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Morto a 24 anni il tiktoker Kultur Efecan: si ingozzava di cibo in diretta, vittima del mukbang

La morte di Kultur Efecan è un campanello d’allarme, un monito per chi segue queste mode senza considerare le conseguenze. Perché dietro a ogni video virale, dietro a ogni abbuffata spettacolare, c’è spesso una realtà ben più triste. E questa volta, il prezzo pagato è stato il più alto possibile.

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    Era diventato famoso sui social grazie ai suoi video in cui divorava quantità spropositate di cibo, interagendo con i suoi follower in diretta. Ma quella che sembrava solo una moda virale si è trasformata in una tragedia. Kultur Efecan, giovane tiktoker turco di 24 anni, è morto lo scorso 7 marzo a causa di complicazioni legate all’obesità, dopo un ricovero ospedaliero durato tre mesi. Il ragazzo, che contava 176.000 follower su TikTok, era noto soprattutto per la pratica del mukbang, un fenomeno nato in Corea del Sud in cui gli influencer si riprendono mentre si abbuffano di cibo, amplificando suoni e masticazione per il piacere dei loro spettatori.

    La sua scomparsa ha riacceso il dibattito sulla pericolosità di questo tipo di contenuti, spesso ai limiti del grottesco, che trasformano in spettacolo pratiche alimentari insostenibili, con gravi conseguenze sulla salute.

    L’ascesa sui social e la dipendenza dal cibo

    Kultur Efecan si era fatto conoscere sui social con video sempre più estremi, in cui mangiava piatti giganteschi davanti alla telecamera, senza risparmiarsi. La sua popolarità era in crescita, ma dietro al successo si nascondeva un problema ben più serio: il suo peso aveva raggiunto livelli pericolosi e le sue condizioni di salute stavano peggiorando rapidamente.

    Secondo Turkiye Today, il giovane non riusciva più a muoversi autonomamente e, negli ultimi mesi della sua vita, non era nemmeno riuscito a visitare la tomba della madre, scomparsa l’anno precedente. Era stato ricoverato per la prima volta a dicembre 2024, quando i medici avevano segnalato gravi problemi legati all’obesità. Dopo un primo periodo di cure, era stato dimesso con l’indicazione di continuare la terapia a casa. Ma il suo stato di salute non è mai migliorato, fino al decesso.

    La morte e il funerale

    Dopo un secondo ricovero, la situazione è precipitata. Kultur è morto lo scorso 7 marzo e il suo funerale si è svolto presso la moschea Celaliye, nella provincia di Istanbul. La notizia ha fatto rapidamente il giro del web, sollevando domande sul ruolo dei social network nel promuovere contenuti estremi e sull’impatto che queste mode possono avere sulla salute mentale e fisica degli influencer che vi partecipano.

    Non è la prima volta che un mukbanger finisce in tragedia. Tra i casi più noti c’è quello della 24enne cinese Pan Xiaoting, deceduta dopo aver seguito diete estreme e abbuffate per i suoi follower. Anche in Corea del Sud, dove il mukbang è nato, diversi influencer sono finiti sotto accusa per aver promosso abitudini alimentari pericolose.

    Cos’è il mukbang e perché è così controverso

    Il mukbang (dal coreano “muk-ja” = mangiare e “bang-song” = trasmissione) è un format video in cui il protagonista mangia enormi quantità di cibo davanti alla telecamera, interagendo con il pubblico. Non è solo il cibo a essere al centro dell’attenzione, ma anche i suoni della masticazione, amplificati con microfoni posizionati strategicamente per creare un’esperienza sensoriale quasi ipnotica.

    In molti trovano questi video rilassanti, al pari dell’ASMR, mentre altri li seguono per pura curiosità o divertimento. Ma dietro questo trend si nascondono gravi rischi: il mukbang spinge spesso gli influencer a mangiare ben oltre i propri limiti, portando a problemi di salute come obesità, diabete, ipertensione e disturbi dell’alimentazione.

    La responsabilità dei social: serve un freno?

    Dopo la morte di Kultur Efecan, si è riaperta la discussione sulla responsabilità delle piattaforme social nel permettere la diffusione di questi contenuti. Se da un lato i mukbanger sono liberi di creare i loro video, dall’altro TikTok e YouTube monetizzano le loro performance, incentivandoli a spingersi sempre più in là per accumulare visualizzazioni e follower.

    Alcuni paesi, come la Corea del Sud, hanno iniziato a regolamentare questi contenuti, cercando di limitare il numero di video in cui il cibo viene consumato in modo eccessivo o non salutare. Tuttavia, molti influencer continuano a pubblicare mukbang sempre più estremi, alimentando un circolo vizioso di dipendenza e auto-distruzione.

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      Rita De Crescenzo nei guai per il video contro il ristorante di Castel di Sangro: «Ho speso 1000 euro e ho mangiato male»

      La multa di 258 euro non ferma Rita De Crescenzo: il prossimo 2 ottobre si terrà l’udienza a Sulmona. L’imprenditore Alessandro Coscia, titolare del locale, si è sentito diffamato dal video diventato virale.

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        Un conto da mille euro e una recensione al veleno. È questo il punto di partenza della nuova bufera social che ha travolto Rita De Crescenzo, la tiktoker napoletana seguita da centinaia di migliaia di follower. Il giudice Alessandra De Marco del Tribunale di Sulmona le ha inflitto una multa di 258 euro per diffamazione, dopo che la donna aveva pubblicato un video in cui criticava duramente un ristorante di Castel di Sangro, lamentando di aver mangiato male a fronte di una spesa salatissima.

        La destinataria del provvedimento, però, non ci sta e ha deciso di opporsi al decreto di condanna. «In tribunale dimostrerò che la mia era solo una critica legittima», ha dichiarato. Il procedimento entrerà nel vivo il prossimo 2 ottobre, con l’udienza predibattimentale fissata a Sulmona.

        Il bersaglio del video era Alessandro Coscia, imprenditore 45enne e titolare del ristorante finito nel mirino. Secondo l’accusa, le parole di Rita avrebbero travalicato i limiti della critica, danneggiando l’immagine e la reputazione del locale. In pochi giorni, infatti, il filmato aveva fatto il giro del web, generando una pioggia di commenti e dividendo l’opinione pubblica tra chi difendeva la tiktoker e chi invece le rimproverava toni eccessivi.

        La multa non ha però fermato la battagliera influencer, che da tempo cavalca l’onda dei social alternando dirette quotidiane, sketch e sfoghi personali. In questo caso, ha promesso battaglia legale: «Non mi faccio zittire, non ho insultato nessuno, ho solo raccontato la mia esperienza».

        Il caso, intanto, ha acceso i riflettori su un terreno sempre più delicato: quello delle recensioni online e del confine tra diritto di critica e diffamazione. Se da un lato la libertà di espressione è un principio fondamentale, dall’altro resta il rischio che un giudizio negativo espresso a milioni di follower possa trasformarsi in una condanna anticipata, ben più pesante di una sanzione pecuniaria.

        Ora toccherà al tribunale stabilire se quella frase – «Ho speso 1000 euro e ho mangiato male» – sia stata un’opinione lecita o un attacco gratuito.

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          Niente cellulari a scuola? Non per i prof: esplode il caso dei “TeachTokers”, i docenti-influencer che filmano le lezioni per i social

          C’è chi li accusa di trasformare gli alunni in “oggetti di scena” e chi invece li considera pionieri di un nuovo modo di insegnare. “Non è show, è ludodidattica”, spiega la professoressa Rosita Barbella. Ma l’avvocata Castagnola avverte: “In Italia filmare e diffondere immagini di studenti non è legittimo”.

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            Benvenuti nelle aule 2.0, dove si impara e si “posta”. Smartphone in mano, musica in sottofondo e bambini che sorridono davanti all’obiettivo: è il nuovo mondo dei TeachTokers, i docenti-influencer che filmano lezioni, verifiche e momenti di classe per condividerli su TikTok o Instagram.

            Un fenomeno che divide. Da una parte chi applaude questi insegnanti per la loro capacità di rendere virale la scuola e avvicinare i ragazzi al sapere; dall’altra chi denuncia una deriva pericolosa che trasforma l’aula in un set e gli alunni in comparse inconsapevoli.

            Tra i volti più seguiti c’è la professoressa Rosita Barbella, docente di spagnolo in una scuola media della Campania. Nei suoi video, balla con gli studenti o spiega i verbi con giochi e canzoni. «Siamo autorizzati dai dirigenti e dai genitori – chiarisce –. Alcuni video vengono girati nel pomeriggio durante progetti sull’educazione digitale. Il mio non è spettacolo, è ludodidattica. Divulgo un metodo che può aiutare altri docenti».

            Sulla stessa linea Gabriele Camelo, maestro in una scuola primaria di Palermo, ex autore televisivo e oggi star dei social. I suoi video mostrano quaderni pieni di cuori, sorrisi e frasi motivazionali come “Fiero di te” o “Stai crescendo splendida”. «Uso i social per far fiorire il seme che c’è in ogni bambino», spiega. «Raccontare le emozioni è terapeutico. I miei alunni imparano a essere protagonisti, non oggetti».

            Ma il web si infiamma. “Serve un intervento del ministro Valditara”, scrivono molti colleghi, chiedendo regole chiare e una social media policy per le scuole. “I social svuotano l’autenticità educativa”, sostengono i critici. “Questi insegnanti costruiscono un personal brand, non un percorso formativo”.

            A prendere posizione è anche Cristina Gallo, professoressa seguitissima online come “La prof Spettinata”. Pur difendendo l’uso educativo dei social, invita alla cautela: «È un attimo e l’algoritmo condiziona anche i buoni propositi. Serve deontologia, decoro e rispetto dell’istituzione che rappresentiamo».

            Decisa, invece, la posizione di Iside Castagnola, avvocata esperta in tutela dei minori: «Trasformare bambini e ragazzi in strumenti di produzione di contenuti per aumentare i follower è inaccettabile. Anche con l’autorizzazione dei genitori, filmare gli alunni e diffondere i video sui social non è legittimo. È lecito solo in casi eccezionali».

            E così, mentre agli studenti viene chiesto di tenere i cellulari spenti, i loro insegnanti diventano protagonisti online. Tra chi parla di “scuola del futuro” e chi di “spettacolo dell’educazione”, resta aperta una domanda: dove finisce la lezione, e dove comincia lo show?

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              Il Rapture che non rapisce: su TikTok in migliaia attendevano Gesù il 23 settembre, ma non è arrivato!

              Addii in diretta, gatti con caschi d’alluminio e fedeli pronti a regalare i propri beni: il “rapimento dei credenti” promesso dai TikToker è passato senza ascensioni, ma con molti furbetti che hanno approfittato delle generose svendite apocalittiche.

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                «È il mio ultimo video. Ci vediamo tra le nuvole, fratelli e sorelle». Con queste parole una donna in lacrime ha salutato TikTok convinta che il 23 e il 24 settembre 2025 sarebbero stati i giorni del “Rapture”: l’ascensione in cielo dei veri credenti, lasciando sulla Terra gli infedeli. A diffondere la data era stato il pastore sudafricano Joshua Mhlakela, ma a trasformarla in un fenomeno globale ci ha pensato il web.

                Con l’hashtag #rapture sono fioccati centinaia di migliaia di video. Alcuni registravano veri addii premortem, altri piangevano pensando agli ultimi momenti con i figli. Una ragazza spiegava con serietà: «Se ti svegli nel tuo letto vuol dire che sei stato lasciato indietro. Non sei stato un bravo cristiano».

                Accanto a chi ci credeva davvero, il solito circo digitale. Un milione di like per la clip di una giovane che infila un casco di alluminio al suo gatto “per prepararlo al viaggio”. Altri hanno trasformato la profezia in occasione di shopping low cost: convinti di ascendere, diversi fedeli hanno lasciato mobili, abiti e oggetti davanti alla porta. E c’è chi si è filmato mentre raccoglieva lampade e specchi abbandonati, ringraziando sottovoce per il “dono celeste”.

                La dottrina del Rapture non è nuova. Affonda le sue radici nell’Ottocento, nelle visioni mistiche di Margaret MacDonald e negli scritti del predicatore John Nelson Darby, poi diffusi nei pulpiti evangelici e nella saga Left Behind. Ma mai prima d’ora era stata trasformata in trend social globale, con countdown apocalittici e scenette da reality.

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