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Cronaca

“Chi c’è di là?” – “Quattro poveri, li mandiamo via”. Escort minorenni, fatturazioni fittizie e poliziotti amici nelle notti della Gintoneria.

Dagli atti dell’inchiesta esce lo squallore delle notti brave della Milano più nascosta. Non era solo un locale di lusso: La Gintoneria era il cuore di un sistema di droga e prostituzione. Con bottiglie da 70.000 euro, escort minorenni e bonifici sospetti, Lacerenza e Nobile hanno costruito un impero sul degrado.

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    Uno champagne da 70.000 euro a notte, ragazze minorenni offerte ai clienti, cocaina rosa servita come aperitivo e un locale dove il confine tra lusso e squallore si dissolveva sotto montagne di droga. L’inchiesta della Procura di Milano su Davide Lacerenza, Stefania Nobile e il loro sodalizio milionario non è il solito caso di “notte brava” finita male, ma il racconto di un sistema costruito su sesso, stupefacenti e denaro sporco, un teatrino squallido in cui escort e bottiglie venivano trattate alla stessa maniera: come merce.

    E dire che bastava aprire Instagram per farsi un’idea, visto che Lacerenza da anni si mostrava senza alcun pudore in compagnia di ragazze, con lo sguardo perso tra alcol e polveri bianche. Ma la vera storia è quella scritta nelle intercettazioni della Procura. E fa molto più schifo di quanto si potesse immaginare.

    Dietro la facciata di bar alla moda per chi poteva permetterselo, La Gintoneria era un crocevia di spaccio e prostituzione. Non solo cocaina, ma anche erba e soprattutto “Tusi”, la cocaina rosa, un mix di ketamina e Mdma, servita nei salotti privati ai clienti più generosi.

    Le ragazze, chiamate “cavalle”, venivano piazzate al miglior offerente. Minorenni comprese.C’ho una ragazzina di 18 anni ma è scema, è da due ore con uno (..), deve dare il tempo a ’sti coglioni, 20 minuti, perché se trova uno con il c… duro la sfonda” diceva Lacerenza, preoccupato che una delle escort si fosse fermata troppo a lungo con un cliente.

    Nel “Malmaison”, il locale accanto alla Gintoneria riservato ai più facoltosi, si entrava solo se si era pronti a spendere oltre 5000 euro a notte. E se qualcuno aveva esigenze particolari, c’era il delivery: bottiglie di champagne, droga e prostitute arrivavano direttamente a domicilio. A gestire le consegne era Davide Ariganello, il tuttofare di Lacerenza, ma a volte ci pensava lo stesso boss. “Sono fattissimo, abbiamo 4 puttane da chiamare adesso per questi cavalli?” chiedeva Lacerenza in una telefonata con il suo braccio destro.

    I clienti migliori avevano anche un nome in codice. Il più redditizio era “Lo Sconosciuto”, un uomo che tra sesso, champagne e droga ha versato nelle casse di Lacerenza la bellezza di 640.000 euro. Le escort erano fondamentali nel sistema: servivano per far spendere di più. “Io nei locali gli servivo per vendere bottiglie, per soddisfare i clienti e lui stesso” ha raccontato una delle ragazze ai magistrati.

    Le minorenni venivano trattate con la stessa freddezza con cui si parla di un’ordinazione. “A Federico ho già fatto scopare la ragazza, la 2005” diceva Lacerenza. E Stefania Nobile, anziché scandalizzarsi, rispondeva: “Ah, vai per anno tu!”. E tra un festino e l’altro, si trovava anche il tempo per dileggiare le escort meno gradite. In un’altra conversazione con Nobile, Lacerenza si divertiva a descrivere un cliente che si era intrattenuto con una ragazza soprannominata “la puzzola”: “È andato su con la puzzola, le puzzano le ascelle, puzzava di brutto”. Nobile rideva e rincarava: “Mamma mia che schifo”. E Lacerenza: “Lui le leccava le ascelle, ho i video, un maiale”.

    Se a La Zanzara e nelle interviste il locale veniva descritto come un posto “per divertirsi”, le intercettazioni mostrano una realtà in cui il limite tra degrado e criminalità era stato superato da tempo. La vera domanda era: come giustificare tutto quel denaro? Un cliente che spende 70.000 euro in una notte non passa inosservato. La soluzione di Lacerenza? Simulare eventi di lusso, postando bottiglie vuote su Instagram per fingere incassi legati alla vendita di alcol.

    E se qualche domanda in più fosse arrivata, c’era sempre qualcuno che poteva chiudere un occhio. Nell’ordinanza si parla di “amicizie nelle forze dell’ordine”. Poliziotti e finanzieri che frequentavano il locale, che venivano omaggiati di bevute e – stando agli atti – forse anche di droga.

    C’è un pezzo grosso della Guardia di Finanza” diceva Lacerenza parlando dei suoi clienti di fiducia. “E ogni tanto una soffiata arriva”. Una scia di distruzione, ma nessun pentimento: l’ultimo tassello di questa storia sono le escort. Alcune raccontano di aver ricevuto droga gratis per lavorare nel locale. “Lacerenza chiede alle escort di avere rapporti per testare il loro rapporto qualitativo e la loro durata nella performance” ha spiegato una di loro ai magistrati.

    E lui stesso lo conferma in una intercettazione che più squallida non si può: “Tutte le puttane che stanno con me o pippano o le faccio iniziare a pippare”.

    Non c’era nulla di elegante nella Gintoneria, niente di “trasgressivo” in senso glamour. Solo degrado. Ma la cosa peggiore è che fino a ieri tutto questo veniva raccontato come folklore. Lacerenza veniva intervistato in radio, descritto dai giornali come un fenomeno da baraccone. Ora che l’inchiesta ha squarciato il velo, nessuno può più fingere di non sapere. E se c’è qualcosa di più osceno delle intercettazioni, è il fatto che per anni qualcuno abbia deciso di girarsi dall’altra parte.

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      Cronaca Nera

      L’estate calda dei “casi freddi”. Dopo Garlasco, si riapre anche il mistero McCann: ritrovati frammenti di vestiti e ossa.

      Un’area di 50 ettari setacciata da investigatori portoghesi e tedeschi riaccende le speranze: i reperti saranno ora analizzati nei laboratori. L’obiettivo è trovare la prova definitiva contro Christian Brueckner

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        A diciott’anni dalla scomparsa della piccola Madeleine McCann, qualcosa finalmente si muove. Dopo l’improvvisa riapertura del caso Poggi a Garlasco, un altro cold case si riaccende sotto il sole di giugno. E stavolta siamo in Portogallo, precisamente nella regione dell’Algarve, vicino a Lagos. È lì, a circa 30 miglia dal luogo dove Madeleine svanì nel nulla nel maggio del 2007, che nei giorni scorsi una squadra mista di investigatori tedeschi e portoghesi ha concluso una nuova perquisizione. Una tre giorni di ricerche intense che, inizialmente, sembravano non aver portato a nulla. Ma ora emerge un dettaglio inquietante: sono stati trovati frammenti di vestiti e resti ossei.

        Una notizia che, se confermata dalle analisi in corso, potrebbe dare una svolta decisiva all’indagine più seguita e discussa degli ultimi decenni. Madeleine McCann, tre anni appena, era in vacanza con i genitori nel resort Praia da Luz quando sparì dal lettino in cui dormiva. Da allora, ipotesi, avvistamenti, depistaggi e teorie complottiste si sono susseguite senza tregua. Ma di prove, nessuna. E soprattutto: del corpo della bambina, mai traccia.

        Ora però qualcosa sembra cambiare. Secondo quanto riportato dalla Cnn Portugal, “durante la perquisizione sono stati sequestrati diversi oggetti che saranno ulteriormente esaminati dalla polizia tedesca”. Oggetti che comprenderebbero anche “campioni di vestiti e ossa”, come riportato anche dal quotidiano Correio da Manhã. Gli inquirenti, per il momento, mantengono il più stretto riserbo. Ma fonti vicine all’indagine confermano che “i materiali saranno ora analizzati attentamente nel laboratorio della polizia per valutarne la potenziale rilevanza ai fini delle indagini”.

        Il sospettato numero uno resta sempre lui: Christian Brueckner, cittadino tedesco già detenuto in Germania per reati sessuali, incluso l’abuso su minori. All’epoca della sparizione, Brueckner viveva non lontano dal resort della famiglia McCann. Da anni gli inquirenti tedeschi cercano di incastrarlo, ma senza mai trovare una prova inconfutabile. Potrebbero essere proprio questi frammenti a segnare il punto di svolta.

        Secondo quanto riferito dai media lusitani, l’intera area setacciata dagli investigatori la scorsa settimana — circa 50 ettari di territorio collinare attorno a una vecchia diga — era già stata indicata in passato come luogo potenzialmente interessante. Ma solo oggi, con l’ausilio di nuove tecnologie e la pressione crescente della magistratura tedesca, si è deciso di intervenire in modo più sistematico. Una fonte investigativa ha dichiarato: “Non possiamo confermare ufficialmente la correlazione con Madeleine, ma è chiaro che questa è la nostra speranza”.

        Una speranza che tiene col fiato sospeso non solo i genitori della piccola, ma milioni di persone che da anni seguono la vicenda con apprensione. Kate e Gerry McCann, che non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali dopo la notizia dei ritrovamenti, si sono detti in passato “determinati a conoscere la verità, qualunque essa sia”. Negli ultimi anni hanno più volte ribadito di voler semplicemente “sapere cosa è accaduto a Madeleine, per poter finalmente trovare pace”.

        Questa nuova fase dell’inchiesta è stata condotta in stretta collaborazione con l’autorità giudiziaria tedesca, che da tempo coordina il fascicolo contro Brueckner. Le autorità tedesche credono che Madeleine sia stata uccisa poco dopo il rapimento, e Brueckner — attualmente in carcere per altri crimini — sarebbe il responsabile. Ma finora, nessun corpo, nessuna prova. Solo indizi e testimonianze, spesso contraddittorie.

        Resta da capire se i frammenti ritrovati possano davvero parlare dopo tutto questo tempo. Gli esami in laboratorio inizieranno in settimana, ma i risultati — avvertono gli inquirenti — non saranno immediati. L’obiettivo è isolare tracce di Dna compatibile con quello della bambina, o identificare elementi riconducibili alla sua scomparsa.

        Nel frattempo, sul caso si sono riaccesi anche i riflettori mediatici. In Germania, Gran Bretagna e Portogallo i principali quotidiani hanno rilanciato la notizia con grande evidenza. E in Italia, proprio mentre la cronaca riporta in primo piano altri cold case riaperti dopo anni di silenzio, il nome di Madeleine torna a scuotere coscienze e interrogare giustizia e opinione pubblica.

        Forse, dopo diciott’anni di buio, il mistero più inquietante del nuovo millennio si prepara ad avere un epilogo. Forse.

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          Italia

          E’ arrivata la prima ondata di caldo ma non è quella definitva

          Temperature in forte aumento, città arroventate e primi temporali. Una tregua in settimana ma poi si ricomincia. L’estate bussa.

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            L’estate sembra davvero entrare nel vivo. Questo è il primo fine settimana rovente. Da ieri il caldo intenso si fa sentire con temperature che hanno raggiunto i 37°C, a cui si aggiunge un’afa che rende l’atmosfera opprimente, soprattutto nelle ore serali e notturne. Secondo il bollettino del Ministero della Salute, sei città italiane sono già da bollino rosso, ovvero a rischio massimo per la salute: Bolzano, Campobasso, Perugia, Rieti, Roma e Frosinone. Altre cinque sono in bollino arancione, con temperature elevate ma un rischio più contenuto: Bologna, Brescia, Firenze, Latina e Torino. Le previsioni indicano cielo sereno su gran parte del Paese, con temporali isolati solo sulle Alpi Occidentali. Ma a rendere la situazione ancora più difficile è l’umidità, che fa crescere il disagio percepito sia di giorno che di notte.

            Quando arriverà un po’ di refrigerio? Domani…

            Da questa sera assisteremo ai primi segnali di cambiamento. Dall’Inghilterra arriverà un vortice di aria più fresca, che provocherà forti temporali sulle Alpi, sulla parte alta della Pianura Padana e sull’Adriatico centrale. Il contrasto tra l’aria caldissima preesistente e quella più fresca in arrivo potrà generare fenomeni intensi, con raffiche di vento improvvise, rovesci e possibili grandinate. Da domani16 giugno, il peggioramento si sposterà al Nord e al Centro, con precipitazioni più diffuse, specialmente sulla Riviera Romagnola nel pomeriggio. In ogni caso, le temperature rimarranno elevate, e questa prima ondata di caldo segnerà ufficialmente l’inizio della stagione torrida.

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              Italia

              Maria Rosaria Boccia sotto inchiesta: la laurea è vera o no?

              La Guardia di Finanza ha acquisito atti e documenti per fare luce sul titolo di studio della venditrice di abiti da sposa diventata consulente. L’inchiesta è partita da una segnalazione dell’università Pegaso. Dubbi anche sulla tesi: sarebbe molto simile a quella di un’altra studentessa laureata alla Luiss

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                È partita da una segnalazione dell’Università Telematica Pegaso l’inchiesta che oggi coinvolge Maria Rosaria Boccia. La procura di Napoli ha aperto un fascicolo per truffa, falso in atto pubblico e plagio, ipotizzando irregolarità nel percorso accademico della donna, nota alle cronache come ex collaboratrice del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.

                L’indagine è condotta dai pm Ciro Capasso, Claudio Onorati e Vincenzo Piscitelli, con il supporto della Guardia di Finanza. Gli accertamenti si stanno concentrando su tre atenei: la Pegaso, dove Boccia avrebbe conseguito la laurea in Economia Aziendale; la Parthenope, presso cui risultava iscritta in precedenza; e la Luiss di Roma, che rientra nel caso per una curiosa coincidenza: una tesi molto simile a quella presentata da Boccia è stata discussa da un’altra studentessa dell’ateneo nel 2019.

                La Gdf ha chiesto agli atenei documentazione completa: file digitali, esami sostenuti con relativi voti, video delle sessioni a distanza, libretti universitari, autocertificazioni e ogni altro elemento utile a ricostruire la carriera accademica della studentessa. Particolare attenzione è rivolta al passaggio tra la Parthenope e la Pegaso: gli investigatori vogliono capire se l’autocertificazione con cui Boccia ha dichiarato gli esami già svolti fosse veritiera.

                Ma a far esplodere il caso sarebbe stata proprio la tesi finale. Un lavoro accademico su cui l’università Pegaso ha avviato già da settembre un’istruttoria interna, dopo che alcuni dubbi erano stati sollevati da un’inchiesta giornalistica. L’ateneo ha comunicato di aver agito “nel pieno rispetto della trasparenza e della legalità”, e ha confermato di essere parte lesa nel procedimento.

                Il sospetto degli inquirenti è che la tesi possa essere stata in larga parte copiata da un’altra, discussa alla Luiss sei anni fa. A confermarlo potrebbe essere un’analisi con software antiplagio già in uso in molte università italiane. Se le analogie saranno confermate, il reato di plagio si aggiungerà al quadro, aggravando ulteriormente la posizione della Boccia.

                Per ora la diretta interessata non ha rilasciato dichiarazioni. Ma il caso è destinato ad avere conseguenze anche fuori dall’aula di tribunale, soprattutto per i legami politici e istituzionali che la donna aveva coltivato negli ultimi anni. E resta aperta la domanda più semplice e più spinosa: quella laurea, c’è davvero?

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