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Cronaca

Simone Rugiati, coltellaccio alla mano e urla contro i vicini: lo chef denunciato

Denunciato per porto d’armi improprie, Simone Rugiati si è scagliato contro i vicini brandendo un coltellaccio da cucina. La lite, culminata con l’intervento dei carabinieri, riaccende i riflettori su un personaggio già controverso per le sue posizioni complottiste.

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    Urla a squarciagola e un coltellaccio in mano. Lo chef e conduttore televisivo Simone Rugiati è finito al centro di un episodio surreale nella notte di giovedì 28 novembre, a Milano. Il 42enne è stato denunciato per porto di armi o oggetti atti a offendere dopo che è stato visto mentre gridava «Scendete, scendete tutti», col coltello da cucina ben saldo nella mano.

    Una lite al limite

    L’episodio si è verificato in via Signorelli, nel cuore del quartiere Sarpi, noto per il dinamismo e la sua vitalità ma spesso teatro di tensioni tra residenti e attività commerciali. Rugiati, che gestisce il locale multifunzionale Food Loft proprio in una traversa della zona, avrebbe estratto l’arma durante una lite con i vicini, esasperati dai rumori provenienti dall’attività.

    Uno degli inquilini dello stabile ha deciso di chiamare il 112. All’arrivo dei carabinieri, lo chef è stato trovato solo, in evidente stato di alterazione e con il coltellaccio accanto. Un video girato dai presenti lo mostra con l’arma in mano, mentre sembra sfidare chiunque ad affrontarlo.

    Dalla cucina alla cronaca nera

    Rugiati, celebre per il suo passato nei programmi televisivi come La prova del cuoco e Cuochi e Fiamme, è un volto noto della cucina spettacolo italiana. Negli anni ha saputo costruirsi un seguito tra gli appassionati di gastronomia, apparendo in trasmissioni di successo come Tu sì que vales e Selfie.

    Negli ultimi tempi, però, il suo nome è apparso più spesso per polemiche che per meriti culinari. Lo scorso luglio, Rugiati aveva attirato critiche con un video complottista in cui sosteneva che il cambiamento climatico fosse manipolato attraverso “miscele spruzzate per non far piovere”.

    Una vicenda da chiarire

    Il gesto dello chef ha riacceso il dibattito sulle tensioni tra residenti e attività commerciali nelle grandi città. Tuttavia, resta da chiarire il motivo dell’alterazione di Rugiati e se esistano precedenti episodi simili. Per ora, l’unica certezza è che il coltellaccio, più che una lama da cucina, sembra essersi trasformato nell’arma simbolica di una lite che non sarà facilmente dimenticata.

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      Cronaca

      Contactless, nuovo allarme: i ladri del Pos invisibile

      Usavano un Pos portatile per addebitare piccole somme a ignari passanti in luoghi affollati. I carabinieri indagano su una nuova forma di furto invisibile, il cosiddetto “tap invisibile”.

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      Contactless

        A Sorrento si indaga su un sofisticato caso di furto elettronico che coinvolge le persone, sospettate di aver usato un Pos contactless portatile per compiere addebiti fraudolenti ai danni di ignari turisti e passanti. Un metodo silenzioso ma efficace, che sfrutta la tecnologia NFC (Near Field Communication) per sottrarre piccole somme — dai 9 ai 15 euro — senza bisogno di inserire alcun PIN.

        Il Pos incriminato, del tutto simile a quelli legittimamente usati da commercianti o liberi professionisti, è stato trovato nella borsa di una sospettata durante una perquisizione. Il dispositivo era collegato a un conto corrente intestato a un presunto prestanome, dettaglio che ha fatto scattare ulteriori accertamenti sui flussi di denaro.

        La tecnica è tanto semplice quanto inquietante: si imposta manualmente una somma inferiore a 50 euro — soglia entro cui non è necessaria l’autenticazione — si attiva il Pos e lo si avvicina alle borse o alle tasche delle vittime. La transazione avviene in meno di due secondi, spesso senza che la persona se ne accorga. Il “tap invisibile” funziona particolarmente bene in contesti rumorosi e affollati, come mercati, stazioni o mezzi pubblici, dove il lieve segnale acustico del Pos può passare inosservato.

        Eppure, non si tratta di un metodo infallibile. Il raggio d’azione del segnale NFC è limitato a 1-2 centimetri, e la presenza di portafogli spessi, borse chiuse o schermate può annullare la transazione. Anche la presenza di più carte nello stesso spazio può causare errori di lettura. Nonostante ciò, casi simili sono stati già segnalati anche a Roma e Milano, alimentando i timori su una nuova frontiera del borseggio digitale.

        Le forze dell’ordine invitano alla massima prudenza e suggeriscono alcune misure preventive fondamentali:


        Come proteggersi dal “borseggio contactless”

        • Usa un portafoglio schermato RFID: blocca i segnali NFC impedendo letture non autorizzate.
        • Porta le carte in tasche interne o zaini chiusi: evita tasche esterne o facilmente accessibili.
        • Attiva le notifiche istantanee dalla banca: consente di ricevere avvisi in tempo reale per ogni pagamento.
        • Riduci il numero di carte nel portafoglio: meno carte, meno rischio.
        • Utilizza cover protettive per singole carte: sottili ed economiche, offrono un buon livello di sicurezza.
        • Controlla spesso l’estratto conto: cerca addebiti sospetti di piccoli importi che non riconosci.
        • Disattiva la funzione contactless, se non necessaria: molte app bancarie offrono questa opzione.
        • Mai lasciare carte incustodite o visibili: nemmeno per pochi secondi.
        • Fai attenzione nei luoghi affollati: se qualcuno si avvicina troppo, proteggi la tua borsa.
        • Segnala subito movimenti sospetti: blocca immediatamente la carta e contatta la banca.

        Le indagini dei carabinieri continuano per verificare l’entità delle transazioni illecite, eventuali complici e l’estensione della rete. Nel frattempo, un monito chiaro si fa strada: più tecnologia significa anche più consapevolezza e attenzione nella vita quotidiana.

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          Cronaca

          Lo schiavismo va di moda, ma si paga: maxi multa da 3,5 milioni per Giorgio Armani Spa

          Secondo l’Autorità, il gruppo Armani era a conoscenza delle condizioni dei lavoratori in alcune aziende subfornitrici di borse e accessori. L’azienda annuncia ricorso e rivendica la trasparenza della sua filiera.

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            Tre milioni e mezzo di euro: tanto costano, secondo l’Antitrust, le dichiarazioni etiche non mantenute. Giorgio Armani Spa, simbolo del lusso made in Italy, è stata multata per pratica commerciale ingannevole: un colpo pesante per l’immagine della maison, che proprio quest’anno celebra cinquant’anni di attività.

            La sanzione arriva al termine dell’indagine aperta dopo l’inchiesta per caporalato che aveva travolto Giorgio Armani Operations, la società del gruppo che produce borse e accessori. Nel 2024 la Procura di Milano aveva chiesto l’amministrazione giudiziaria per omissione di controlli sui fornitori, misura poi revocata nel febbraio 2025 grazie – come scrisse il Tribunale – a un «percorso virtuoso» di regolarizzazione.

            Ora, però, l’Antitrust accusa il gruppo di aver diffuso dichiarazioni «non veritiere» sulle proprie politiche di responsabilità sociale. Il Codice Etico e i contenuti online della sezione “Armani Values” sarebbero stati presentati come garanzia di filiere etiche, ma non riflettevano la realtà di alcuni laboratori di pelletteria. Gli ispettori hanno documentato condizioni di lavoro irregolari e persino la presenza di un dipendente del gruppo in un laboratorio irregolare, incaricato di controlli qualità mensili: per l’Autorità, la prova che la società fosse consapevole di ciò che accadeva.

            Durissima la replica della maison: «Giorgio Armani Spa accoglie con amarezza e stupore la decisione», annunciando ricorso al Tar. L’azienda rivendica trasparenza e correttezza, ricordando che gli episodi contestati «riguardavano due soli fornitori, pari allo 0,7% degli acquisti complessivi».

            Resta però l’ennesima macchia su un’industria del lusso che preferisce mostrare passerelle e campagne patinate piuttosto che le ombre delle proprie filiere. Per Armani la partita si sposta in tribunale, ma il danno di immagine – in un mondo in cui l’etica è marketing – rischia di valere molto più dei 3,5 milioni di multa.

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              Cronaca

              Un sushi davvero stupefacente: arrestato a Roma pusher che nascondeva hashish nei “nigiri” al salmone

              L’uomo, già noto alle forze dell’ordine, riceveva gli ordini via WhatsApp e consegnava il “menu speciale” tra Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. La polizia lo ha fermato in via Enna: nella borsa frigo cinque pacchi di hashish termosaldati e oltre duemila euro in contanti.

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                A Roma il sushi può dare alla testa. Soprattutto quando non è a base di tonno o salmone, ma di hashish. La polizia ha arrestato un pusher di 45 anni, italiano e già noto alle forze dell’ordine, che aveva trovato un metodo ingegnoso – e grottesco – per distribuire la sua merce: spacciava droga confezionata come nigiri al salmone, pronta da “gustare” solo per i clienti giusti.

                Il blitz è scattato lunedì 28 luglio intorno alle 21, quando gli agenti del VII distretto San Giovanni hanno notato una Fiat Panda a noleggio ferma in via Enna. Al volante il 45enne, subito agitato alla vista della pattuglia. La scena non ha convinto i poliziotti, che hanno deciso di procedere con una perquisizione approfondita.

                Nel bagagliaio, dentro una borsa frigo, la sorpresa: cinque pacchi di hashish termosaldati, per un totale di 510 grammi, ognuno con l’immagine di eleganti nigiri di salmone stampata sopra. Accanto alla “scorta”, oltre 2.000 euro in contanti, probabilmente frutto delle ultime consegne.

                Dalle verifiche sul cellulare è emerso il sistema di ordini e consegne via WhatsApp. I clienti inviavano l’indirizzo e l’uomo partiva per le sue “consegne gastronomiche” in diverse zone della Capitale, tra cui Montespaccato, Mostacciano e Anagnina. Una sorta di delivery illegale, che trasformava il sushi in un piatto davvero stupefacente.

                Dopo il fermo, il 45enne è stato accompagnato in commissariato e sottoposto a rito direttissimo, al termine del quale è scattato l’arresto per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.

                Per una volta, il proverbiale “sushi d’asporto” non è finito sulla tavola ma in sequestro, mentre il finto chef della droga dovrà ora rispondere delle sue specialità… proibite.

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