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Cronaca

Il Procuratore Nicola Gratteri a Sanremo: «Il primo insediamento di ‘ndrangheta nel Nord Italia è stato in Liguria»

A Casa Sanremo per Next Gen Legality, il Procuratore ha parlato del radicamento delle mafie nel Nord Italia, della situazione del giornalismo d’inchiesta e delle riforme giudiziarie che stanno trasformando profondamente il Paese. Nessun commento sul caso Toti, ma tante riflessioni sulle difficoltà di chi lavora in prima linea contro la criminalità organizzata.

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    Il Procuratore Nicola Gratteri, una delle figure più autorevoli nella lotta contro la criminalità organizzata, è stato protagonista dell’evento Next Gen Legality a Casa Sanremo. Un appuntamento importante, che ha messo a confronto donne e uomini impegnati nella giustizia e nel giornalismo d’inchiesta, per analizzare il presente e il futuro delle riforme giudiziarie e dei meccanismi di informazione legati ai temi più delicati del Paese.

    Prima di partecipare al forum, Gratteri ha risposto alle domande dei giornalisti, soffermandosi soprattutto sulla presenza delle mafie nel Nord Italia e sull’evoluzione del radicamento della ‘ndrangheta. «Il primo insediamento di ‘ndrangheta nel Nord Italia c’è stato in Liguria – ha dichiarato – e la Liguria è stata l’ultima regione d’Italia ad avere una sentenza di condanna per associazione a delinquere di stampo ‘ndranghetistico».

    Secondo Gratteri, il modus operandi delle organizzazioni criminali segue dinamiche precise e collaudate: «Tradizionalmente, le mafie investono nell’edilizia, nella ristorazione e nel mondo degli alberghi». Una strategia consolidata, che ha permesso alla ‘ndrangheta di infiltrarsi progressivamente nei tessuti economici del Nord Italia, partendo proprio dalla Liguria e arrivando poi in Piemonte e Lombardia.

    Il Procuratore ha anche parlato del legame tra la ‘ndrangheta e la vicina Francia, sottolineando come molti malavitosi italiani trovino rifugio oltreconfine. «A Ventimiglia c’è una ‘camera di compensazione’, una struttura della ‘ndrangheta a cui tutti i ‘ndranghetisti che attraversano il confine rendicontano il proprio operato criminale nel sud della Francia», ha spiegato Gratteri, confermando la dimensione transnazionale delle attività mafiose.

    Alla domanda sull’arresto dell’ex governatore della Liguria Giovanni Toti, il Procuratore ha preferito non esprimersi. «Io dei processi degli altri non parlo», ha tagliato corto, mantenendo la consueta sobrietà e prudenza nel commentare vicende che non lo riguardano direttamente.

    Gratteri ha poi spostato l’attenzione sul tema delle riforme che hanno toccato il mondo del giornalismo, con particolare riferimento alla cronaca nera e giudiziaria. «Anche le riforme che hanno riguardato i giornalisti sono state molto dure. Per chi fa cronaca nera, ormai è quasi impossibile fare il proprio mestiere. Fare il sunto, l’estratto di un’ordinanza di custodia cautelare è difficile ma soprattutto pericoloso».

    Il Procuratore ha criticato apertamente alcune modifiche legislative, ritenendole poco utili alla tutela delle parti offese: «Si stanno facendo riforme che nulla hanno a che vedere con la tutela delle parti offese o delle parti deboli. Gli editori li ho visti poco preoccupati di queste riforme, non ho visto i giornalisti scioperare».

    Secondo Gratteri, questa situazione è figlia anche della precarietà del settore. «Nel campo del giornalismo c’è troppo precariato. Uno si ribella e cinque sono pronti a prendere il suo posto», ha osservato, non nascondendo la sua preoccupazione per le condizioni lavorative dei cronisti. «Fate un lavoro bellissimo ma davvero difficile», ha aggiunto, rivolgendosi direttamente ai giornalisti presenti.

    Riflettendo sul proprio lavoro e sull’importanza di comunicare in modo chiaro con i cittadini, Gratteri ha spiegato la sua filosofia: «Ho sempre detto quello che penso. Non bisogna farsi impressionare da battute, slogan. Bisogna cercare di spiegare con pacatezza le cose, facendo esempi, raccontando storie. A me interessa che la gente capisca perché si fanno o non si fanno certe riforme. Questo per me è importante».

    E qui Gratteri lancia una stoccata ai politici: «Ovviamente, da sempre chiunque è al potere non vuole essere controllato». Una frase che riassume perfettamente la difficoltà di portare avanti un lavoro di inchiesta e di controllo senza scontrarsi con resistenze e tentativi di insabbiamento.

    A Casa Sanremo, il Procuratore Nicola Gratteri ha ancora una volta confermato la sua determinazione nel portare avanti la lotta contro la criminalità organizzata e nel denunciare pubblicamente le storture di un sistema che spesso non tutela a sufficienza chi opera in prima linea.

    Il suo messaggio, forte e chiaro, ha colpito nel segno: una lucida fotografia di un Paese che ha ancora molta strada da fare per liberarsi dalle infiltrazioni mafiose e per garantire una vera libertà di stampa, senza compromessi e senza censure.

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      Mondo

      Khaby Lame espulso dagli USA. Invidia o sgarbo? L’influencer Maga rivendica il merito

      Bo Loudon, amico di Barron Trump, afferma di aver orchestrato l’espulsione del tiktoker: “Nessuno è al di sopra della legge”.

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        C’è del clamore mediatico attorno alla recente espulsione dagli Stati Uniti di Khaby Lame. Il popolare tiktoker italo-senegalese, che con il suo stile minimalista ha conquistato oltre 162 milioni di follower, è stato preso di mira. Dietro il provvedimento della sua espulsione c’è un nome sorprendente: Bo Loudon. Il giovane influencer legato alla famiglia Trump, presunto migliore amico di Barron, figlio minore dell’ex presidente è noto per la sua vicinanza ai circoli conservatori americani. Loudon ha rivendicato apertamente di aver avuto un ruolo determinante nell’espulsione. In una serie di post su X, ha dichiarato di aver “preso personalmente provvedimenti” per far sì che il 25enne venisse fermato. Ha lavorato “con i patrioti dell’amministrazione Trump” per ottenere l’arresto del tiktoker all’aeroporto di Las Vegas.

        Loudon vs. Lame. una rivalità tra Tiktoker?

        Secondo le autorità, Lame sarebbe rimasto oltre la scadenza del suo visto temporaneo. Lame è entrato negli USA il 30 aprile per partecipare al Met Gala a New York il 5 maggio. E’ stato fermato dagli agenti dell’US Immigration and Customs Enforcement (ICE) il 6 giugno allo scalo Harry Reid. Gli è stata concessa la “partenza volontaria”, lasciando così il Paese senza ulteriori conseguenze legali. Loudon, da parte sua, esulta per l’operazione: “Nessuno lavora più velocemente dell’amministrazione Trump“, ha scritto, sottolineando il ruolo che lui e Barron Trump avrebbero avuto nel garantire l’applicazione della legge.

        Dal comitato elettorale a poliziotto

        L’influencer di Palm Beach, nonostante la giovane età, è stato reclutato ufficiosamente nel team elettorale di Donald Trump. Il suo compito è quello di intercettare il voto della Generazione Z e il cosiddetto “bro vote”, ovvero il consenso dei giovani uomini americani. Ma dietro questo attivismo politico, alcuni vedono anche un velato sentimento di invidia. Lame è una star internazionale, mentre Loudon, pur vicino ai circoli di potere, resta una figura controversa e di nicchia. Il sospetto che questa espulsione sia stata motivata più da personalismi che da una reale emergenza legale è stato sollevato da diversi osservatori, soprattutto in un momento in cui Trump è alla ricerca di consensi tra i giovani. E Lame che fa? Risponderà? Forse sceglierà il silenzio e un’espressione sarcastica per dire tutto senza dire nulla.

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          Storie vere

          La donna con la barba più giovane al mondo è Harnaam Kaur, Guinness World Records nel 2016.

          Soffre della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), una patologia che può causare, tra le altre cose, una crescita eccessiva di peli (irsutismo).

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            La storia di Harnaam Kaur è una vera e propria rivoluzione. Questa donna britannica di 34 anni, affetta dalla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), ha trasformato la sua caratteristica più evidente – la barba – in un simbolo di forza e autoaccettazione. Harnaam non è solo un’icona visiva, ma soprattutto una voce potente nel movimento body positivity. L’ovaio policistico è una espressione di una complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo. Una alterazione dovuta all’aumento degli ormoni maschili (androgeni), causa di segni e sintomi quali: irsutismo (eccesso di peluria su viso e corpo), e alopecia androgenetica (acne e calvizie di tipo maschile).

            La bellezza della diversità

            Fin dall’infanzia, Harnaam ha affrontato il bullismo e il giudizio sociale per il suo aspetto. Inizialmente, come molte persone che si sentono diverse, ha cercato di conformarsi, radendosi la barba per adeguarsi agli standard tradizionali di bellezza femminile. Tuttavia, questo non ha fatto altro che accrescere il suo disagio interiore. La svolta è arrivata quando ha deciso di abbracciare la sua unicità e smettere di lottare contro la sua natura. Ha trasformato quella che molti consideravano una debolezza in un punto di forza, trovando nella sua barba non un motivo di vergogna, ma una “corona” da indossare con fierezza.

            Un’attivista per l’autoaccettazione

            Oggi, Harnaam Kaur è una delle voci più influenti nel mondo della body positivity. Attraverso i social media e le sue apparizioni pubbliche, trasmette un messaggio chiaro. Ovvero che la bellezza non è un concetto rigido e predefinito, ma un’espressione autentica di sé. Il suo motto, “Non abbiamo bisogno di rientrare in schemi per essere belli”, è un invito a chiunque si senta inadeguato rispetto ai modelli imposti dalla società. La sua storia ha ispirato migliaia di persone a rivalutare il proprio valore personale, al di là delle etichette. Harnaam ha collaborato con importanti brand di moda impegnati a promuovere la diversità, sfidando gli stereotipi e dimostrando che la bellezza risiede nella fiducia in se stessi.

            Per Harnaam Kaur un messaggio di coraggio e amore per sé

            Molto più di una semplice detentrice di un record mondiale – riconosciuto ufficialmente dal Guinness World Records nel 2016 – l’esistenza e il coraggio di Harnaam Kaur dimostrano che la vera forza sta nell’accettarsi e nell’amarsi incondizionatamente. Un esempio che insegna quanto non si debba permettere agli altri di definire chi siamo o quanto valiamo. Nel suo percorso, Harnaam ha trasformato la sua esperienza personale in un movimento più ampio, aiutando chiunque si senta escluso o giudicato a trovare la forza di essere se stesso.

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              Mondo

              “Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre”: il racconto dell’unico sopravvissuto alla strage di Ahmedabad

              “Non so come sia possibile, ma sono uscito vivo da lì”. Si chiama Vishwash Kumar Ramesh, ha 40 anni, la cittadinanza britannica e una famiglia a Londra. È l’unico sopravvissuto al disastro del Boeing Air India precipitato ad Ahmedabad. Il volo, diretto nel Regno Unito, si è schiantato poco dopo il decollo, provocando 240 morti. Il suo racconto, tra dolore e incredulità, arriva da un letto d’ospedale, dove è ricoverato con ustioni al volto, al petto e agli arti.

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                Vishwash non riesce a darsi una spiegazione, e forse non la troverà mai. Il boato, le fiamme, il buio, poi il silenzio. “Si è capito che qualcosa non andava a pochissimi secondi dal decollo”, ha raccontato. Prima un forte rumore, poi lo scoppio, un tonfo improvviso. E in un attimo, tutto intorno a lui è stato fuoco. Non c’è stato il tempo per gridare. Né per pensare.

                Era seduto al posto 11A, accanto al portellone di emergenza. Forse è stato questo a salvarlo. Quando ha riaperto gli occhi, era ancora vivo. Ustionato, confuso, ma vivo. “Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre, tra lamiere e corpi senza vita, cercando disperatamente un’uscita”. In tasca aveva ancora la carta d’imbarco. L’ha mostrata ai soccorritori come se fosse un talismano, una prova fisica di un passaggio rimasto inspiegabilmente aperto tra la vita e la morte.

                Nelle sue parole, spezzate dalla fatica e dal dolore, c’è un’immagine che torna più volte: quella dei passeggeri davanti a lui. Un’hostess, una coppia di anziani, e suo fratello Ajay. “Sono morti tutti davanti ai miei occhi”, ha detto. Il fratello, 45 anni, era accanto a lui. Viaggiavano insieme, di ritorno da una breve visita ai parenti. Avevano preso quel volo per tornare a casa, in Gran Bretagna, dove vivono da vent’anni. Uno solo è sopravvissuto.

                Il racconto prosegue come un sogno spezzato. “Mi muovevo quasi senza capire. C’erano pezzi dell’aereo ovunque, fumo, odore di carburante. A un certo punto ho visto qualcuno venirmi incontro. Poi l’ambulanza”. L’aereo, carico di cherosene per il lungo viaggio, ha preso fuoco subito dopo l’impatto con un edificio nei pressi dell’aeroporto. Era un ostello per studenti di medicina: tra le vittime, almeno cinque giovani che dormivano nelle stanze investite dalle lamiere.

                Vishwash ha provato a ricostruire quei secondi prima dello schianto. Secondo lui, qualcosa è andato storto appena dopo il decollo. “Sembrava che l’aereo si fosse fermato a mezz’aria. Poi ho visto accendersi luci verdi e bianche. I piloti hanno cercato di riprendere quota, ma non c’è stato niente da fare. È andato giù di colpo, a tutta velocità”. Quando l’aereo si è inclinato, il caos ha preso il sopravvento. I passeggeri si sono stretti ai sedili, molti hanno urlato. Lui ha stretto la cintura, poi il resto è venuto da sé.

                Dall’ospedale civile di Asarwa, dove è ricoverato, Vishwash ha parlato con un cronista del quotidiano Hindustan Times, ma anche con i giornalisti di NDTV. Ha raccontato tutto, senza cercare un senso. “La morte di mio fratello spezzerà il cuore alla nostra famiglia. Io ringrazio gli dei per il miracolo che mi ha salvato, ma porterò per sempre nel cuore questa tragedia”.

                Il posto 11A, accanto alla porta d’emergenza, è diventato un simbolo. Lo citano i medici, i cronisti, i soccorritori. È lì che sedeva l’unico sopravvissuto di un volo che non doveva finire così. È lì che, tra fumo, fuoco e lamiere, si è aperto un varco impossibile tra la fine e la vita.

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