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Cronaca

Numeri privati di Mattarella e Meloni online: come è possibile? Indagini su un buco nella sicurezza dello Stato

Sui portali di lead generation, per pochi euro, si trovano i cellulari privati di Mattarella, Meloni, Piantedosi e Crosetto. La Procura di Roma apre un’indagine. La Polizia Postale lavora su tre piste: autodichiarazioni, esfiltrazioni da social, o veri e propri hackeraggi.

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    Quanto è facile violare la privacy delle più alte cariche dello Stato italiano? A quanto pare, troppo. Perché oggi, su almeno otto piattaforme digitali, è possibile acquistare – per poche decine di euro – i numeri di telefono personali del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della premier Giorgia Meloni, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, del ministro della Difesa Guido Crosetto e perfino del vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto.

    Una scoperta inquietante, resa nota ieri da Il Fatto Quotidiano e che ha innescato l’immediata apertura di un’indagine da parte della Procura di Roma, affidata al procuratore capo Francesco Lo Voi. Il fascicolo, al momento senza indagati né ipotesi di reato, prende le mosse da un’informativa del Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico della Polizia Postale, che ha ricevuto la segnalazione da Andrea Mavilla, esperto di sicurezza informatica.

    Mavilla ha rintracciato online decine di migliaia di contatti appartenenti a dipendenti e dirigenti delle istituzioni italiane: 2.125 riconducibili alla Presidenza del Consiglio, 13.822 (tra attuali ed ex) al Ministero della Giustizia, 4.871 al Viminale e 11.688 alla Difesa. Tra questi, anche numeri riservati, non istituzionali, usati in ambito personale.

    Tre piste al vaglio della Postale

    Secondo quanto trapelato, gli investigatori seguono tre ipotesi principali.
    La prima è che gli utenti stessi, in fase di iscrizione a social network o altri servizi online, abbiano fornito volontariamente il proprio numero, poi esfiltrato e aggregato da siti terzi.
    La seconda pista riguarda il trattamento dei dati per finalità pubblicitarie: l’utente accetta, spesso senza saperlo, che le sue informazioni vengano raccolte, vendute e incrociate da soggetti terzi.
    La terza – la più grave – è quella dell’accesso illecito tramite tecniche di hackeraggio, con successiva rivendita su piattaforme digitali o persino sul dark web.

    Ma c’è un dettaglio ancora più preoccupante: non serve alcuna competenza informatica per accedere a questi dati. Non occorre navigare su circuiti nascosti o essere esperti di cybersicurezza. Basta acquistare un pacchetto dati su piattaforme di lead generation, portali pensati per fornire contatti qualificati ad aziende interessate a campagne pubblicitarie mirate. Alcune di queste società, attive in America ma accessibili anche dall’Italia, vendono dati “arricchiti”: indirizzi e-mail, numeri di telefono fissi e mobili, anche personali.

    Il Garante della Privacy interviene

    Sulla vicenda è intervenuto anche il Garante per la protezione dei dati personali, che ha avviato un’istruttoria e inviato una richiesta formale di chiarimenti a una delle società coinvolte, statunitense, di cui non è stato rivelato il nome. Secondo l’Autorità, questa azienda “ha come core business la vendita di recapiti anche telefonici di dubbia provenienza, inclusi quelli di rappresentanti di spicco delle istituzioni italiane”.

    Il Garante ha chiesto alla società di specificare quanti dati relativi a cittadini italiani vengano trattati, come siano stati raccolti, attraverso quali fonti e per quali finalità siano comunicati agli utenti finali. L’azienda ha venti giorni per rispondere.

    Il Copasir convoca Lo Voi

    Anche il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) si è mosso rapidamente. È stata convocata un’audizione con il procuratore Lo Voi, per acquisire informazioni dettagliate sulla portata della violazione e sul livello di esposizione della rete informativa pubblica.

    Non si tratta infatti di un semplice caso di violazione della privacy: è una questione di sicurezza nazionale. Se i contatti diretti delle massime autorità dello Stato sono così facilmente accessibili, cosa impedisce a soggetti ostili di sfruttarli per fini politici, commerciali o persino criminali?

    La scoperta fa emergere con brutalità un tema spesso sottovalutato: la fragilità dei sistemi informativi delle nostre istituzioni, e la pericolosa leggerezza con cui i dati personali – anche quelli più delicati – vengono affidati a società esterne, piattaforme opache e circuiti commerciali che operano al limite della legalità.

    Il caso è appena esploso, ma già fa rumore. Perché se basta una manciata di euro per contattare il presidente della Repubblica, c’è qualcosa che non va. E non da oggi.

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      Cronaca

      La prima cena di Leone XIV con i cardinali: “Nel nome il programma, cacceremo i lupi”

      Tra battute e riflessioni, Leone XIV spiega come il richiamo a Leone XIV sia un segnale di svolta: attenzione al lavoro e alla giustizia sociale, nella scia della rivoluzione digitale. “Finora c’era Francesco che parlava coi lupi – sorride Nemet – adesso abbiamo un Leone che li caccerà.

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        Una cena intima, sei cardinali attorno a un unico tavolo e, al centro, il nuovo Pontefice che spiega perché ha scelto di chiamarsi Leone XIV. A descrivere la scena è stato il cardinale Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e uno dei fortunati invitati alla prima conviviale con Papa Prevost. Seduti nel salone privato del Palazzo Apostolico, tra calici di vino e piatti raffinati, i porporati hanno rivolto a Leone XIV la domanda inevitabile: come mai quel nome?

        “Mi ha detto che vuole dare più attenzione alle questioni sociali e di giustizia nel mondo – racconta Nemet –. Abbiamo parlato di posti di lavoro, di diritti degli ultimi, e lui ha tracciato un parallelo con il passato: ai tempi di Leone XIII c’era la rivoluzione industriale, ora viviamo la rivoluzione digitale. Come allora, la tecnologia riduce l’occupazione e rischia di lasciare indietro chi è meno preparato. Ecco perché nel suo nome c’è un programma: non un richiamo nostalgico, ma un impegno concreto per il futuro.”

        Secondo il racconto dell’arcivescovo serbo, il riferimento a Leone XIII non è casuale. “Giovane, Leone XIII frequentava una parrocchia agostiniana a Roma – spiega Nemet –. Ma noi cardinali, scherzando, abbiamo offerto un’altra interpretazione: finora c’era Francesco che parlava coi lupi, adesso abbiamo un Leone che li caccerà.” Una battuta che riflette lo spirito di questa prima cena: rispetto per la tradizione e al contempo spirito di rinnovamento.

        Nessuna freddezza tra i commensali: l’atmosfera, secondo Nemet, era di cordialità e intesa. Tra un sorso di vino e l’altro, si è discusso di sfide concrete: la disoccupazione tecnologica, la necessità di formazione per i giovani, il contrasto alle disuguaglianze. “Era evidente – prosegue Nemet – che il Papa volesse lanciare un segnale forte: la Chiesa non può limitarsi alla consolazione, deve guidare un cambiamento sociale vero.”

        Al termine della cena, Leone XIV avrebbe concluso con un augurio vivo: “Lavoriamo insieme perché nessuno resti indietro e la Chiesa sia al fianco di chi soffre”. Una promessa che, se confermata, segnerà l’asse del suo pontificato. Anche a tavola, dunque, il nuovo Pontefice ha tracciato la rotta: un nome che diventa impegno, un’immagine di forza al servizio della giustizia.

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          Putin, trionfo e propaganda: “In Ucraina come contro i nazisti”. La sfilata sulla Piazza Rossa diventa un messaggio di guerra

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            Una piazza militarizzata, i tank che sfilano sotto i mosaici di San Basilio, il cielo di Mosca tagliato dal rombo degli aerei da guerra. È il Giorno della Vittoria, la celebrazione più importante del calendario russo, e quest’anno Vladimir Putin ha voluto trasformarla in qualcosa di più di una commemorazione: un atto di propaganda militare, un messaggio preciso rivolto al mondo. L’80° anniversario della vittoria sull’Asse, celebrato con una parata definita “la più grande di sempre”, diventa il pretesto per legittimare un’altra guerra, quella in Ucraina, a cui il presidente russo ha dedicato la parte centrale del suo intervento.

            “L’intero Paese sostiene i partecipanti all’operazione militare speciale”, ha scandito dal palco della Piazza Rossa, mentre sul selciato sfilavano 1500 soldati reduci proprio dal fronte ucraino. “Siamo fieri del loro coraggio e della loro determinazione. La forza d’animo che ci ha sempre portato alla vittoria.” Parole scandite con fermezza, accanto al presidente cinese Xi Jinping, in una delle immagini più cariche di simboli di questa giornata: Mosca e Pechino fianco a fianco, mentre il mondo guarda con preoccupazione.

            Nel suo discorso, durato una decina di minuti, Putin ha ribadito una narrativa ormai costante: l’operazione in Ucraina come prosecuzione dello sforzo sovietico contro il nazismo. “La Russia – ha detto – è e sarà sempre un ostacolo invalicabile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo. La verità e la giustizia sono dalla nostra parte.” Una formula retorica che ripete da mesi, ma che oggi, nel contesto della festa nazionale per eccellenza, assume i contorni di una dichiarazione d’identità: non solo il popolo russo, ma l’intera “grande guerra patriottica” è evocata per giustificare il conflitto contemporaneo.

            La giornata ha visto la presenza di oltre 20 leader stranieri, tra cui anche il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il premier slovacco Robert Fico. Non senza polemiche: Kiev ha definito la tregua annunciata da Mosca una “farsa”, denunciando la celebrazione come “una parata del cinismo” e mettendo in guardia i leader stranieri sulla possibilità di attacchi e manipolazioni. Nessuno, nella capitale ucraina, crede alla buona fede della tregua umanitaria. Tantomeno in un momento in cui le forze russe intensificano la pressione sul fronte orientale.

            “È la festa più importante del Paese”, ha sottolineato Putin, salutando i veterani e stringendo mani tra sorrisi plastici e pose studiate. “La celebriamo come nostra, come di ogni famiglia, come di ogni cittadino.” Ma proprio in questa frase si nasconde la distanza tra l’evento e la realtà: la guerra che oggi insanguina l’Ucraina non è quella dei nonni, e molti russi – specie lontano dalle telecamere del Cremlino – lo sanno.

            La parata del 9 maggio, con il suo apparato scenografico, le sue coreografie militari e la narrazione epica, si è trasformata anche quest’anno in uno spettacolo per il consenso interno. Ma in una Russia che affronta sanzioni, dissenso represso e un’economia provata, anche le parate rischiano di stancare. Per ora, però, il messaggio è chiaro: la guerra non si ferma. Anzi, si celebra.

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              “Gesù non è Superman”: Leone XIV mette in guardia la Chiesa dai falsi idoli del nostro tempo

              Papa Leone XIV celebra la sua prima messa nella Cappella Sistina davanti ai cardinali e pronuncia parole forti: critica il culto del denaro, del potere e della tecnologia, denuncia la riduzione di Cristo a “leader carismatico” e invita i fedeli a tornare alla missione, là dove la fede è derisa e la dignità umana ferita.

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                “Gesù non è Superman”. Con questa frase destinata a farsi ricordare, Papa Leone XIV ha esordito nella sua prima omelia da pontefice, pronunciata nella Cappella Sistina davanti ai cardinali che ieri lo hanno eletto. Non un discorso di circostanza, ma un messaggio forte, lucido, a tratti sferzante. Parole che sembrano scolpite per indicare la traiettoria del pontificato: niente spettacolarizzazione della fede, nessun cedimento al consenso, solo l’essenziale del Vangelo. E una croce da portare, come ha detto lui stesso, a braccio, in inglese: “Mi avete chiamato per portare una croce, e voglio che camminiate con me”.

                Il nuovo Papa, all’anagrafe Robert Francis Prevost, ha scelto il tono pacato ma il contenuto è quello delle grandi svolte: “Anche oggi – ha detto nell’omelia in italiano – Gesù è spesso ridotto a una specie di leader carismatico, un superuomo. Ma questa è una forma di ateismo di fatto, anche tra molti battezzati”. È il rischio, secondo Leone XIV, di un cristianesimo ridotto a immagine pubblicitaria, a santino motivazionale, a figura decorativa per comunità benestanti che cercano rassicurazioni, non conversione.

                Invece, ha spiegato, “sono tanti i contesti in cui la fede cristiana è considerata assurda, da persone deboli e poco intelligenti. Si preferiscono altre sicurezze: la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere”. Ma è proprio in quei luoghi ostili, dove il Vangelo è deriso o compatito, che “urge la missione”. Perché lì, dove la fede sparisce, si fanno spazio ferite profonde: “la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la crisi della famiglia, la violazione della dignità della persona”.

                Non è una Chiesa trionfante, quella evocata dal nuovo Papa. È una Chiesa che si nasconde dietro Cristo, “sparisce perché rimanga Lui”, che si fa piccola per lasciarlo agire. Una Chiesa che “si spende fino in fondo”, senza paura di essere marginale, anzi desiderosa di stare ai margini, là dove l’uomo è più nudo, più fragile, più ferito.

                Leone XIV ha aperto la messa – celebrata in latino, come da tradizione – con un’introduzione spontanea in inglese, e ha voluto le letture in inglese e spagnolo, le due lingue che più ama e parla, eredità di una vita spesa tra Chicago e il Perù. Il Vangelo scelto è stato quello di Matteo: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Un passo che richiama direttamente il compito che ora gli spetta. Ma il Papa ha chiarito che questa pietra non è un trono. È un servizio, una fedeltà, una spoliazione.

                Nel pomeriggio si riunirà il comitato per l’ordine e la sicurezza in vista della messa d’intronizzazione. Ma il tono del pontificato è già stato dato: essenziale, spirituale, ostinato. Nessun Gesù da fumetto, nessuna fede da esposizione. Solo il peso di una croce e la forza della speranza.

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