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Sic transit gloria mundi

Agenti italiani in missione vacanza in Albania: milioni spesi per saune, gite, resort di lusso e centri per migranti lasciati desolatamente vuoti

Le telecamere nascoste del programma albanese Piranjat rivelano il soggiorno extra-lusso delle forze dell’ordine italiane a Shengjin. Tra spa, passeggiate sul lungomare e serate in discoteca, la missione migranti si trasforma in un disastroso spreco di denaro pubblico.

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    Sauna ogni giorno “perché qui è tutto gratis”, gite turistiche a Scutari, Durazzo e Tirana, lunghe passeggiate, serate in discoteca. È il racconto della “missione” in Albania che arriva dalla viva voce degli agenti delle forze dell’ordine rimasti in servizio a Shengjin, la cittadina albanese in cui sorge uno dei due centri voluti dal governo Meloni per trasferire parte dei naufraghi soccorsi davanti alle coste italiane. Operazione tentata due volte e due volte fallita, per i giudici del tribunale di Roma, perché le norme europee non la consentono.

    L’hotspot di Shengjin, così come il centro di trattenimento nella vicina Gjader, sono rimasti vuoti, ma le forze dell’ordine – ospitate all’hotel Rafaelo, un resort superlusso – sono rimaste. Nelle ultime settimane, il contingente di 220 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri è stato ridotto di circa la metà, ma nella cittadina albanese rimangono comunque un centinaio di divise. Gli agenti, stando a quanto svelato dalla trasmissione Piranjat in onda su Syri TV, principale emittente all news albanese schierata all’opposizione del primo ministro Edy Rama, sembrano più impegnati in attività turistiche che operative. “Ci pagano per fare i turisti,” raccontano senza vergogna.

    Il programma, munito di telecamere nascoste, ha messo a segno uno scoop che ha fatto il giro del web e dei giornali. Hanno mandato due inviate giovani e carine ed è bastato per sciogliere la lingua ai poliziotti italiani, ben pronti a fare i cascamorto e a invitare le due giornaliste sotto copertura a pranzo in camera loro con la scusa che non potrebbero entrare nella sala da pranzo riservata agli italiani. Gli uomini in divisa, senza troppi filtri, hanno ammesso che il loro ruolo lì è sostanzialmente inutile. “Siamo venuti per lavoro, ma ci pagano per fare i turisti,” ripetono mentre si offrono di accompagnare le giornaliste al mercato, sul lungomare e persino in discoteca.

    “Se il tuo ragazzo è geloso, ci hanno detto che qui possono esserci problemi,” ammicca uno degli agenti. Una frase che appare direttamente collegata al vademecum di comportamento distribuito alle forze dell’ordine italiane in servizio a Shengjin. Nel documento, si sottolineava come gli approcci con le ragazze locali fossero assolutamente da evitare per non causare scontri con i fidanzati, descritti come “molto gelosi”. Nonostante le raccomandazioni ufficiali, le immagini mostrano che alcuni degli uomini in divisa non hanno resistito alla tentazione di tentare avances, trasformando la loro “missione” in un’ulteriore occasione per flirtare.

    Non è mancato il momento comico-grottesco, quando un agente si è lanciato in un’ode alla sauna: “Ogni giorno vado in sauna per eliminare le tossine. È gratis, pagano lo Stato italiano e l’Unione Europea.” Intanto, tra una gita a Tirana e una passeggiata a Durazzo (“bellissima!”), gli hotspot continuano a essere vuoti e il conto per i contribuenti italiani lievita.

    Con l’intero soggiorno a carico del governo italiano, che include un trattamento internazionale di 100 euro al giorno per ciascun agente oltre a vitto e alloggio, l’operazione si sta trasformando in un boomerang mediatico e politico. Non solo gli agenti sembrano disinteressati al loro incarico, ma il fallimento dei centri di trattenimento è stato già sancito dai tribunali italiani. I giudici di Roma hanno stabilito che le norme europee non permettono di trattenere migranti in Albania, rendendo di fatto inutile tutta l’operazione.

    Le reazioni politiche sono state immediate. Matteo Renzi ha definito “scandaloso” lo spreco di risorse: “Invece di avere agenti nelle periferie e nelle stazioni italiane, li lasciamo a spasso in Albania con i soldi dei cittadini. Ma davvero chi ha votato Giorgia Meloni può tollerare tutto questo?” Elly Schlein ha rincarato la dose, definendo il caso “l’ennesimo schiaffo alla sanità e all’istruzione pubblica,” mentre Riccardo Magi ha chiesto l’intervento della Corte dei Conti per valutare un possibile danno erariale.

    Nel frattempo, a Shengjin, le giornate continuano tra spa e lungomare. Mentre i centri per migranti restano vuoti, i resort per gli agenti sono pieni. Un’immagine che sembra destinata a diventare il simbolo di una gestione fallimentare.

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      Santa Rita De Crescenzo vergine e martire (del trash televisivo e dei suoi stessi followers)

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        Ogni epoca ha i suoi santi. Noi, che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo Rita De Crescenzo: patrona delle punturine di acido ialuronico, del silicone spacciato per estetica e dei monologhi social che neppure alla recita dell’asilo. «Ho paura, basta odio, basta violenza mediatica», piagnucola oggi la tiktoker partenopea, appena il sindaco di Castel Volturno le ha cancellato uno show. Una Madonna del trash che si immola sull’altare della visibilità, con tanto di rosario fatto di stories Instagram.

        Il problema, però, non è lei. È la folla che l’applaude. Migliaia di followers che la venerano nonostante accuse di spaccio per conto del clan Elia, minacce a un deputato («Devo essere il tuo incubo, è arrivata l’ora che ti distrugga io»), video dove la cultura del nulla diventa linguaggio quotidiano. Santa Rita del degrado non canta, non balla, non recita. Non sa fare assolutamente niente, eppure è riuscita a trasformare l’ignoranza in un titolo di studio, il pressapochismo in curriculum, l’urlato in vangelo.

        La sua difesa? «Sono una donna, una madre, una persona come tutte le altre». Tutte le altre chi? Quelle che fanno dei filtri TikTok un manifesto politico? Quelle che credono che il talento consista nel mettersi una minigonna fluorescente e ripetere frasi sconnesse in diretta?

        Il miracolo è che funziona: più la criticano, più sale. Più le istituzioni le chiudono le porte, più diventa martire. È la beatificazione trash: non serve saper cantare, scrivere, pensare. Serve piangere davanti a una telecamera, gonfiare le labbra fino a sembrare canotti e agitare le mani in aria come se fossero ali d’angelo caduto.

        Chi la segue, in fondo, non cerca un’artista. Cerca un’icona dell’idiozia elevata a forma d’arte, un simbolo che rassicura: “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. E infatti ce l’ha fatta. A diventare il monumento vivente di un Paese che si inchina al nulla e lo incorona.

        Meritiamo l’estinzione? Sicuramente. Ma tranquilli: prima dell’apocalisse ci sarà la sua prossima diretta online di Santa Rita, e sarà sold out.

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          Sic transit gloria mundi

          Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”

          Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

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            Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.

            Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.

            Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.

            Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.

            Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.

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              Il Senato salva Sangiuliano dal processo per la “chiave di Pompei”: 112 voti bastano a fermare l’accusa di peculato

              Il caso ruotava attorno al simbolico omaggio di Pompei finito in un regalo privato. La Giunta per le immunità ha riconosciuto l’atto come compiuto nell’interesse pubblico e non come reato ordinario. I legali dell’ex ministro ricordano che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la chiave era stata acquistata e pagata, diventando sua proprietà.

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                Palazzo Madama ha fatto scudo all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, bloccando il processo per peculato che rischiava di aprirsi attorno alla “chiave d’onore” di Pompei. Con 112 voti favorevoli e 57 contrari, l’aula del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere, accogliendo la linea della Giunta per le immunità: il gesto di donare la chiave a Maria Rosaria Boccia non costituirebbe reato ordinario, ma un atto riconducibile all’esercizio della funzione di governo e al perseguimento di un interesse pubblico preminente.

                La vicenda aveva incuriosito l’opinione pubblica nei mesi scorsi, trasformandosi in un caso mediatico: la chiave, simbolo del legame con la città archeologica, era stata regalata dall’ex ministro a una conoscente, scatenando polemiche e sospetti di appropriazione indebita. I difensori di Sangiuliano hanno sempre sostenuto la piena legittimità dell’operazione, ricordando che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che, tramite la procedura prevista dalla legge, l’ex ministro aveva acquistato e pagato l’oggetto, diventandone il proprietario a tutti gli effetti.

                Il voto in aula è arrivato dopo una giornata di interventi accesi, tra ironie e schermaglie politiche. Il leghista Gian Marco Centinaio ha scherzato in diretta: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!», strappando un sorriso in un dibattito altrimenti teso.

                Non solo Sangiuliano: nella stessa seduta, Palazzo Madama ha affrontato altre questioni di immunità parlamentare. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera dell’aula sulla sua insindacabilità per le frasi rivolte al magistrato Luca Tescaroli nel 2023, giudicate collegate ad atti parlamentari come interrogazioni e interventi in aula. A favore hanno votato 117 senatori, mentre 23 – tra M5s e Avs – hanno detto no.

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