Cronaca
L’eredità del mondo sulle spalle: le sfide di Leone XIV tra crisi, guerre e speranza
Dal rischio di nuove guerre globali alla crisi climatica, dal crollo della natalità alla ricerca di un nuovo ruolo per la fede nel mondo secolarizzato: Leone XIV eredita un mondo stanco e diviso, e deve decidere se restare custode o diventare guida. Senza illusioni, ma con coraggio.

Non c’è tempo per l’incanto. L’elezione di un nuovo Papa è sempre un momento di gioia, di speranza, di rinnovata fiducia. Ma Leone XIV sa bene che, chiusa la finestra sulla loggia delle Benedizioni, comincia un’altra storia. Più dura, più solitaria. Perché il mondo che lo attende non è quello degli inni e delle telecamere, ma quello delle macerie.
Il mondo oggi è una casa che brucia. C’è una guerra nel cuore d’Europa, e una strage quotidiana in Medio Oriente. C’è l’Africa dimenticata che continua a morire in silenzio, e c’è un’Asia dove milioni di cristiani vivono sotto pressione, tra persecuzioni, censura e paura. E poi c’è il clima, il grido della terra che si unisce a quello dei poveri. La sfida più radicale, e anche la più ignorata.
La prima grande responsabilità di Leone XIV sarà proprio questa: non voltare lo sguardo. Non limitarsi a parole prudenti e ben educate, ma scegliere da che parte stare. Non con slogan, ma con la coerenza. Sarà chiamato a parlare forte contro le armi, contro l’indifferenza, contro l’ipocrisia di chi usa la fede per giustificare guerre o razzismi. Non sarà facile. Il rischio di inimicarsi poteri forti è alto. Ma la Chiesa non è un partito: è una coscienza.
La seconda sfida è interna: l’unità dei cattolici. Dopo anni in cui le fratture ideologiche sono diventate ferite aperte – tra progressisti e tradizionalisti, tra chiese locali e curia romana – Leone XIV dovrà cercare una sintesi che non sia un compromesso al ribasso. Dovrà ascoltare, ma anche decidere. E soprattutto, non dovrà avere paura di dispiacere. Perché il rischio più grande è una Chiesa che tace per non disturbare nessuno. La verità, quella vera, non è mai comoda.
Poi c’è il tema delle vocazioni, della crisi numerica, delle parrocchie vuote. Ma qui, forse, la vera sfida non è riempire i seminari, ma ridare senso alla fede. Perché oggi Dio non è più negato: è semplicemente ignorato. Il nemico della fede non è l’ateismo, ma l’indifferenza. E combattere l’indifferenza richiede passione, linguaggi nuovi, gesti che lascino il segno.
La Chiesa ha bisogno di ripensarsi. Di tornare alle periferie, alle piazze, alle strade. Di spezzare la liturgia con la vita. Non si tratta solo di cambiare la pastorale: si tratta di riaccendere il fuoco. Di far capire, soprattutto ai giovani, che il Vangelo è ancora una cosa viva. Che non parla solo di norme, ma di libertà. Non solo di peccati, ma di desideri profondi. Che Dio è ancora interessante. E non per convenienza, ma perché è l’unico che non si scandalizza di nulla.
Leone XIV ha anche davanti a sé la sfida delle donne nella Chiesa. Francesco ha aperto, ma la strada è lunga. Ci sarà da ascoltare, da includere, da osare. Le donne non possono essere solo destinatarie della pastorale, ma anche protagoniste del discernimento, della guida, della missione. Senza clericalismi, ma con giustizia.
E poi c’è il nodo della sinodalità. Papa Francesco ha scommesso tutto su una Chiesa che cammina insieme, che si interroga, che non impone ma discerne. Leone XIV dovrà decidere se continuare su questa via o archiviare l’esperimento. Ma ormai è tardi per tornare indietro: milioni di fedeli si sono messi in ascolto. Far finta di niente sarebbe uno schiaffo. La sinodalità non è un metodo: è una visione. E se davvero vuole incarnare una Chiesa povera, vicina, viva, Leone XIV dovrà farla sua. Anche rischiando.
Infine, ci sono i giovani. I più distanti, i più critici, ma anche i più sinceri. Sono loro il terreno più scivoloso ma anche più fertile. Non cercano un’autorità che imponga, ma una presenza che accompagni. Non vogliono moralismi, ma verità. E chiedono alla Chiesa solo una cosa: che sia credibile.
Ecco, forse è proprio questa la parola chiave del futuro pontificato: credibilità. In un tempo in cui tutto è sospetto, in cui le istituzioni crollano e la parola si consuma, la vera rivoluzione sarà essere autentici. Un Papa che parla poco e fa molto. Che cammina. Che abita il dolore. Che non si difende, ma si dona. Che non si chiude in Vaticano, ma apre porte.
Leone XIV è chiamato a essere tutto questo. Non sarà solo un capo spirituale. Sarà, se vorrà, una voce nel deserto, un bastone per chi inciampa, una luce dove tutto sembra offuscato. Sarà giudicato duramente, criticato, isolato. Ma se avrà il coraggio di non compiacere nessuno, allora il suo pontificato avrà davvero senso.
Perché in un mondo che sta perdendo la bussola, servono voci che ricordino dove si trova il Nord.
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Cose dell'altro mondo
L’orrore in Kenya non si ferma: nuove fosse comuni della setta del digiuno, Mackenzie accusato di genocidio
Il predicatore Paul Mackenzie, a processo insieme a 29 coimputati, avrebbe convinto i fedeli a lasciarsi morire di fame per “raggiungere Gesù”. Le vittime accertate sono oltre 400, ma la Croce Rossa teme che possano essere almeno 610.

In Kenya l’orrore continua a riaffiorare dalla terra. Nell’entroterra di Malindi, nella foresta di Shakahola, la Direzione delle indagini criminali ha portato alla luce nuove fosse comuni con decine di corpi senza vita. Tutti riconducibili alla “setta del digiuno”, fondata e guidata dal predicatore Paul Mackenzie, già sotto processo insieme a 29 complici.
Le cifre sono impressionanti: oltre 400 le vittime accertate finora, di cui quasi la metà bambini. Ma secondo la Croce Rossa del Kenya, che assiste i familiari e monitora le ricerche, il bilancio potrebbe salire fino a 610 persone. Un massacro silenzioso, consumato lontano dalle città, che oggi scuote il Paese e la comunità internazionale.
Il meccanismo era sempre lo stesso: Mackenzie convinceva i suoi adepti che digiunare fino alla morte fosse l’unico modo per “vedere Gesù in paradiso”. Un’ossessione alimentata da prediche infuocate, registrazioni e riti collettivi che trasformavano la foresta in un campo di annientamento.
Alcuni sopravvissuti, ora sotto protezione, hanno raccontato scenari da incubo. Minori costretti ad assistere all’agonia dei genitori, a scavare fosse e seppellire i corpi. Famiglie intere convertite dall’islam al cristianesimo per seguire i precetti del pastore, che prometteva salvezza eterna in cambio della vita terrena. «Mio padre diceva che non poteva più mangiare perché Gesù lo stava chiamando», ha raccontato una testimone davanti agli investigatori.
Sull’uomo pendono accuse pesantissime: omicidio di massa, terrorismo, abuso su minori, fino al capo d’imputazione di genocidio. Le autorità keniane hanno avviato un processo che si annuncia lungo e complesso, ma che dovrà fare i conti con centinaia di famiglie distrutte e con una comunità segnata per sempre.
Il caso di Shakahola è già stato definito “il più grande massacro rituale della storia recente dell’Africa orientale”. E mentre gli scavi continuano e i corpi riaffiorano dal terreno, resta una domanda inquietante: come è stato possibile che una predicazione delirante abbia potuto trascinare nella morte centinaia di persone, nel silenzio e nell’indifferenza generale, fino a quando era ormai troppo tardi?
Mondo
Trump e quel livido viola sulla mano: mistero sulla salute del presidente tra gonfiori, trucco e smentite
La Casa Bianca parla di semplici “strette di mano” e di aspirina, ma il gonfiore alle caviglie e la diagnosi di insufficienza venosa alimentano nuove speculazioni sulla resistenza fisica del presidente più discusso del mondo.

Donald Trump, 79 anni, non è nuovo a polemiche, ma questa volta non c’entrano né la politica né i comizi incendiari. Stavolta al centro dell’attenzione c’è un dettaglio fisico: un livido viola, vistoso, comparso sulla mano destra del presidente. L’ematoma, immortalato dai fotografi durante l’incontro con il presidente sudcoreano Lee Jae Myung nello Studio Ovale, ha immediatamente fatto il giro del mondo.



Trump di solito copre le imperfezioni con un velo di fondotinta: stavolta, però, il segno era troppo evidente per passare inosservato. Una macchia che ha alimentato il tam tam sui social e che ha risvegliato vecchi sospetti sulla sua salute.
La portavoce della Casa Bianca, Caroline Leavitt, si è affrettata a minimizzare: «Si tratta solo di una lieve irritazione dei tessuti molli, causata da frequenti strette di mano e dall’uso quotidiano di aspirina». Una spiegazione ribadita anche dal suo medico personale, il dottor Ronny Jackson, che ha assicurato: «Il presidente gode di buona salute».
Eppure il livido non è l’unico segnale che fa discutere. Già il mese scorso la stessa Casa Bianca aveva rivelato che a Trump è stata diagnosticata una “insufficienza venosa cronica”, responsabile del gonfiore alle caviglie. Una condizione che di certo non mette a rischio immediato la vita, ma che per l’opinione pubblica suona come un campanello d’allarme: soprattutto per un uomo che ha appena riconquistato lo Studio Ovale e che si presenta come simbolo di forza e resistenza.
Nelle foto trapelate, oltre al livido sulla mano, spiccano i piedi gonfi nelle scarpe lucide. I detrattori ne fanno motivo di ironia, i sostenitori parlano invece di “attacchi strumentali”. Ma l’immagine resta: quella di un leader che non riesce più a mascherare i segni del tempo, nonostante il fondotinta e la retorica muscolare.
Per i suoi avversari,non è più l’uomo in grado di reggere la pressione di un secondo mandato. Per i suoi fan, invece, il livido è solo un dettaglio: “anche gli eroi stringono mani e portano cicatrici”. La verità, come spesso accade con Trump, resta sospesa tra propaganda, ombre e immagini che parlano da sole.
Italia
Targa polacca per risparmiare sull’RC. Conviene? Un escamotage a rischio
Boom di targhe polacche su motorini e auto: servono ad aggirare le assicurazioni. Una scelta molto rischiosa.

Sono sempre di più i veicoli che circolano con targa polacca: un trucco per abbattere i costi dell’assicurazione, ma che può avere conseguenze inaspettate.
Il fenomeno dell’utilizzo delle targhe polacche per motorini e auto in Italia è diventato sempre più diffuso. In particolare in città come Napoli e in genere al Sud Italia. Delle 53 mila targhe straniere in Italia ben 35 mila, infatti, sono solo a Napoli. Una tendenza che è alimentata dai costi elevati delle assicurazioni. Del resto Napoli, dopo Prato è la città dove l’assicurazione Rc auto è la più costosa. Un esempio? L’Rc di un motorino nel capoluogo campano annualmente può superare i 1.500 euro annui di spesa. Con l’utilizzo di una targa straniera il costo si può ridurre fino a un quinto.
Come si fa in pratica
Il trucco consiste nel registrare il proprio veicolo come esportato in Polonia attraverso una procedura che coinvolge la radiazione del veicolo in Italia e la successiva immatricolazione in Polonia. Una volta ottenuta la nuova immatricolazione, il proprietario stipula un contratto di noleggio con una società intestataria polacca, consentendo di pagare tariffe assicurative significativamente inferiori rispetto a quelle italiane. Un giochino semplice semplice. Si pagano circa 600-800 euro il primo anno che diventano 300-350 euro per gli anni successivi. La pratica è consentita dalle normative italiane, come Giuseppe Guarino, Segretario Nazionale Studi di Unasca (Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica). “Le agenzie di pratiche auto applicano le norme che consentono queste procedure“.
Risparmio ma con quali rischi?
Questa pratica comporta serie conseguenze. In caso di incidente, la nuova compagnia assicurativa polacca potrebbe non pagare o farlo con ritardi significativi. Inoltre, il proprietario perde il controllo diretto del veicolo, non potendo più venderlo o disporne liberamente. Se la società intestataria del veicolo fallisse, tutti i veicoli registrati con essa verrebbero confiscati, causando ulteriori complicazioni per gli ex proprietari. Insomma è necessario valutare molto bene se conviene risparmiare ma rischiare complicazioni anche penali oltre che amministrative.
Italia tra i paesi più cari
Questa pratica evidenzia un problema più ampio: i costi elevati delle assicurazioni in Italia. L’IVASS ha rilevato che gli italiani pagano il 27% in più rispetto alla media europea per assicurare i propri veicoli, con un aumento dei prezzi superiore all’inflazione negli ultimi anni. Questo fenomeno potrebbe essere un catalizzatore per l’aumento degli evasori assicurativi, con milioni di veicoli che circolano senza l’assicurazione obbligatoria. Nel nostro Paese, infatti, per assicurare un veicolo si paga il 27% in più rispetto alla media degli altri Paesi europei e nell’ultimo anno i prezzi sono saliti del 7,5%, un valore maggiore dell’inflazione.
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