Personaggi e interviste
La danza è vita, il matrimonio di Samanta Togni un paso doble… finito male!
Samanta Togni, volto storico di Ballando con le stelle, si racconta senza filtri: la fine del matrimonio con Mario Russo, la rinascita personale dopo anni di sacrifici e disturbi alimentari, e il ritorno sotto i riflettori tra Pechino Express e La7. Una confessione toccante, ma anche un inno alla forza femminile, al cambiamento e al diritto di dire: “Adesso ballo da sola!”

Le favole, si sa, non sempre finiscono con un lieto fine ed un bacio al tramonto. E Samanta Togni lo ha imparato sulla propria pelle. Dopo anni di amore con il chirurgo Mario Russo, l’ex ballerina di Ballando con le stelle ha deciso di togliersi la maschera da donna perfetta e raccontare la verità: “Mi ero annullata per lui. Ora sto rinascendo.” La crisi con Russo – scoppiata dopo il trasferimento a Dubai – ha fatto da detonatore a una presa di coscienza profonda: la perdita di sé in nome dell’amore. Ma Samanta oggi ha cambiato passo: “Adesso cammino, ballo e… penso a me stessa”. La sua storia non è solo quella di una donna famosa. È la storia di tante donne. Di chi ama troppo, di chi si dimentica per compiacere gli altri, di chi combatte contro il proprio corpo e poi sceglie di salvarsi. Di chi toglie la fede ma rimette la corona. E balla. Ancora
Pechino Express, sorelle e libertà: “Lì ho riscoperto chi sono”
In cerca di se stessa, Samanta ha scelto di fare la valigia (stavolta da sola) e partire per Pechino Express insieme alla sorella Debora. Un viaggio avventuroso ma soprattutto interiore: “Mi sono sentita viva, valorizzata. Felice.” Chi avrebbe detto che per ritrovare la leggerezza, a volte, basti una zaino in spalla e qualche imprevisto in Asia?
La fede che non c’è più e i segnali social
“La fede al dito c’è perché stiamo cercando di rimettere insieme i pezzi” diceva Samanta tempo fa. Ma oggi, quei pezzi sembrano essersi frantumati definitivamente. Sui social, la fede è scomparsa, Mario Russo pure. Il giorno del suo compleanno, silenzio assoluto da parte dell’ex marito. Nemmeno una stories, un emoji, un tag. Zero. La verità? Le relazioni finiscono, ma la dignità resta. E Samanta sembra averne in abbondanza.
“Pesavo tutto. Arrivai a 44 kg”: la battaglia silenziosa con il corpo
Non solo amori naufragati. La Togni ha aperto il cuore anche su un tema doloroso: i disturbi alimentari. “Pesavo ogni singolo grammo di ciò che mangiavo”, racconta, ricordando un periodo difficile in cui la bilancia dettava legge. A soli 44 kg, Samanta era l’ombra di se stessa. Ma ancora una volta, la vita le ha teso la mano sotto forma di motivazione potente. Quella di suo figlio Edoardo: “Quando pensavo di non farcela, pensavo a lui.” Edoardo, oggi studente di Statistica, è il vero amore della vita di Samanta Togni. Nato quando lei aveva appena 20 anni, è stato il faro nelle notti buie, la spinta a rialzarsi, l’ancora della realtà. “Lui fa numeri, io emozioni. Ma ci completiamo.” Un rapporto tenero, lontano dai riflettori ma pieno di significato.
Dalle piste da ballo alla recitazione: una carriera che continua a stupire
Dopo aver fatto sognare milioni di telespettatori sulla pista di Ballando con le stelle, Samanta non si è fermata. Attrice, conduttrice, concorrente d’avventura… e donna che non si arrende. Dalla serie Sconfort Zone su Prime Video fino al programma Amarsi un po’ – Istruzioni per l’uso su La7, la Togni continua a reinventarsi, con un sorriso, qualche callo ai piedi e una gran voglia di vivere.
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Personaggi e interviste
Tuona Alessandro Gassmann: No a raduni fascisti nel teatro dedicato a mio padre!
Alessandro Gassmann chiede la rimozione del nome del padre, Vittorio, dal Teatro Condominio di Gallarate, dopo che la struttura ha ospitato un evento dell’estrema destra. La vicenda solleva interrogativi sull’uso degli spazi culturali pubblici e sull’eredità dei grandi artisti italiani.

Il Teatro Condominio di Gallarate, fondato nel 1862 come Teatro Sociale, è stato per decenni un punto di riferimento culturale nella provincia di Varese. Dopo anni di chiusura, nel 2006 è stato riaperto e intitolato a Vittorio Gassman, uno dei più grandi attori italiani del 900. La scelta di dedicare a lui il teatro è stata un omaggio alla sua straordinaria carriera e al suo contributo al teatro italiano.
La polemica: un evento controverso accende gli animi
Recentemente, il Teatro Condominio ha ospitato il Remigration Summit, un convegno organizzato da gruppi di estrema destra. La scelta di utilizzare una struttura pubblica intitolata a un artista noto per i suoi valori antifascisti ha suscitato indignazione. In particolare, Alessandro Gassmann, figlio di Vittorio, ha espresso il suo disappunto, chiedendo la rimozione del nome del padre dal teatro.
La reazione di Alessandro Gassmann: una questione di coerenza
Alessandro Gassmann ha dichiarato: “L’estrema destra si incontri dove vuole, ma non nella sala intitolata a Vittorio. I nostri parenti uccisi dai nazifascisti”. Le sue parole riflettono una profonda preoccupazione per l’uso degli spazi pubblici e per la memoria storica. Per Gassmann, associare il nome del padre a un evento di estrema destra è inaccettabile e contraddice i valori che Vittorio ha sempre rappresentato.
Il dibattito pubblico, tra libertà di espressione e rispetto della memoria
La vicenda ha acceso un acceso dibattito sull’uso degli spazi culturali pubblici. Da un lato, c’è chi sostiene la libertà di espressione e l’uso delle strutture pubbliche da parte di tutti i gruppi, indipendentemente dalle loro ideologie. Dall’altro, c’è chi ritiene che ospitare eventi di estrema destra in luoghi intitolati a figure simbolo dell’antifascismo sia una mancanza di rispetto per la memoria storica e per i valori democratici.
Una riflessione sull’eredità culturale
La richiesta di Alessandro solleva interrogativi importanti sull’eredità culturale e sulla gestione degli spazi pubblici. È fondamentale che le istituzioni riflettano sull’uso delle strutture culturali, garantendo che siano coerenti con i valori che rappresentano. In un’epoca in cui la memoria storica è spesso messa in discussione, preservare l’integrità dei luoghi simbolo della cultura italiana è più importante che mai.
Personaggi e interviste
Fiorello demolisce la Rai: “Palinsesti da 27 anni fa. Chi li fa meriterebbe una pallottola nel cuore”
Don Matteo 13, Imma Tataranni 3, Makari 3: per Fiorello la programmazione Rai è “la stessa di 27 anni fa”. E rilancia: “Questo non è un palinsesto, è un miracolo che cammina”. Frecciate anche al mondo del cinema e ai furbi del tax credit: “Facciamo le sovvenzioni, ma pure autocritica”.

Nel debutto ufficiale del suo nuovo programma su Rai Radio2, La pennicanza, lo showman siciliano ha fatto quello che gli riesce meglio: mescolare ironia, paradosso e verità che bruciano. E la prima vittima è stata proprio la Rai, colpevole — secondo lui — di aver messo il palinsesto in naftalina nel 1997 e di non averlo mai più tirato fuori.
“I palinsesti Rai sono quelli di 27 anni fa”, dice ridendo (ma neanche troppo), “chi li fa meriterebbe una pallottola nel cuore”. E poi affonda il colpo: “Questo non è un palinsesto, è accanimento terapeutico. Ora inizia la stagione delle repliche: Don Matteo 13 (don Matteo ormai ha 109 anni), Lolita Lobosco 2, Imma Tataranni 3, Makari 3, Bianca 2, L’allieva e Cuori. Praticamente RaiUno è il museo delle cere”.
La battuta è feroce, ma l’applauso è servito. Perché sotto la risata c’è una stoccata a una tv che sembra aver perso il coraggio dell’innovazione. E non è finita.
Fiorello, in una finta telefonata con Gabriele Muccino, si toglie qualche sassolino anche dalle scarpe del cinema italiano: “Ci sono stati dei furbetti che si sono approfittati dei finanziamenti. Il cinema dovrebbe dirlo: sì alle sovvenzioni, ma anche un po’ di autocritica. In questo governo e in quelli precedenti c’è sempre stato chi ha fatto il furbo”.
La puntata poi scorre tra telefonate vere (come quella a Silvia Toffanin, beccata mentre “lavava i piatti”), revival di Ramazzotti e un botta e risposta live con il direttore di Repubblica, Mario Orfeo, che gli scrive per ricordargli che Veltroni, da lui citato, “scrive per il Corriere”. La risposta? “Ma Veltroni è comunista!”. Finezza e nonsense firmati Fiore.
Lo show è appena iniziato, ma la linea è chiara: La pennicanza sarà anche una siesta pomeridiana, ma non per chi siede ai piani alti della tv pubblica. Per loro, il risveglio è già stato piuttosto traumatico.
Personaggi e interviste
Clizia Incorvaia: “Non aspettate uno schiaffo per dire basta. Le botte sono solo il tragico finale”
L’ex concorrente del Grande Fratello Vip firma un monologo potente a “Le Iene”: «La violenza comincia da una frase, da un silenzio. E finisce con la distruzione di sé». Un messaggio chiaro a tutte le donne.

Non fa nomi, ma Clizia Incorvaia ha deciso di parlare. E lo fa dal palco de Le Iene, in prima serata, con un monologo che è un pugno allo stomaco e una carezza per chi ancora non trova la forza di dire basta. «La violenza non inizia con uno schiaffo. Inizia molto prima, con una frase velenosa, con un silenzio imposto, con una voce che si spezza ogni volta che provi a spiegarti». Parole forti, che risuonano nelle case di chi guarda e si riconosce.
La sua storia personale è nota: la separazione nel 2019 dal cantante Francesco Sarcina, padre della sua primogenita Nina, e poi la rinascita accanto a Paolo Ciavarro, con cui si è sposata nel 2024 e da cui ha avuto il piccolo Gabriele. Ma nel suo discorso non ci sono nomi, né accuse dirette. Solo la verità cruda di chi ha attraversato il dolore.
«Ci saranno uomini che ti diranno: “Sei perfetta” e poco dopo ti sminuiranno, ti faranno sentire sbagliata, inutile. Ti faranno credere che l’amore sia questo: montagne russe di gioia e paura, colpa e bisogno». È una fotografia impietosa di certe relazioni tossiche, in cui la donna viene ingabbiata, annullata, trasformata in una versione spenta di sé stessa.
E poi c’è il passo successivo, quello che molte non riescono a compiere: denunciare. «Le nasconderai a chi ti vuole bene, minimizzerai tutto. Anche quando ti diranno di scappare, tu resterai. Perché la vergogna e la paura sono più forti della ragione. E le scuse, quelle dolci, dopo le minacce, sembreranno carezze. Ma non lo sono».
Il suo appello è diretto, acceso, rabbioso nella sua compostezza: «Non aspettate lo schiaffo. Basta con i “ma mi ama”. Basta sopportare relazioni che svuotano. Le botte sono solo il finale tragico. Prima ci sono l’isolamento, il controllo, la degradazione. Serve coraggio, sì. Ma serve anche educare al rispetto. Perché l’amore, quello vero, non toglie: dà. Non distrugge: protegge. E non costringe mai a sacrificare i propri sogni».
Una testimonianza intensa, che risveglia coscienze. E una verità che non si può più ignorare.
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