Spettacolo
Roberto Bolle, 50 anni da étoile: il segreto del suo fisico perfetto tra dieta, disciplina e passione
In prima serata su Rai 1 con “Viva la Danza”, Roberto Bolle celebra una carriera straordinaria e svela i segreti della sua forma fisica eccezionale. Tra allenamenti quotidiani, attenzione alla qualità del cibo e il legame mai spezzato con le proprie radici piemontesi.
La perfezione non è un concetto astratto. Almeno, non per chi ha visto danzare Roberto Bolle. A 50 anni appena compiuti, l’étoile italiano più famoso nel mondo torna in prima serata su Rai 1 con Viva la Danza, spettacolo-evento ideato in occasione della Giornata Mondiale della Danza, per raccontare non solo l’arte del movimento, ma anche quella della dedizione assoluta a un ideale di bellezza e disciplina.
Nato a Casale Monferrato il 26 marzo 1975, Bolle è cresciuto a Trino, in provincia di Vercelli. Una famiglia lontana dalle arti – il padre carrozziere, la madre casalinga e contabile – che però ha saputo intuire, e sostenere, il talento precoce del figlio. A dodici anni l’ingresso all’Accademia del Teatro alla Scala, a quindici la prima chiamata di Rudolf Nureyev, respinta solo per l’età troppo giovane. Poi una scalata inarrestabile: primo ballerino alla Scala nel 1996, Principal dancer dell’American Ballet Theatre di New York, guest artist al Royal Ballet.
Una carriera vissuta tra i palcoscenici più prestigiosi del mondo, senza mai dimenticare le radici piemontesi: «Tornare a Torino è anche un ritorno ai sapori della mia infanzia», racconta Bolle, ricordando il risotto di zucca preparato da sua madre.
Un fisico scolpito (e un menù rigoroso)
Un metro e 82 centimetri per 80 chili, elasticità e forza fuori dal comune: il fisico di Roberto Bolle è frutto di un talento naturale – quella che lui stesso definisce “propriocentrismo” – ma anche di un lavoro quotidiano instancabile.
«Mi alleno dalle sei alle sette ore al giorno», ha spiegato a la Repubblica, «tra lezioni di danza, prove, stretching e palestra».
La dieta? Più che rigida, è ragionata: poca carne, tanto pesce, predilezione per riso e farro integrali al posto della pasta, verdura e frutta in abbondanza, snack di frutta secca e semi tra una prova e l’altra. E un’abitudine ormai famosa: il pesce essiccato in busta, da sgranocchiare come spuntino.
Accompagnato da una quantità d’acqua impressionante: «Bevo almeno sette litri al giorno», ha rivelato.
Vizi pochi: niente fumo, vino solo per brindare, e una passione mai nascosta per il cioccolato fondente.
Un dolore privato
Dietro la figura pubblica perfetta si nascondono anche ferite profonde. Roberto Bolle aveva un fratello gemello, Maurizio, scomparso prematuramente nel 2011 a soli 36 anni per un arresto cardiaco a Parigi. Un dolore che ha segnato l’étoile nel profondo, e che ancora oggi rimane una parte silenziosa della sua storia personale. Accanto a lui restano i due fratelli: Emanuela, che oggi cura la sua immagine pubblica, e Paolo, che ha rilevato la carrozzeria di famiglia.
Il presente tra Milano, New York e… Londra
Bolle vive tra Milano, città che considera casa, e New York, dove ha costruito una parte importante della sua carriera.
La vita privata rimane sotto stretto riserbo. Nel 2015 il ballerino era stato paparazzato accanto al chirurgo Antonio Spagnolo, ma la storia non è mai stata confermata ufficialmente. Nel 2020, nuove indiscrezioni lo hanno accostato al designer britannico Daniel Lee, attuale direttore creativo di Burberry, ma anche in questo caso Bolle ha scelto il silenzio, ribadendo una privacy granitica.
Un futuro da talent scout
Se oggi Bolle guarda avanti, lo fa con la stessa disciplina che ha segnato la sua carriera.
«Non mi vedo danzare per sempre», ha dichiarato di recente. «È importante lasciare spazio ai giovani, ai nuovi talenti».
Una transizione naturale, già avviata con progetti come OnDance, la grande festa della danza aperta a tutti.
E mentre si prepara a incantare di nuovo il pubblico con Viva la Danza, il suo messaggio resta quello di sempre: la perfezione, quando è autentica, si costruisce ogni giorno. In sala prove, a tavola, nella vita.
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Cinema
Monica Guerritore e quel grazie a Mara Venier: tre anni di attesa, lacrime e tenacia per portare Anna Magnani sul grande schermo
Era il 3 gennaio 2023 quando Mara Venier la accolse a Domenica In per annunciare il progetto. Oggi, dopo un lavoro lungo e faticoso, Monica Guerritore rivive quell’abbraccio e ringrazia la “zia Mara” per il sostegno. Il film su Anna Magnani, icona assoluta del cinema italiano, arriva finalmente in sala: una scommessa d’autrice trasformata in realtà, tra emozione, determinazione e memoria.
A volte la strada verso il cinema passa per uno studio televisivo. Era il 3 gennaio 2023 quando Monica Guerritore varcò la soglia di Domenica In per raccontare per la prima volta il suo progetto: un film dedicato ad Anna Magnani, simbolo irripetibile di autenticità e forza scenica. All’epoca era un annuncio pieno di entusiasmo e visione. Oggi, quasi tre anni dopo, quell’idea è diventata realtà.



«Il 3 gennaio 2023 Mara Venier mi accoglie a Domenica In per annunciare il mio film su Anna Magnani. Sono passati quasi tre anni. Non pensavo ci sarebbe voluta tanta fatica. Ma ora il film c’è e il 6 novembre sarà nelle sale. Ieri con grande emozione ho abbracciato Mara e l’ho ringraziata per la sua accoglienza allora e ora. Mara, grazie ancora…», ha scritto Guerritore, commossa.
L’omaggio a una leggenda
La fatica, il tempo, l’attesa: ingredienti che restituiscono tutto il peso storico e emotivo di un’operazione del genere. Anna Magnani non è solo un’attrice, è un pezzo di memoria nazionale. Raccontarla significa affrontare un’eredità titanica, rispettare un mito, entrare in punta di piedi in un tempio di verità, lacrime e talento incendiario.
Guerritore lo ha fatto con rigore e sensibilità, costruendo un racconto che promette di restituire la fragilità e la potenza di una donna che non recitava: viveva in scena. Portarla sullo schermo significa parlare di passione, dignità, rabbia, amore. E della fatica che ogni donna affronta quando sceglie di non abbassare lo sguardo.
Un grazie che pesa
Nel riabbracciare Mara Venier, Guerritore ha riconosciuto non solo l’amicizia, ma l’importanza dei luoghi che accolgono i sogni prima che diventino opere compiute. Domenica In fu la prima tappa di questo viaggio, e oggi quell’abbraccio sancisce un cerchio che si chiude.
Tra memoria, cinema e gratitudine, il film arriva nelle sale per restituire al pubblico l’eredità di Magnani e, insieme, la tenacia di chi crede nei progetti fino in fondo.
Il 6 novembre lo schermo si accenderà, e per una notte Magnani — e con lei Guerritore — tornerà a occupare il posto che le spetta: al centro della scena.
Musica
Elodie infiamma Milano: coreografia ultra-saffica con Megan Ria e Franceska Nuredini, baci e strusciate sul palco.
Performance fisica e dichiaratamente sensuale sul palco: Megan Ria e Franceska Nuredini si scambiano baci e carezze, Elodie risponde con il suo repertorio più audace. Il pubblico del Forum applaude, i social si dividono tra chi parla di libertà artistica e chi accusa la star di puntare solo sulla provocazione.
Milano ha accolto Elodie con l’energia delle grandi occasioni e lei, come da copione, ha scelto di alzare la temperatura. Al Forum la cantante ha costruito uno show fatto di ritmo, luci, coreografie serrate e un’estetica dichiaratamente erotica. Al centro della scena, un momento destinato a far discutere: Megan Ria e Franceska Nuredini, due delle sue ballerine, si sono lasciate andare a una sequenza ultra-saffica tra baci, strusciate e contatti ravvicinati.













La platea ha reagito tra ovazioni e telefoni alzati, consapevole che la cantante romana non ama la timidezza scenica. La sensualità è il suo linguaggio, e negli ultimi anni lo ha rivendicato con forza.
Baci sul palco e social divisi
La scena ha infiammato il pubblico presente e, inevitabilmente, i social. Tra chi applaude la libertà espressiva e chi parla di eccesso, i commenti non si sono risparmiati.
“Che bomba scenica”, scrivono i fan. “È pop, è show, è femminilità che si prende lo spazio”.
Tra i detrattori, invece, c’è chi sostiene che dietro le coreografie provocanti ci sia poco altro: «Elodie non sa cantare e nasconde tutto con queste sceneggiate da cubista», si legge online.
Un refrain che accompagna da tempo la cantante, spesso al centro di dibattiti sulla linea sottile tra arte, sensualità e marketing.
Libertà artistica o puro scandalo?
La “Beyoncé del quartaccio”, come qualcuno l’ha soprannominata negli anni, continua a muoversi sul filo — e non teme l’equilibrismo. I suoi show mescolano pop internazionale, coreografie fisiche e una femminilità muscolare, lontana dalle mezze misure.
E mentre le ballerine si scambiavano baci sul palco, lei danzava con la sicurezza di chi sa che ogni gesto finirà analizzato, divorato e discusso. Strategia o convinzione? Forse entrambe.
Quello che è certo è che Elodie resta una delle performer italiane più commentate, nel bene e nel male. E a giudicare dal clamore, al Forum di Milano l’obiettivo — far parlare, emozionare, dividere — è stato centrato.
Senza frenate, senza filtri. Proprio come piace a lei.
Televisione
“Terrazza Sentimento”, la docu-serie che riapre la ferita Genovese: sesso, droga, potere e caduta libera nella Milano tossica
Condannato in via definitiva a 6 anni e 11 mesi per aver drogato e violentato una 18enne nel suo attico milanese, l’ex imprenditore è al centro della docu-serie “Terrazza Sentimento”: ricostruzioni digitali delle feste, testimonianze delle ragazze e uno sguardo sulla Milano del denaro facile e della notte estrema.
Una terrazza con vista Duomo, vassoi di droga, notti infinite e la figura di un uomo che passava dal palcoscenico delle startup alla voragine. “Terrazza Sentimento”, la docu-serie Netflix in uscita mercoledì, riapre una pagina recente e dolorosa della cronaca italiana: l’ascesa e il crollo di Alberto Genovese, imprenditore simbolo della Milano “up” e poi condannato in via definitiva a 6 anni e 11 mesi per aver drogato e violentato una 18enne nel suo superattico nell’autunno 2020.
L’uomo, il mito (e il baratro)
L’ultima immagine lo mostra diverso, svuotato, quasi irriconoscibile. Ma la serie — ideata da Alessandro Garramone, scritta con Davide Bandiera e Annalisa Reggi, diretta da Nicola Prosatore — non indulge e non mitizza. Racconta una discesa agli inferi, un mondo costruito sul denaro e sulla fascinazione del potere, dove gli eccessi diventano regola e la realtà si distorce fino a implodere.
La Milano che corre e si consuma
Milano è coprotagonista. Città del lavoro spinto e del divertimento sfrenato, del software e della polvere bianca, del networking e del buio dietro i vetri fumé. “Una carica batterica enorme”, la definisce Garramone. Non un semplice sfondo, ma un habitat: la capitale dell’efficienza che di notte ribalta i codici e flirta con l’abisso.
Le ragazze, da ombre a voci
Al centro ci sono anche loro: le ragazze delle feste. Non più sagome giudicate e archiviate, ma testimonianze che tornano a farsi carne e voce. “Allora furono giudicate, quasi colpevoli — ricorda l’autore — ma erano la parte fragile. Potevano essere le nostre figlie, le nostre sorelle”. Una scelta narrativa e morale che sposta l’attenzione dalla voyeuristica cronaca nera alla responsabilità collettiva.
AI e ricostruzioni: capire, non mostrare
Nessuna immagine originale delle telecamere di “Terrazza Sentimento”. Le scene sono state ricostruite digitalmente grazie all’intelligenza artificiale. “Ci serviva far capire, non mostrare”, spiegano gli autori. Un ulteriore segno di distanza da qualunque tentazione estetizzante.
Oltre il caso, una società allo specchio
Genovese resta il protagonista, inevitabilmente. Ma la docu-serie si allarga, mostrando un ecosistema: investitori incantati, influencer affacciate sulla “bella vita”, complici silenziosi, una Milano che stappa champagne e chiude gli occhi. Non una biografia autorizzata — sottolineano i creatori — bensì un racconto della perdizione individuale e collettiva.
Il risultato è un viaggio nella parte nascosta del glamour digitale, dove l’idea di successo scivola fino a diventare abuso, e la caduta di un uomo trascina con sé l’immagine di un’intera scena. Perché, come ricordano gli autori, “in quella storia, a un certo punto, un po’ tutti si sono persi”.
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