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Da estetista licenziata a imprenditrice. Il business di Cristina passa da TikTok

L’Estetista Cinica ha trasformato una crisi in un business da 65 milioni di euro, sfidando pregiudizi e rivoluzionando il mondo della cosmetica.

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    La storia di Cristina Fogazzi, meglio conosciuta come Estetista Cinica, è una di quelle che sembrano uscite da un manuale su come trasformare un ostacolo in opportunità. Oggi il suo marchio, VeraLab, è un colosso della cosmetica. Ma tutto è iniziato nel 2009, con un licenziamento che avrebbe potuto abbatterla. Cristina lavorava per un franchising che, a causa di scelte sbagliate, si trovò costretto a ridimensionare lasciando senza impiego Cristina e altri. Invece di disperarsi, la giovane donna vide la possibilità di riprendersi il suo destino e decise di rilevare un piccolo centro estetico a Milano, in via Paolo Giovio. Senza garanzie per ottenere un prestito, fu un socio a metterle a disposizione 20mila euro, mentre i fornitori che la conoscevano le concessero credito per più di un anno.

    La svolta arriva con il digitale

    Sui social, Instagram e TikTok, iniziò con vignette satiriche, raccontando la quotidianità di un’estetista in modo irriverente, creando un linguaggio nuovo che attirava attenzione. Poi capì che il vero business non stava solo nei servizi estetici, ma nei cosmetici. Studiò il mercato americano, notando il fenomeno degli Indi-brand, piccoli marchi indipendenti di bellezza, ancora assenti in Europa, e lanciò trenta creme, inizialmente pensate solo per il suo centro estetico. L’intuizione della giovane estetista fu perfetta. Il marchio esplose online e l’e-commerce registrò una crescita vertiginosa, passando da 250mila euro a 9 milioni in pochissimo tempo. E la pandemia giocò un ruolo chiave per il successo. Mentre molti chiudevano, lei trasformò la sua presenza digitale in un vero e proprio canale televisivo, con dirette seguite da migliaia di persone. Risultato? Un fatturato oltre i 65 milioni di euro.

    I pregiudizi? Arrivano tutti dal mondo imprenditoriale

    Nonostante il successo, Cristina ha dovuto fare i conti con pregiudizi di genere. Ha sempre evitato ostentazioni, ma ha notato che, nel mondo imprenditoriale, le donne vengono spesso giudicate diversamente dagli uomini. “Se venissi qui con una Lamborghini verrebbe giù il mondo,” dice, spiegando come parlare di denaro, per una donna, sia ancora visto come poco elegante. E vendere creme, a volte, le ha fatto guadagnare l’etichetta ingiusta di Wanna Marchi. Una figura con cui non ha nulla in comune, se non il fatto di essere una donna nel mondo degli affari. Oggi VeraLab ha oltre 100 dipendenti e ha pianificato l’apertura di dieci negozi in tutta Italia. Determinazione, strategia e un pizzico di ironia, fanno parte della filosofia che accompagna Cristina Fogazzi. Tra sarcasmo e risultati concreti, ha reso la bellezza un business di enorme impatto. Lezione di vita ne abbiamo? Mai sottovalutare il potere della resilienza (e di una buona crema).

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      Rita De Crescenzo nei guai per il video contro il ristorante di Castel di Sangro: «Ho speso 1000 euro e ho mangiato male»

      La multa di 258 euro non ferma Rita De Crescenzo: il prossimo 2 ottobre si terrà l’udienza a Sulmona. L’imprenditore Alessandro Coscia, titolare del locale, si è sentito diffamato dal video diventato virale.

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        Un conto da mille euro e una recensione al veleno. È questo il punto di partenza della nuova bufera social che ha travolto Rita De Crescenzo, la tiktoker napoletana seguita da centinaia di migliaia di follower. Il giudice Alessandra De Marco del Tribunale di Sulmona le ha inflitto una multa di 258 euro per diffamazione, dopo che la donna aveva pubblicato un video in cui criticava duramente un ristorante di Castel di Sangro, lamentando di aver mangiato male a fronte di una spesa salatissima.

        La destinataria del provvedimento, però, non ci sta e ha deciso di opporsi al decreto di condanna. «In tribunale dimostrerò che la mia era solo una critica legittima», ha dichiarato. Il procedimento entrerà nel vivo il prossimo 2 ottobre, con l’udienza predibattimentale fissata a Sulmona.

        Il bersaglio del video era Alessandro Coscia, imprenditore 45enne e titolare del ristorante finito nel mirino. Secondo l’accusa, le parole di Rita avrebbero travalicato i limiti della critica, danneggiando l’immagine e la reputazione del locale. In pochi giorni, infatti, il filmato aveva fatto il giro del web, generando una pioggia di commenti e dividendo l’opinione pubblica tra chi difendeva la tiktoker e chi invece le rimproverava toni eccessivi.

        La multa non ha però fermato la battagliera influencer, che da tempo cavalca l’onda dei social alternando dirette quotidiane, sketch e sfoghi personali. In questo caso, ha promesso battaglia legale: «Non mi faccio zittire, non ho insultato nessuno, ho solo raccontato la mia esperienza».

        Il caso, intanto, ha acceso i riflettori su un terreno sempre più delicato: quello delle recensioni online e del confine tra diritto di critica e diffamazione. Se da un lato la libertà di espressione è un principio fondamentale, dall’altro resta il rischio che un giudizio negativo espresso a milioni di follower possa trasformarsi in una condanna anticipata, ben più pesante di una sanzione pecuniaria.

        Ora toccherà al tribunale stabilire se quella frase – «Ho speso 1000 euro e ho mangiato male» – sia stata un’opinione lecita o un attacco gratuito.

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          Il Rapture che non rapisce: su TikTok in migliaia attendevano Gesù il 23 settembre, ma non è arrivato!

          Addii in diretta, gatti con caschi d’alluminio e fedeli pronti a regalare i propri beni: il “rapimento dei credenti” promesso dai TikToker è passato senza ascensioni, ma con molti furbetti che hanno approfittato delle generose svendite apocalittiche.

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            «È il mio ultimo video. Ci vediamo tra le nuvole, fratelli e sorelle». Con queste parole una donna in lacrime ha salutato TikTok convinta che il 23 e il 24 settembre 2025 sarebbero stati i giorni del “Rapture”: l’ascensione in cielo dei veri credenti, lasciando sulla Terra gli infedeli. A diffondere la data era stato il pastore sudafricano Joshua Mhlakela, ma a trasformarla in un fenomeno globale ci ha pensato il web.

            Con l’hashtag #rapture sono fioccati centinaia di migliaia di video. Alcuni registravano veri addii premortem, altri piangevano pensando agli ultimi momenti con i figli. Una ragazza spiegava con serietà: «Se ti svegli nel tuo letto vuol dire che sei stato lasciato indietro. Non sei stato un bravo cristiano».

            Accanto a chi ci credeva davvero, il solito circo digitale. Un milione di like per la clip di una giovane che infila un casco di alluminio al suo gatto “per prepararlo al viaggio”. Altri hanno trasformato la profezia in occasione di shopping low cost: convinti di ascendere, diversi fedeli hanno lasciato mobili, abiti e oggetti davanti alla porta. E c’è chi si è filmato mentre raccoglieva lampade e specchi abbandonati, ringraziando sottovoce per il “dono celeste”.

            La dottrina del Rapture non è nuova. Affonda le sue radici nell’Ottocento, nelle visioni mistiche di Margaret MacDonald e negli scritti del predicatore John Nelson Darby, poi diffusi nei pulpiti evangelici e nella saga Left Behind. Ma mai prima d’ora era stata trasformata in trend social globale, con countdown apocalittici e scenette da reality.

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              Roblox nel mirino: accuse choc di pedofilia e violenza

              Roblox è stato accusato di esporre i minori a contenuti pedopornografici e violenti, secondo un rapporto pubblicato da Hindenburg Research.

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                Roblox, una delle piattaforme di gioco più popolari tra i minori, è finita al centro di un’accusa scioccante. Un recente rapporto pubblicato da Hindenburg Research ha rivelato gravi carenze nella moderazione dei contenuti, esponendo i giovani utenti a pericoli come pedofilia e contenuti violenti. Secondo l’indagine, Roblox sarebbe diventato un “inferno pieno di pedofili“, con gruppi e utenti che scambiano apertamente materiale pedopornografico e sollecitano atti sessuali su minori.

                Un “inferno pieno di pedofili”: le rivelazioni sconvolgenti del rapporto Hindenburg

                Una delle scoperte più inquietanti riguarda un gruppo chiamato “Adult Studios“, con oltre 3.000 membri dediti allo scambio di contenuti pedopornografici. Inoltre, sono stati rinvenuti numerosi account con nomi legati a Jeffrey Epstein e altri username esplicitamente inappropriati.

                Giochi violenti e messaggi pericolosi

                Hindenburg ha anche evidenziato la presenza di giochi violenti accessibili ai bambini, come “Beat Up Homeless Outside 7/11 Simulator” e “Beat Up The Pregnant“, che hanno raccolto milioni di visualizzazioni. E che sono al centro delle accuse di molti genitori e operatori sociali e medici che stanno accusando la piattaforma.

                La difesa dell’azienda e le reazioni degli utenti

                In risposta, Roblox ha difeso la sicurezza della sua piattaforma, affermando che milioni di utenti ogni giorno vivono esperienze positive. Tuttavia, l’azienda non ha affrontato direttamente le accuse specifiche di Hindenburg e ha contestato la neutralità del rapporto, accusando la società di speculazione finanziaria. Il caso apre però interrogativi cruciali sulla responsabilità delle piattaforme online nella protezione dei minori, e la gravità delle accuse potrebbe spingere le autorità a indagini più approfondite.

                Come proteggere i bambini dai pericoli online

                Nel frattempo, genitori ed educatori sono invitati a vigilare con attenzione sull’uso della piattaforma da parte dei minori, valutando i rischi associati a Roblox.

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