Calcio
Balotelli a Belve: “Il test del DNA per Pia? Mi spiace, ma lo rifarei. E quei due con la banana se lo ricordano…”
Mario Balotelli si racconta a cuore semi-aperto nel salotto tagliente di Belve. Dai cori razzisti agli episodi di violenza, dalla rottura con Raffaella Fico al rapporto con la figlia Pia. “Il test del DNA? Sì, lo rifarei. Mi spiace per lei, ma non ci vedevamo da mesi. Non potevo fare altro”. E sul futuro: “Giocherò ancora due o tre anni, poi forse America”.

Se c’è una cosa che Mario Balotelli non sa (o non vuole) fare, è tenersi qualcosa dentro. E infatti davanti a Francesca Fagnani, nello studio affilato di Belve, ci è andato giù come solo lui sa fare: mezze verità, sorrisi ambigui, battute a metà tra la spacconata e la confessione. Il risultato? Un’intervista che non lascia indifferenti. Come sempre, quando c’è di mezzo Super Mario.
Il momento più forte arriva quando si parla della figlia Pia, nata dalla relazione con Raffaella Fico. A suo tempo, Balotelli aveva chiesto il test del DNA per accertarne la paternità. Un gesto duramente criticato. Ma oggi non fa marcia indietro: «Sì, lo rifarei. Mi spiace per mia figlia, ma non ci vedevamo da mesi. Che altro potevo fare?», dice con una lucidità che spiazza. Nessun ripensamento, solo una presa d’atto: la verità prima dei sentimenti.
Altro momento clou: il lancio delle banane a Ponte Milvio, uno degli episodi più disgustosi di razzismo subiti dal calciatore. Balotelli non conferma, non nega, ma fa intuire: «Sicuramente non lo rifanno, questo te lo garantisco», dice ridacchiando. La Fagnani incalza: “Li ha menati?”, e lui: «No…», con quella faccia che dice tutt’altro. Poi aggiunge: «Mi spiace, ma a volte quello che ci vuole, ci vuole». E non è una frase da calendario motivazionale.
Sul calcio, Balotelli si fa più cinico che nostalgico. «È un mondo finto», dice. E quando la conduttrice gli chiede perché Ronaldo ha vinto 5 Palloni d’Oro e lui no, la risposta è tanto semplice quanto disarmante: «Si allena come un matto. Io no». E a chi ha fatto meglio tra lui e CR7? «Lui. C’ha più soldi».
Poi arriva il momento Mourinho: «Eravamo due teste di cavolo. Ma lui peggio di me, come carattere». Il tono è affettuosamente velenoso, com’è nel suo stile. Non odia nessuno, ma nemmeno fa sconti.
Quanto al futuro, Balotelli non si ritira ancora: «Giocherò altri due o tre anni. Magari in America», rivela. Un modo elegante per dire che in Europa le porte non sono proprio spalancate, ma lui la maglia addosso vuole ancora tenersela.
Come sempre, Balotelli divide. Ma non si nasconde. E forse è proprio questo, nel bene e nel male, il suo marchio di fabbrica.
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Calcio
Marco Van Basten: “Non riuscivo più a camminare. Baggio mi disse una frase che non dimenticherò mai”
Nel 1995, a 28 anni, Van Basten fu costretto a dire addio al calcio. Nel suo libro “Io sono Marco Van Basten” racconta la sofferenza fisica, l’addio commosso e l’incontro con Baggio: “Ci promettemmo di provarci insieme, anche se avevamo una gamba sola a testa”

Marco Van Basten è stato uno degli attaccanti più raffinati e letali della storia del calcio. Un talento purissimo, un campione capace di far sognare milioni di tifosi con la maglia dell’Ajax, del Milan e della nazionale olandese. Ma la sua carriera è stata tanto luminosa quanto tragicamente breve: un calvario di infortuni alle caviglie lo ha costretto a ritirarsi a soli 28 anni, nel 1995. In quegli anni drammatici, un episodio in particolare è rimasto scolpito nella memoria dell’ex fuoriclasse: l’incontro con Roberto Baggio, arrivato in rossonero proprio nell’estate in cui Van Basten provò a lottare ancora una volta contro il dolore.
Nella sua autobiografia, “Io sono Marco Van Basten”, il cigno di Utrecht ha aperto il cuore e raccontato quei giorni di speranza e sofferenza. “Ero determinato a provarci ancora, almeno per un altro anno”, scrive. “Volevo farlo, anche perché avevo sempre ammirato Roberto. L’idea di giocare insieme a lui mi sembrava straordinaria. Durante il ritiro, dopo qualche giorno ci incontrammo. Mi chiese delle mie condizioni fisiche e mi disse: ‘Almeno per un anno, sarebbe bello poter giocare insieme. Giochiamo entrambi con una gamba sola, ma magari in due riusciamo a fare un giocatore intero’”.
Quelle parole, dette con il sorriso e la leggerezza che solo chi conosce la sofferenza sa conservare, colpirono Van Basten nel profondo. “Scoppiammo a ridere di gusto. In quel momento capii che tipo fosse Roberto: una persona speciale. Avevamo già trovato un’ottima intesa”. Ma il destino aveva altri piani. Pochi giorni dopo, il dolore alla caviglia di Van Basten si fece insopportabile. Gli antidolorifici non bastavano più, e il corpo cominciò a cedere.
“Stavo male, vomitavo spesso. Era chiaro: dovevo smettere. Non riuscivo nemmeno a camminare”, ricorda Van Basten. Con le lacrime agli occhi, si ritrovò costretto a dire addio a tutto: ai compagni di squadra, alla maglia del Milan, al campo di gioco. L’addio fu straziante. “Salutai tutta la squadra, lasciando per ultimi Franco Baresi e Roberto Baggio”, confessa. E proprio a Baggio toccò pronunciare quella frase che Marco non ha mai dimenticato: “Peccato! Sarebbe stato bello giocare al tuo fianco”.
Una frase che continua a risuonargli dentro. “La sento ancora riecheggiare. Maledette caviglie”, scrive, con un velo di nostalgia e rabbia. Perché Van Basten, in quegli anni, aveva davvero sognato di condividere il campo con Baggio, un altro artista del pallone, un altro calciatore capace di incantare le folle e di superare i propri limiti.
Quell’estate del 1995 avrebbe potuto essere l’inizio di un nuovo capitolo, un binomio leggendario tra due numeri dieci capaci di vedere il calcio con la stessa visione poetica. Invece fu l’epilogo di una carriera vissuta sempre in equilibrio tra l’estro e la sofferenza. Van Basten chiuse con il calcio giocato, lasciando un vuoto nel cuore dei tifosi rossoneri e di chiunque abbia amato il suo stile elegante e la sua capacità di trasformare un pallone in arte.
Il ricordo di quell’ultimo abbraccio con Baggio, e la battuta amaramente dolce scambiata in ritiro, restano la testimonianza più umana e intima del campione. Dietro i trofei e i gol, c’era un uomo che non voleva
Calcio
Ronaldo e Georgina Rodriguez: gli incredibili dettagli dell’accordo di separazione
Dall’amore alla cautela: Cristiano Ronaldo e Georgina Rodriguez avrebbero siglato un accordo di separazione che prevede un mantenimento mensile da 100mila euro per lei e la villa di lusso a Madrid. La coppia, insieme da otto anni, si tutela in caso di un’eventuale rottura, garantendo sicurezza economica e spartizione dei beni.

La storia d’amore tra Cristiano Ronaldo e Georgina Rodriguez, una delle coppie più chiacchierate e ammirate del jet set internazionale, continua a far parlare di sé. Questa volta, però, non si tratta di nuovi successi sportivi o di eventi glamour, ma di un accordo che, qualora l’idillio dovesse spezzarsi, garantirebbe a entrambi una separazione senza sorprese.
Secondo quanto riportato dall’emittente portoghese TV Guia, il fuoriclasse portoghese e la modella argentina avrebbero siglato un contratto di separazione che prevede, in caso di rottura, un mantenimento vitalizio per Georgina di 100mila euro al mese. Un cifra che potrebbe sembrare esorbitante, ma che è in linea con lo stile di vita che la coppia ha condotto negli ultimi anni.





Ma non finisce qui. A Georgina spetterebbe anche la magnifica villa di Madrid, ribattezzata “Villa Ronaldo”, una residenza di ben 4mila metri quadrati che Cristiano acquistò nel 2010 per 5 milioni di euro. La villa, situata in una delle zone più esclusive della capitale spagnola, ha visto inevitabilmente crescere il suo valore nel tempo, rendendo questo patrimonio immobiliare ancora più prezioso.





Nonostante le voci di crisi che ciclicamente tornano a circolare, la coppia non sembra destinata a separarsi nel breve termine. Ronaldo e Georgina vivono attualmente in Arabia Saudita con i loro cinque figli, dopo il trasferimento del campione all’Al-Nassr. Tuttavia, la decisione di siglare un accordo di separazione testimonia la volontà di entrambi di non lasciare nulla al caso e di tutelare il futuro, anche in caso di eventuali difficoltà.





Il fuoriclasse portoghese, noto per la sua meticolosità e precisione in campo, sembra applicare la stessa strategia anche nella gestione della sua vita privata. In caso di separazione, Georgina potrebbe contare su un supporto economico senza pari, mentre Ronaldo si assicurerebbe che tutto avvenga senza intoppi, grazie alla chiara spartizione dei beni.







Calcio
Lo scudetto d’oro di Conte: 9 milioni per un anno solo a Napoli
Antonio Conte festeggia lo scudetto col Napoli e porta a casa quasi 9 milioni di euro. Il presidente De Laurentiis, dal canto suo, incassa: 20 milioni dalla Lega calcio e un tesoro da 43,5 milioni per l’accesso alla Champions League. Escluso dai premi Kvaratskhelia, ceduto al Psg a gennaio.

Lo chiamano “mister” anche per questo: Antonio Conte, dopo aver riportato il Napoli al tricolore, si porta a casa un bottino personale che sfiora i 9 milioni di euro. Non male per una stagione che, almeno sulla carta, doveva essere di transizione. Invece è stata una cavalcata fino al quarto scudetto della storia azzurra, e pure ben remunerata.
Il contratto triennale firmato da Conte la scorsa estate prevedeva un ingaggio da 7,5 milioni a stagione, a cui ora si aggiunge il bonus scudetto, pattuito da contratto. Nessuna sorpresa, quindi, ma solo la conferma che vincere, anche sotto il Vesuvio, paga. Eccome se paga.
Ma a sorridere più di tutti è il presidente Aurelio De Laurentiis, che dopo una stagione a dir poco turbolenta l’anno precedente, può ora brindare a numeri da capogiro. La sola vittoria del titolo frutta circa 20 milioni dalla Lega Serie A, ma il vero jackpot è l’accesso alla Champions League: l’ingresso nella fase a gironi garantisce al club 43,5 milioni di euro.
Cifre che potrebbero spingere il patron del Napoli ad annunciare anche un premio extra per la squadra, visto il percorso trionfale culminato con il tricolore.
A restare fuori dalla pioggia di bonus è però Kvicha Kvaratskhelia, che in stagione ha comunque timbrato il cartellino con 5 gol e 3 assist in 17 presenze, prima del trasferimento al Psg nel mercato di gennaio. Con il passaggio a Parigi ha sì moltiplicato l’ingaggio (8 milioni l’anno più 2 di bonus), ma ha rinunciato a tutto il resto: nessun premio scudetto e nessuna medaglia da campione d’Italia. Scelta consapevole, messa nero su bianco con il club.
Stessa sorte per Elia Caprile, portiere con 4 presenze stagionali prima del prestito al Cagliari: non essendo in rosa nel giorno della conquista matematica dello scudetto, anche lui resterà a guardare la festa da lontano. Il regolamento della Lega è chiaro.
Ora resta solo da capire se Conte resterà per onorare il secondo anno di contratto. Per ora, Napoli se lo gode. E incassa.
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