Italia
Gratteri svela il silenzio sulla Terra dei Fuochi: “Esiste anche altrove, ma nessuno lo dice”
Il Procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, denuncia la strategia dell’omertà sulle emergenze ambientali: “Si nasconde per non danneggiare il turismo”. E sulla demolizione degli abusi edilizi: “Diamo la priorità agli edifici costruiti da pregiudicati, non al terrazzo dell’operaio”

Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, non è uno che usa mezzi termini. Lo ha dimostrato ancora una volta in un’intervista a Radio Goal su Kiss Kiss Napoli, in cui ha parlato della sua esperienza nel capoluogo campano, delle difficoltà nel gestire la macchina della giustizia con ventuno magistrati in meno e delle sfide che attendono la città. Ma il punto più scottante dell’intervista arriva quando il magistrato affronta l’emergenza ambientale e fa una rivelazione pesante come un macigno: la Terra dei Fuochi non è un problema esclusivo della Campania, ma altrove si sceglie di non parlarne per non intaccare il turismo.
Napoli e le demolizioni: “Partiamo dai grandi abusi, non dal terrazzo dell’operaio”
Gratteri si dice soddisfatto del primo anno di lavoro a Napoli, un’esperienza che si è rivelata più positiva del previsto. Ma il suo compito è reso sempre più difficile dal fatto che, come spiega, “ci sono stati trasferimenti, promozioni ed altri incarichi e ora siamo al 20% di magistrati in meno. Questo rende difficile replicare i buoni risultati ottenuti quest’anno”.
Uno dei fronti caldi è quello delle demolizioni degli edifici abusivi, una piaga storica che pesa sulla regione. Gratteri snocciola i numeri: “Erano 80, oggi sono 171. Abbiamo riorganizzato l’ufficio demolizioni, ampliato le operazioni e coinvolto la Regione Campania, che ha messo a disposizione fondi per i Comuni per abbattere le costruzioni abusive”. Ma, avverte, non si parla di semplici ampliamenti o piccoli abusi edilizi, bensì di vere e proprie palazzine e ville abusive.
E qui arriva la stoccata a chi cerca di giustificare il fenomeno: “Molta gente mi manda a dire che ha costruito abusivamente perché non c’era un piano regolatore. Bene, mi chiedo perché trent’anni fa non hanno protestato contro i sindaci che non lo approvavano? Conveniva a tutti far finta di non vedere e girarsi dall’altra parte”.
La linea della Procura è chiara: si parte dalle costruzioni realizzate da pregiudicati e dai grandi abusi edilizi. Nessuna persecuzione contro il piccolo cittadino, ma una lotta sistematica contro il cemento selvaggio che da decenni devasta il territorio.
La Terra dei Fuochi? “Altrove si nasconde per salvare il turismo”
Ma è sul fronte ambientale che Gratteri sgancia la vera bomba. Da anni si parla della Terra dei Fuochi, quell’immensa distesa tra Napoli e Caserta avvelenata da discariche abusive e roghi tossici che hanno portato a un’impennata di tumori e malattie respiratorie. Ma, avverte il magistrato, non è un problema circoscritto alla Campania.
“La Terra dei Fuochi esiste anche altrove, ma nessuno ne parla”, denuncia. E spiega il motivo di questo silenzio: “Si tende a nascondere i problemi ambientali di certe zone per non avere ripercussioni sul turismo”. Un’accusa che pesa, soprattutto in un Paese in cui l’industria turistica è uno dei settori più redditizi.
Ma è davvero così? L’allarme lanciato da Gratteri trova riscontro nelle denunce di tanti ambientalisti che da anni parlano di discariche abusive in tutta Italia: dalla Terra dei Fuochi del Nord, tra Piemonte e Lombardia, alle zone inquinate di Puglia e Calabria, fino ai veleni industriali della Pianura Padana. Eppure, mentre sulla Campania i riflettori restano accesi, su altri territori cala un inquietante silenzio.
Tra Campi Flegrei e turismo, la verità fa paura
Gratteri insiste su un punto fondamentale: affrontare questi problemi significa essere onesti con i cittadini e con il futuro della regione. Prendiamo ad esempio i Campi Flegrei, dove il rischio sismico e vulcanico viene spesso minimizzato per non spaventare investitori e turisti. Ma il Procuratore è netto: “Se avessimo i fondi, potremmo demolire le costruzioni abusive nella zona di Napoli”.
Una frase che dice molto più di quanto sembri. Se il problema fosse davvero affrontato con serietà, bisognerebbe intervenire anche sulle aree a rischio, dove si è costruito senza regole e senza criterio. Ma gli interessi economici spesso prevalgono sulla sicurezza e sulla tutela ambientale.
Un magistrato scomodo in una città che non può più far finta di niente
Nicola Gratteri non è certo un magistrato che passa inosservato. Negli anni ha sfidato le mafie, ha combattuto il traffico di droga e la corruzione, ha denunciato complicità e omissioni ai livelli più alti dello Stato. Ora, a Napoli, ha messo nel mirino le grandi piaghe della città: l’abusivismo edilizio, il degrado ambientale, la mancanza di risorse per la giustizia e il vergognoso silenzio su certe verità scomode.
E mentre lui parla, il rischio è sempre lo stesso: che la sua voce resti isolata. Perché se c’è una cosa che in Italia sappiamo fare bene, è fingere di indignarci e poi voltare la testa dall’altra parte.
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Italia
Plasmon torna italiana dopo 50 anni: il biscotto dell’infanzia rientra a casa
Il gruppo emiliano NewPrinces rileva lo storico marchio dai colossi americani di Kraft Heinz. Un ritorno al made in Italy che sa di rivincita industriale (e sentimentale)

Dopo cinquant’anni trascorsi all’estero, Plasmon torna italiana. Lo storico marchio di biscotti per l’infanzia – icona dolce di generazioni di bambini e segreto inconfessabile per molti adulti – è stato acquistato dal gruppo emiliano NewPrinces (ex Newlat Food), che ha rilevato le attività italiane di Heinz per una cifra vicina ai 120 milioni di euro.
A vendere è stato il colosso statunitense Kraft Heinz, che dal 1967 controllava Plasmon e che ora cede non solo il marchio madre, ma anche altri brand come Nipiol, BiAglut, Aproten e Dieterba, tutti specializzati nell’alimentazione infantile e dietetica. Il cuore produttivo dell’operazione è lo stabilimento di Latina, dove ogni anno vengono sfornati 1,8 miliardi di biscotti, omogeneizzati e pappe.
Fondata nel 1902 a Milano dal medico Cesare Scotti, Plasmon è stata per decenni un punto fermo della tavola italiana, soprattutto durante il boom demografico del dopoguerra. Complice la pubblicità in Carosello e le scatole di latta diventate oggi oggetto vintage, il marchio ha conquistato una fiducia senza tempo.
La vendita alla Heinz americana, avvenuta negli anni Sessanta, aveva segnato l’inizio di una lunga fase di internazionalizzazione, ma anche di distacco emotivo dal territorio. Ora, grazie a NewPrinces, il brand fa ritorno in mani italiane. Una mossa non solo industriale ma anche simbolica, che parla di filiere locali, know-how nazionale e voglia di riportare valore a casa.
Lo stabilimento di Latina, considerato tra i più avanzati d’Europa nel settore, continuerà a produrre anche per il mercato britannico, almeno per un periodo transitorio. Ma il controllo, questa volta, torna sotto bandiera tricolore.
NewPrinces – già attiva con brand storici come Polenghi e Delverde – punta così a rafforzare la propria posizione nel comparto baby food. In un mercato da 200 milioni di euro di fatturato e un margine operativo lordo di circa 17 milioni.
Una buona notizia, per una volta. Che sa di latte caldo, biscotti e orgoglio nazionale.
Italia
Dallo stupro di gruppo al profilo su OnlyFans: la nuova vita (e le nuove domande) di Asia Vitale
La ragazza simbolo del caso Palermo si mostra oggi senza filtri su OnlyFans. Rivendica il controllo sul proprio corpo. Ma tra emancipazione e contraddizione, resta l’amaro dubbio: stiamo assistendo a una rinascita o a una nuova forma di esposizione?

Due anni fa il suo nome è diventato simbolo. Asia Vitale, la ragazza di Palermo violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, oggi riappare sotto una luce diversa: quella di una webcam. Dopo la chiusura del suo profilo Instagram e il calo dei follower, ha aperto un nuovo canale su OnlyFans. Si chiama AsiaVitale3.0 e propone contenuti sessuali a pagamento. Tutto legale, tutto consenziente, tutto rivendicato.
“Il corpo è mio”, dice. “Chi ha problemi con questo mestiere dovrebbe cambiare mentalità”. Eppure, la sua storia personale rende difficile ignorare la frattura tra passato e presente. Dopo aver subito un’aggressione brutale e aver vissuto anni in comunità per allontanarsi da una famiglia che lei stessa definisce “tossica”, oggi Asia monetizza la propria immagine, il proprio corpo, la propria sessualità.
Non c’è giudizio, ma c’è stupore. Non si tratta di negare la libertà di scelta, ma di registrare una contraddizione che interroga chi osserva. Come si arriva, da una violenza così feroce, a scegliere di mettersi di nuovo sotto gli occhi di tutti, stavolta per guadagnare?
“Ho rimosso le loro facce”, dice parlando dei suoi aggressori. “Cerco solo di andare avanti”. Racconta di un rapporto con il sesso profondamente cambiato, più consapevole, più adulto. Ma confessa anche un trauma più recente: un sequestro subito a Ballarò, da parte della madre di uno degli accusati, che voleva costringerla a ritirare la denuncia.
Oggi lavora in un hotel a Courmayeur e prova a costruirsi una nuova vita. OnlyFans la aiuta a far quadrare i conti, ma non garantisce stabilità. I video vengono pagati, ma possono anche essere rivenduti illegalmente. Un’altra forma di sfruttamento, di cui Asia è perfettamente consapevole.
Il suo è un racconto di sopravvivenza. Ma anche una domanda aperta: dopo tutto questo dolore, davvero la libertà passa ancora per l’esposizione del corpo?
Italia
Bibbiano, processo demolito: il mostro non esisteva, ma intanto lo avevano già impiccato in piazza
Doveva essere l’inchiesta del secolo, il complotto delle élite rosse che rubavano i bambini. Invece si è rivelato un gigantesco castello di carte: assoluzioni a pioggia, accuse smontate, reati prescritti. Ma niente paura: qualcuno, da qualche parte, urla ancora “Bibbiano!”.

Il processo più discusso degli ultimi anni si è chiuso con un verdetto che ribalta tutto. Il caso Bibbiano, diventato simbolo di presunti affidi illeciti orchestrati da una rete tra servizi sociali e terapeuti, esce demolito dalla sentenza di primo grado. Dei 14 imputati, solo tre sono stati condannati. Tutti gli altri assolti, molti con formula piena. La “macchina degli orrori” raccontata per anni, tra allontanamenti forzati e abusi mai avvenuti, semplicemente non c’è.
È quanto ha stabilito il tribunale collegiale di Reggio Emilia. Federica Anghinolfi, l’ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, su cui pendeva una richiesta di 15 anni di carcere, è stata condannata a 2 anni per falso ideologico, pena sospesa. Stessa sorte per il suo collaboratore Francesco Monopoli (un anno e otto mesi) e per la neuropsichiatra Flaviana Murru (cinque mesi). Niente più. Le accuse più gravi – come l’associazione per delinquere e la manipolazione dei minori – si sono sgretolate.
Un colpo durissimo per l’accusa, che aveva ipotizzato un sistema radicato e cinico: terapeuti che costruivano falsi ricordi di abusi, relazioni manipolate per sottrarre bambini alle famiglie, affidi gestiti con logiche distorte. Le indagini erano state lunghe, oltre cento i capi di imputazione. Ma in aula quella narrazione non ha retto. I giudici hanno smontato punto per punto l’impianto accusatorio, parlando, in molte assoluzioni, di fatti “che non sussistono”.
Il pm Valentina Salvi aveva costruito il caso insieme ai carabinieri, sostenendo che gli operatori dei servizi sociali della Val d’Enza falsificassero le relazioni sui minori per farli allontanare dalle famiglie. Ma il processo ha mostrato falle, forzature, testimonianze non sempre coerenti. E ha restituito una verità ben diversa da quella immaginata.
Sul piano politico, il caso Bibbiano era diventato un campo di battaglia. Ma oggi, davanti a una sentenza che svuota il teorema accusatorio, resta una domanda scomoda: quanto ha pesato la spettacolarizzazione mediatica su una vicenda che, forse, non avrebbe mai dovuto essere un processo simbolico?
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