elevato consumo di traffico dati anche quando non si usa il telefono,” avverte dal suo sito Aranzulla. “Un’occhiata periodica ai consumi può far emergere app nascoste che si collegano in rete per inviare o ricevere dati.”

    “Mai come oggi è essenziale usare password complesse e uniche per ogni servizio,” consiglia Ricciarelli. “Evita nomi e date familiari: meglio una frase casuale ma memorizzabile, come Fioridipesco74. E soprattutto, non salvare le password nei browser, poiché esistono tool specializzati nel recuperarle.” Ricciarelli suggerisce invece di utilizzare un password manager per proteggere le credenziali in modo sicuro e senza rischio di perdita.

    E, laddove possibile, meglio attivare l’autenticazione a due fattori. “Questo sistema di verifica richiede un codice aggiuntivo, inviato sul proprio dispositivo, per accedere ai servizi,” aggiunge. “È particolarmente utile per proteggere gli account social e di posta elettronica, poiché riduce drasticamente il rischio di violazioni.”

    “Un’altra misura di sicurezza riguarda la gestione delle email e dei messaggi provenienti da numeri sconosciuti, soprattutto se includono link o allegati,” spiega Ricciarelli. “Con l’avvento del deepfake, è oggi possibile persino campionare una voce, facendo apparire che una telefonata provenga da un capo o da un conoscente. In caso di dubbio, meglio richiamare al numero noto e verificare. L’attenzione ai dettagli è fondamentale per evitare trappole.”

    “La frequenza degli aggiornamenti non è mai troppa, soprattutto per le app più usate,” sottolinea Ricciarelli. Un sistema operativo aggiornato, infatti, colma falle di sicurezza che gli hacker possono sfruttare per accedere ai dispositivi. Anche la disabilitazione dell’accesso alle app per utenti sconosciuti può prevenire la possibilità che qualcuno installi software di spionaggio senza permesso.

    “Occhio alle webcam e ai microfoni”, avverte Ricciarelli. “Hacker esperti possono anche accedere alla tua webcam, sia che si tratti di uno smartphone, tablet, PC o laptop. Con la diffusione dei dispositivi IoT (Internet of Things), come le telecamere di sorveglianza o i baby monitor, i punti di accesso a disposizione dei criminali informatici sono aumentati enormemente.” Per accorgerti che la webcam è sotto controllo, osserva la lucina che ne segnala il funzionamento: se si accende senza che tu la stia usando, potrebbe esserci un problema. Una prima contromossa è un buon antivirus che rilevi ed elimini eventuali software pirata.

    “Nel dubbio, rivolgersi agli esperti è sempre una buona idea. Se sospetti di essere vittima di spionaggio, rivolgiti a un tecnico di cybersecurity,” conclude Ricciarelli. “La segnalazione alle forze dell’ordine è utile, così come al Garante per la Privacy, che può intervenire in caso di violazione dei dati personali.”

    Di fronte allo scandalo Equalize, che ha svelato come persino le email del Presidente possano essere violate, un po’ di consapevolezza in più può essere la miglior difesa contro i pericoli digitali. Con controlli regolari, password sicure e aggiornamenti costanti, difendersi dagli intrusi diventa più facile, anche nell’era degli “Equalize” sempre in agguato.

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      Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”

      Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

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        Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.

        Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.

        Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.

        Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.

        Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.

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          Il Senato salva Sangiuliano dal processo per la “chiave di Pompei”: 112 voti bastano a fermare l’accusa di peculato

          Il caso ruotava attorno al simbolico omaggio di Pompei finito in un regalo privato. La Giunta per le immunità ha riconosciuto l’atto come compiuto nell’interesse pubblico e non come reato ordinario. I legali dell’ex ministro ricordano che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la chiave era stata acquistata e pagata, diventando sua proprietà.

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            Palazzo Madama ha fatto scudo all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, bloccando il processo per peculato che rischiava di aprirsi attorno alla “chiave d’onore” di Pompei. Con 112 voti favorevoli e 57 contrari, l’aula del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere, accogliendo la linea della Giunta per le immunità: il gesto di donare la chiave a Maria Rosaria Boccia non costituirebbe reato ordinario, ma un atto riconducibile all’esercizio della funzione di governo e al perseguimento di un interesse pubblico preminente.

            La vicenda aveva incuriosito l’opinione pubblica nei mesi scorsi, trasformandosi in un caso mediatico: la chiave, simbolo del legame con la città archeologica, era stata regalata dall’ex ministro a una conoscente, scatenando polemiche e sospetti di appropriazione indebita. I difensori di Sangiuliano hanno sempre sostenuto la piena legittimità dell’operazione, ricordando che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che, tramite la procedura prevista dalla legge, l’ex ministro aveva acquistato e pagato l’oggetto, diventandone il proprietario a tutti gli effetti.

            Il voto in aula è arrivato dopo una giornata di interventi accesi, tra ironie e schermaglie politiche. Il leghista Gian Marco Centinaio ha scherzato in diretta: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!», strappando un sorriso in un dibattito altrimenti teso.

            Non solo Sangiuliano: nella stessa seduta, Palazzo Madama ha affrontato altre questioni di immunità parlamentare. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera dell’aula sulla sua insindacabilità per le frasi rivolte al magistrato Luca Tescaroli nel 2023, giudicate collegate ad atti parlamentari come interrogazioni e interventi in aula. A favore hanno votato 117 senatori, mentre 23 – tra M5s e Avs – hanno detto no.

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              Sic transit gloria mundi

              “Comunisti no, gay solo se non sculettano”. Il delirio dello chef stellato in cerca di personale

              Dalla nostalgia per la cucina “da caserma” agli insulti ai giovani cuochi, passando per i tatuaggi di Mussolini e la svastica: lo chef stellato Paolo Cappuccio racconta il suo personale concetto di rigore. Un concentrato di luoghi comuni, rancore sociale e arroganza padronale condito da accuse pesanti e zero autocritica.

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                C’è chi usa i social per condividere piatti e ricette. E poi c’è Paolo Cappuccio, chef napoletano classe 1977, che ha preferito farlo per pubblicare un post a metà tra la bacheca fascistoide e lo sfogo da bar sport. Il testo – rimosso dopo insulti e minacce di morte – vietava l’assunzione di «fancazzisti, comunisti, drogati, ubriachi e per orientamento sessuale». E ora lo chef stellato, lungi dal fare marcia indietro, rivendica ogni parola.

                «Da dopo il Covid i dipendenti fanno quello che vogliono», attacca. «Un cuoco arriva in ritardo e ti dice che se non ti va bene se ne va. Lo riprendi? Si mette in malattia. E il medico lo giustifica pure». Il quadro che dipinge è quello di un’Italia dove gli chef sono martiri e gli stagisti dei ricattatori seriali. Ma per Cappuccio la colpa non è solo dei giovani. È dei “comunisti”.

                «Il dipendente comunista lo riconosci subito», assicura con inquietante certezza. «Si lamenta della mensa, vuole sapere la tredicesima prima ancora di iniziare. Quelli di destra invece sono operosi e vogliono diventare titolari. La differenza è abissale». E pazienza se nel 2025 parlare così significa semplicemente fare propaganda da osteria.

                Poi ce l’ha con MasterChef, i “cuochi cocainomani del Nord”, i dipendenti con le “devianze sessuali”. E con chi? Con chi osa presentarsi col “pantalone calato” o, peggio, «con i tacchi a sculettare in cucina». Come si distingue, secondo lui, un gay accettabile da uno “sbagliato”? Non lo dice, ma lo fa capire. La linea è sottile, quanto una padella sporca: «Se sei serio e lavori, sei dei nostri. Altrimenti, no».

                Quando si parla dei tatuaggi – Mussolini, svastica, Altare della Patria – si passa dal ridicolo al tragico. «Se vietano la falce e martello mi cancello la svastica», dice con candore. «Per me è solo una protesta». Non contro la storia o i crimini del nazismo, ma «contro i radical chic che parlano di poveri e poi vanno in Costa Azzurra». Applausi. Ironici.

                «Siamo schiavi dei dipendenti», si lamenta ancora. Una frase che detta da un datore di lavoro suona quanto meno surreale, se non offensiva. Ma l’uomo non fa una piega. Anzi, rilancia: «Nel mio albergo ho beccato anche un pedofilo. Ma non l’ho potuto licenziare. Giusta causa? Non esiste».

                Che lo chef abbia avuto esperienze negative con parte del suo personale non è in discussione. Che la sua risposta sia un mix di disprezzo sociale, semplificazioni ideologiche e pregiudizi sessisti, purtroppo neppure. Se i giovani cuochi fuggono da brigate tossiche, forse una riflessione servirebbe. Ma a Cappuccio non interessa. Troppo impegnato a contare i “like” tra nostalgici e reazionari.

                E, si spera, a cancellare le prenotazioni di chi, la roba cucinata da uno chef così, non vuole neppure annusarla da lontano.

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