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Arte e mostre

L’artista che sfida il caos e crea ponti. Francesca Licari: «Vivo tra arte, impegno sociale e resistenza»

L’11 novembre, presso la Biblioteca di Lambrate a Milano, si terrà l’inaugurazione della mostra “Bisogna avere il caos dentro di sé, per generare una stella danzante” di Francesca Licari, artista siciliana di grande talento. Un evento che celebra l’arte come strumento di riflessione sociale, integrazione culturale e impegno civile.

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    dall’11 al 23 novembre, a Lambrate, in via Valvassori Peroni 53, nel Municipio 3 di Milano, dalle ore 18.30, si terrà la mostra di Francesca Licari, dal titolo “Bisogna avere il caos dentro di sé per generare una stella danzante”. Questo evento esclusivo celebra l’incontro tra culture e popoli, mettendo in luce il potere trasformativo dell’arte come strumento di integrazione sociale e riflessione su tematiche urgenti come la lotta contro la violenza sulle donne, la tutela dell’infanzia e la promozione della pace tra le culture.

    La mostra non si limita a un’espressione estetica: Francesca Licari è anche una creatrice di gioielli-sculture, realizzati con materiali pregiati come argento, rame e pietra lavica dell’Etna. La sua arte diventa un potente mezzo di denuncia sociale, un impegno a difesa dei diritti umani e delle minoranze. Francesca è anche presidente dell’Associazione Culturale Europea “La Gattoparda”, un’organizzazione che promuove progetti culturali in favore delle donne, dei bambini e delle comunità marginalizzate.

    La mostra si propone come un viaggio visivo ed emotivo che racconta storie di resistenza, speranza e integrazione. Le opere esposte esplorano il dialogo tra diverse culture, mettendo in luce le difficoltà ma anche la bellezza del superamento delle barriere e della costruzione di ponti di comprensione tra i popoli. Un messaggio potente che ci invita a riflettere sul cambiamento sociale necessario per creare una società più inclusiva e armoniosa.

    L’inaugurazione della mostra e i suoi ospiti

    L’inaugurazione della mostra vedrà la partecipazione di figure di spicco nel panorama culturale e sociale. Tra i presenti ci saranno Vermondo Brugnatelli, presidente dell’Associazione Internazionale Berbera, e Pap Khouma, scrittore e giornalista specializzato nella cultura africana. Saranno inoltre presenti Ornella Piluso, presidente dell’Associazione Arte da Mangiare, Gian Battista Maderna, presidente di Ucai, Marilisa Di Giovanni, storica dell’arte, e numerosi altri esperti e rappresentanti di comunità interculturali. Un contributo speciale sarà dato da Mahjouba Akik, rappresentante della comunità marocchina, e Fatima El Quafi, mediatrice interculturale e docente di lingue arabe e berbere, che affronteranno il tema dell’arte come strumento di integrazione. Il musicologo Riccardo Santangelo offrirà uno spunto interessante sulla connessione tra arte visiva e musica, due forme universali di espressione.

    Francesca è arte e impegno sociale per un mondo migliore

    Abbiamo intervistato Francesca Licari, siciliana, una figura di riferimento non solo nel mondo dell’arte, ma anche nel panorama sociale. Da anni impegnata in progetti che coniugano cultura e impegno civile, Francesca ha realizzato numerose iniziative teatrali e cinematografiche di grande valore. Un esempio significativo è il cortometraggio “Fiore di Maggio”, dedicato a Felicia e Peppino Impastato, simboli della resistenza contro la mafia.

    “Fiore di Maggio” è parte di un ampio progetto artistico e ha ricevuto il riconoscimento di candidatura al Premio Donatello nel 2022. Nel cortometraggio, Francesca esprime il suo forte messaggio di lotta contro la violenza, utilizzando la poesia come strumento di resistenza sociale e denuncia. Un’opera che ha trovato grande risonanza nelle scuole, dove è stata adottata come strumento educativo per sensibilizzare le nuove generazioni sui temi della legalità, giustizia e coraggio civile

    Francesca, la tua arte spazia dalla pittura alla scultura, ma anche alla creazione di gioielli-sculture e alla scrittura teatrale. Ma come si intrecciano questi diversi tramiti nel tuo percorso artistico?
    «Non so spiegare come avvenga, ma so che succede spontaneamente. Sento il bisogno di spaziare, di esplorare in ogni campo. La curiosità che mi guida è quella di una bambina che, curiosa, rompe un giocattolo per scoprire cosa c’è dentro. Mi piace esplorare, scoprire gli infiniti mondi che ci compongono, e la natura…
    Mi piace immergermi nel suo silenzio, dove tutto è ancora puro. Vivo per mesi immersa nel suo abbraccio, dove il gallo canta alle tre di notte (sempre in anticipo), i gatti randagi e abbandonati diventano miei compagni di vita, e la saggezza dei contadini mi insegna l’essenza della vita. La vicina che lascia i suoi raccolti dietro la porta, il mio mare che non smette mai di chiamarmi… E la mia ricerca non ha mai fine. Le mie sculture in alabastro gessato e i gioielli di pietra lavica sono il mio modo di ringraziare la madre terra. Ma più che gioielli, mi piace pensarli come doni».

    “Bisogna avere il cos dentro di sé, per generare una stella danzante”. Cosa significa per te “generare una stella danzante” e come questa metafora si collega alla tua visione dell’arte come strumento di cambiamento sociale?
    «Il mondo è nato dal caos. La perfezione risiede nel caos. Tutto nasce dal caos. Noi stessi siamo fatti di caos. La natura è stata la prima a comprenderlo, l’uomo, ancora no, non del tutto. Il cambiamento irreversibile che stiamo vivendo nel mondo sociale potrà essere sostenuto dalla consapevolezza, dalla creatività, dall’arte e dalla cultura. Sono questi i fattori indispensabili per ogni trasformazione sociale. Dobbiamo guardare ai nostri padri, prendere esempio da loro. Accettare il cambiamento significa creare una società migliore, un passo alla volta, con il contributo di ciascuno di noi».

    3.Nel corso della tua carriera, hai affrontato tematiche molto forti e significative, come la lotta contro la violenza sulle donne, la tutela dell’infanzia e l’integrazione tra le culture. Come riesci a conciliare la profondità di questi temi con la dimensione estetica della tua arte?
    «Ho affrontato, e continuo ad affrontare, tematiche sociali forti. Molte volte, le mie richieste, da artista solitaria, sembrano cadere nel vuoto. Il silenzio assordante di chi potrebbe fare di più non mi fa desistere, anzi, mi dà forza. Perché lotto così tanto? Non lo so. Sento solo che devo farlo. La paura di perdere non mi scoraggia, è la paura di non averci provato che mi spaventa davvero. A volte, la ricompensa più grande è un sorriso di un bambino, la caparbietà di continuare a sognare un mondo migliore. Il cambiamento è il risultato di diversi fattori. Ogni immigrato porta con sé un bagaglio di esperienze, fatto di tradizioni, usi e costumi, che cerca di preservare per non perdere quel filo invisibile che lo lega alla sua terra d’origine. Anche noi, in passato, abbiamo attraversato lo stesso cammino».

    4. Sei anche impegnata nel sociale, in particolare con la tua associazione culturale “La Gattoparda”. Come pensi che l’arte possa diventare un ponte per l’integrazione culturale e la costruzione di una società più inclusiva?
    «Come artista e presidente di un’associazione culturale, sono profondamente convinta che l’arte rappresenti il ponte essenziale per la creazione di una società inclusiva e aperta. L’arte ha la straordinaria capacità di abbattere le barriere, di mettere in comunicazione persone di culture e origini diverse, creando un terreno comune in cui le diversità non sono più un ostacolo, ma una ricchezza. Io stessa desidero essere parte attiva di questa costruzione, anche se, consapevole della grandezza della sfida, mi accontento di contribuire con il mio piccolo ma determinato tassello. Ogni gesto, ogni iniziativa, anche quella più piccola, è un passo in avanti verso un futuro dove la cultura e l’arte diventano strumenti di inclusione, dialogo e crescita collettiva.
    L’iniziativa culturale che si terrà l’11 novembre, con la partecipazione speciale di importanti personalità del mondo culturale e sociale, rappresenta proprio questo nostro piccolo ma caparbio contributo a quella grande opera di costruzione. Sarà un’occasione per fare un passo insieme, per unire le forze e ricordare che, pur nelle nostre diversità, siamo tutti parte di un unico, grande, cammino».

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      Torino inaugura il Serial Killer Museum: un viaggio nella mente dell’orrore

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      Serial Killer Museum

        Ha aperto i battenti a Torino il Serial Killer Museum, uno spazio che promette di incuriosire e inquietare al tempo stesso. L’iniziativa, ospitata nel centro della città, si propone come un percorso educativo e psicologico nel cuore più oscuro della mente umana, raccontando le vicende di dieci assassini seriali che hanno lasciato un segno nella storia della criminalità mondiale.

        Il progetto nasce con l’intento di esplorare la genesi del male, non per celebrarlo ma per comprenderlo. L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori è quello di offrire un punto di vista “storico, criminologico e umano” su figure che hanno alimentato paure, incubi e ossessioni collettive.

        Un viaggio immersivo tra cronaca e psiche

        L’esposizione è strutturata come un percorso multisensoriale. Attraverso audioguide, scenografie realistiche e installazioni digitali, il visitatore si trova a camminare tra dossier investigativi, oggetti autentici, fotografie e ricostruzioni di ambienti legati ai casi trattati. Ogni sezione è dedicata a un diverso protagonista della cronaca nera: da Ed Gein, il “macellaio di Plainfield” che ispirò Psycho, a Ted Bundy, il killer dal fascino ingannevole che terrorizzò l’America negli anni Settanta.

        Non mancano i riferimenti italiani, come la “saponificatrice di Correggio” Leonarda Cianciulli, responsabile di tre efferati omicidi tra il 1939 e il 1940. Ogni sala alterna documentazione storica e interpretazioni psicologiche, per indagare il confine sottile tra follia e consapevolezza criminale.

        L’allestimento, realizzato con la consulenza di esperti di criminologia e psichiatria forense, mira a stimolare una riflessione etica sul tema della violenza, invitando il pubblico a interrogarsi sul perché la società resti così attratta dal male.

        La fascinazione del pubblico per i “mostri”

        L’apertura del museo si inserisce in un fenomeno ormai globale: la serial killer culture, una vera e propria corrente culturale alimentata da serie TV, documentari e podcast di successo. Dai casi di Dahmer su Netflix a Mindhunter, il pubblico sembra non stancarsi mai di esplorare le vite dei criminali più spietati, cercando in esse risposte e brividi.

        Una curiosità che, in alcuni casi, può sfociare in morbosità. Gli esperti parlano di ibristofilia, una condizione psicologica che porta alcune persone a provare attrazione o empatia verso chi ha commesso delitti efferati. Fenomeni simili si sono già visti in passato, basti pensare alle lettere d’amore ricevute da Ted Bundy o da Charles Manson durante la detenzione.

        Proprio per questo motivo, i curatori del Serial Killer Museum hanno voluto chiarire sin dall’inaugurazione che l’intento non è quello di mitizzare, ma di analizzare. L’obiettivo è capire come nascono certe menti criminali, cosa le accomuna e come la società risponde a questi casi estremi.

        Tra cultura, etica e voyeurismo

        Nonostante il rigore dichiarato dell’approccio, il museo ha già acceso il dibattito. C’è chi lo considera un esperimento culturale coraggioso, capace di affrontare il male con strumenti di studio, e chi lo accusa di trasformare il dolore in intrattenimento.

        I responsabili dell’iniziativa difendono la scelta, spiegando che l’allestimento punta sull’impatto emotivo ma con un fine educativo: “Raccontare l’orrore serve a riconoscerlo e a non dimenticare le sue vittime”, si legge nella presentazione ufficiale.

        La scelta di Torino come sede non è casuale: la città, da sempre legata alla simbologia esoterica e alla cultura psicologica grazie all’Università e al Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, si conferma un luogo ideale per riflettere sul rapporto tra scienza e mistero.

        Il male come specchio della società

        In definitiva, il Serial Killer Museum è molto più di una curiosità turistica. È uno specchio dei tempi, un luogo dove il confine tra cultura, morbosità e introspezione diventa sempre più sfumato.

        Per alcuni visitatori sarà un viaggio nell’orrore, per altri un modo per comprendere meglio la natura umana. In ogni caso, nessuno uscirà indifferente: perché guardare negli occhi il male, anche solo attraverso una teca di vetro, significa interrogarsi su quanto di oscuro, a volte, abiti anche dentro di noi.

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          “Darién non è una rotta (Gli altari del dolore)”: Aristides Ureña Ramos alla XV Biennale di Firenze con un rito visivo sulla memoria e la migrazione

          Presentata per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1997 e oggi riproposta in chiave rinnovata, l’opera di Aristides Ureña Ramos intreccia arte e testimonianza: una riflessione luminosa e dolorosa sulla condizione migrante, tra luce, ombra e compassione

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            Alla XV Biennale di Firenze, in programma dal 18 al 26 ottobre 2025 alla Fortezza da Basso, arriva Darién non è una rotta (Gli altari del dolore), la videoinstallazione di Aristides Ureña Ramos che unisce arte, memoria e spiritualità in un racconto di forte impatto visivo e umano.

            Il progetto, iniziato nel 1997 e sviluppato per oltre vent’anni, è una delle opere più intense del maestro panamense, che vive tra Italia e Panama. Attraverso immagini, suoni e oggetti raccolti lungo le rotte migratorie del Centro America, Ureña Ramos costruisce un percorso simbolico che trasforma il Darién Gap — la selva che separa Panama dalla Colombia e che ogni anno migliaia di migranti attraversano a rischio della vita — in un luogo sacro della memoria.

            È un progetto aperto nel tempo, iniziato nel 1997 e proseguito fino alla crisi migratoria del 2023-24 — spiega l’artista —. Gli Altari del Dolore mi hanno permesso di vivere quella tragedia e misurare le mie capacità creative nei processi artistici.”

            L’opera, già esposta in sedi prestigiose come la Biennale di Venezia del 1997 e l’ex Istituto Nazionale di Cultura di Panama nel 2015, si inserisce perfettamente nel tema scelto per l’edizione fiorentina, La sublime essenza della luce e delle tenebre. Nelle installazioni di Ureña Ramos, infatti, la luce non è mai solo metafora di salvezza, ma anche resistenza: la capacità dell’essere umano di illuminare l’ombra della perdita con la forza dei ricordi e dei sogni.

            Oggetti abbandonati lungo i sentieri dei migranti diventano reliquie, altari, frammenti di vite spezzate che l’artista restituisce allo sguardo del pubblico trasformandoli in poesia visiva. Darién non è una rotta non è un semplice reportage artistico, ma un rito laico che invita alla compassione e alla consapevolezza: una riflessione sull’esilio, la speranza e la dignità di chi attraversa le frontiere del mondo e dell’anima.

            Con questa videoinstallazione, Aristides Ureña Ramos riafferma la sua poetica come atto di empatia e memoria, offrendo alla Biennale di Firenze un’opera che parla al cuore del presente: un ponte di luce tra l’arte e la vita.

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              Dal formaggio ai gelati: l’Italia delle sagre che allungano l’estate e anticipano l’autunno

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                Settembre è quel mese sospeso tra le ultime code d’estate e i primi colori d’autunno. Il clima invita ancora a stare all’aperto, mentre il calendario gastronomico si riempie di eventi che mescolano prodotti tipici, cultura e convivialità. Dal 13 al 19 settembre l’Italia diventa un enorme banchetto diffuso, dove formaggi, vini, riso, funghi e gelati disegnano la mappa del gusto.

                In Piemonte si comincia sabato 13 con la Vendemmia Reale ai Giardini dei Musei Reali di Torino: oltre 60 cantine in degustazione, prove alla cieca e performance artistiche con il vino trasformato in colore. Da Vercelli arriva il profumo del Risò, Festival internazionale del Riso (12-14 settembre), mentre ad Asti il Festival delle Sagre Astigiane porta in piazza i piatti della tradizione dentro la cornice della Douja d’Or, storica celebrazione del vino piemontese che proseguirà fino al 21. Ma l’attesa vera è per Cheese 2025, che dal 19 al 22 settembre trasformerà Bra in capitale mondiale dei formaggi naturali, con la partecipazione anche del Gusto.

                Al Nordest, Udine si anima con Friuli Doc, festa che fino al 14 settembre porta in centro le eccellenze regionali: prosciutto di San Daniele, Montasio, vini bianchi e la dolce Gubana.

                Scendendo verso il Centro, a Montalcino il 13 settembre c’è il Premio Casato Prime Donne dedicato all’intelligenza artificiale, mentre a Figline Valdarno (Firenze) la chef Luisanna Messeri e Paolo Gori cucinano a quattro mani per una cena solidale a sostegno di Casa Marta, centro di cure pediatriche. Sempre il 13 e 14, in Maremma torna InGravel Morellino, dove vino e bici si incontrano tra le vigne di Scansano. A Roma, all’Orto Botanico, il 14 settembre si festeggia la Vendemmiata romana con degustazioni e laboratori; ai Castelli Romani, Colle di Fuori ospita la Sagra del fungo porcino alla sua 31ª edizione.

                Il Sud risponde con il fuoco e la freschezza. A Diamante (Cosenza) fino al 14 settembre il Peperoncino Festival celebra il re piccante della Calabria, con piatti come la sardella di Crucoli o il morsello catanzarese e la finale del Campionato dei mangiatori di peperoncino. Sempre in Calabria, Reggio diventa capitale mondiale del gelato dal 13 al 16 con Scirubetta 2025, villaggio del gelato artigianale affacciato sul lungomare.

                Infine la Sicilia, dove dal 18 al 20 settembre gli Etna Days richiamano esperti e winelover da tutto il mondo per celebrare la viticoltura eroica sulle pendici del vulcano. In contemporanea, a Milo, continua fino al 14 settembre ViniMilo, manifestazione storica dedicata al vino e alla gastronomia etnea.

                Dal riso al gelato, passando per peperoncino e formaggi, il messaggio è chiaro: l’autunno arriva, ma in Italia si brinda e si festeggia ancora come in piena estate.

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