Spettacolo
Grignani contro Pausini: «Canti il mio brano e non mi citi». Lei replica: «Lo sai che ti voglio bene»
La miccia si è accesa su Instagram, come spesso accade nei tempi moderni. Laura Pausini annuncia l’uscita, il 12 settembre, di una nuova versione di La mia storia tra le dita, il brano che nel 1994 lanciò Gianluca Grignani. Ma nel suo post manca un dettaglio fondamentale: il nome dell’autore. E così, Grignani sbotta.

«Ciao Laura, che ti voglio bene lo sai…». Inizia con dolcezza la “storia” pubblicata da Gianluca Grignani, ma il tono si fa subito più puntuto. «Con tutto il rispetto e la gentilezza che riservo, in primis, alla donna e poi alla grande interprete che sei, è però doveroso ricordare che il tuo singolo in uscita è una cover di un brano che, se non sbaglio, ho scritto e interpretato io». Il cantautore si dice comunque felice per il successo della canzone, «ma soprattutto per te». Il punto, però, resta: nessuna menzione esplicita al suo nome nel post celebrativo della Pausini.
La risposta della cantante arriva con altrettanta gentilezza, ma con piglio deciso: «Sai quanto amo la tua musica. Tutti sanno che La mia storia tra le dita è di Gianluca Grignani, e il mio post voleva essere un modo elegante per iniziare a raccontare il progetto». Laura ricorda che Grignani sapeva già da febbraio della cover, e promette che il racconto continuerà con rispetto. Poi un bacio, e la speranza che la sua versione piaccia anche a lui.
Fine della polemica? Macché. Neanche ventiquattr’ore dopo, Grignani rilancia: l’8 agosto uscirà una nuova versione del brano, in spagnolo, insieme a Matteo Bocelli, figlio di Andrea. Mi historia entre tus dedos, titolo già inciso in passato dallo stesso Grignani, sarà dunque rinfrescato da una nuova voce giovane e da un tempismo impeccabile.
La mia storia tra le dita è da sempre una delle canzoni italiane più reinterpretate all’estero. Oltre a José Augusto e Ana Carolina (in portoghese) e Sergio Dalma (in spagnolo), anche Ornella Vanoni l’aveva inclusa in un suo album nel 2009. Stavolta, però, più che una cover, si rischia una piccola battaglia d’autunno. Ma con toni – almeno per ora – da salotto.
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Musica
Riccardo Cocciante: ragazzi, la musica non è solamente look, tirate fuori l’anima!
Giusto ieri il cantautore ha celebrato 50 anni dall’uscita dell’album Anima con un concerto all’Arena di Verona. Ancora pieno di entusiasmo, l’artista non risparmia critiche precise verso la situazione musicale attuale.

Riccardo Cocciante, pur con una lunga e fortunata carriera alle spalle, si mostra nostalgico di fronte alla musica che cambia. Un processo naturale ma che dovrebbe contemplare una serie di valori che oggi si sono persi: «La nuova generazione ora segue solo le mode, mostrano le gambe e nascondono l’anima» sottolinea rammaricato. Presso un ristorante milanese ha raccontato ai giornalisti interventuti – tra i quali anche noi – alcuni dei progetti più imminenti per i festeggiamenti di Anima, album che compie 50 anni, quello che contiene due sue hit intramontabili come Bella senz’anima e Quando finisce un amore.
La necessità di tornare alle emozioni vere
Il suo intervento iniziale chiarisce il tono che avrà la concersazione con la stampa intervenuta: «I tempi sono diversi e cambiano le maniere di esprimersi. Oggi c’è troppa attenzione al look, sei sul palco perché hai un’anima, un pensiero e non solo per mostrare la tua immagine. Mi ha fatto piacere vedere alcuni cantanti inglesi tornare a esibirsi solo con la chitarra, una canzone deve valere per ciò che è».
Un successo personale è solo l’inizio, non certo un punto di arrivo
Dopo un inizio del genere è giusto riguardare al passato, il suo passato. Iniziando dal grande successo datato 1974: «All’inizio Bella senz’anima era stata bocciata dalle radio, poi è esplosa e mi sono trovato primo in classifica senza essere preparato. Non sapevo nemmeno come presentarmi al pubblico, cantavo in piedi, quasi senza pensare. La canzone è diventata parte di me, mi ha definito. Da lì mi sono chiesto: “E ora cosa faccio?”. Realizzare una canzone non è un arrivo, è solo l’inizio».
Il mio pubblico è differente
L’artista, in seguito, ha parole di encomio per il suo pubblico, che ha sempre messo al primo posto il valore della sua musica: «È la gente che sceglie, non la discografia. Ha fiuto e sa scovare ciò che è speciale. Certo, non è mai prevedibile, ma ha una sensibilità unica».
In Italia ci vorrebbe una manifestazione tipo i Grammy americani
Alla fatidica domanda di cosa manchi oggi alla musica, lui non ha dubbi: «Un premio per certificare il valore di quello che facciamo, come i Grammy. In Italia abbiamo talenti incredibili, come Mina o Gino Paoli, che meriterebbero un riconoscimento per il loro contributo. È un peccato che la nostra categoria venga spesso sminuita come semplice intrattenimento».
Dal vivo a Verona
Sul concerto organizzato l’anno scorso all’Arena di Verona, ci tiene a sottolineare che il suo vuole essere uno show che ritorni alle radici del nostro rock pop, quello più essenziale, con chitarre aggressive. Con l’intenzione di ricreare quell’energia di un tempo, quando la musica era più grezza e autentica, senza troppa perfezione.
Cinema
Jude Law, Il mago del Cremlino: la politica di Putin raccontata attraverso lo sguardo di un burattinaio
Il nuovo film in concorso a Venezia di Olivier Assayas, tratto dal romanzo di Giuliano da Empoli, indaga l’ascesa autoritaria attraverso la mente di un insospettabile manipolatore.

In concorso al 82° Festival di Venezia, Il mago del Cremlino (The Wizard of the Kremlin) di Olivier Assayas ritorna sui tanti luoghi oscuri della politica contemporanea. Tratto dal romanzo omonimo di Giuliano da Empoli. Firmato in co-sceneggiatura con Emmanuel Carrère – l’opera propone un affresco della Russia post-sovietica. Delineando l’ascesa di Vladimir Putin attraverso gli occhi del suo consigliere occulto, un “Rasputin moderno” interpretato da un sottilmente minaccioso Paul Dano. Artefice del successo politico di un giovane agente del KGB, Putin è invece impersonato da un luciferino Jude Law. La cui freddezza scenica domina lo schermo.
Il film si dipana lungo oltre trent’anni di storia russa (1990–2014), saldando eventi reali – il disastro del sottomarino Kursk. Le guerre in Cecenia, l’annessione della Crimea, le operazioni digitali nei confronti dell’Occidente – con la finzione disincantata del romanzo.
Jude Law ha affrontato il ruolo con una preparazione quasi ossessiva. Al Lido ha raccontato di essere scivolato in un “rabbit hole” di video e interviste di Putin, cercando di catturarne l’imperscrutabilità. “Il volto pubblico non rivela nulla”, ha spiegato, e proprio in quel contrasto ha costruito la verità della sua performance. Law ha voluto evitare una maschera o una parrucca esasperata. Il look si è risolto con un trucco sobrio e un accento misurato, per lasciare parlare l’unica cosa che conta: la fredda ambizione di un dittatore.
Paul Dano, nel ruolo di Vadim Baranov (ispirato a Vladislav Surkov), domina con una presenza rarefatta, una voce sommessa e una determinazione disturbante. Critici come Jonathan Romney hanno evidenziato come il suo interpretazione sembri ipnotica e ambigua. Ma la sua figura resta il centro morale e tematico del film: l’architetto silenzioso del regime.
La regia di Assayas mantiene un registro elegante e articolato, valorizzando i luoghi simbolo della transizione russa. Dalla Russia devastata dei primi anni Novanta fino a una modernità distopica, passando per i palazzi del potere, le foreste, gli ambienti tecnologici e le città devastate. È una geografia del controllo, così come il film narra “politica come arte”: astuta, sfuggente, inquietante.
La ricezione al Festival è stata intensa. Law è stato accolto da una standing ovation di dieci minuti, suggellando il suo ritratto magnetico e inquietante. Alicia Vikander, nel ruolo di Ksenia, figura femminile che incarna emancipazione e cambiamento. Ha definito la sua parte uno specchio della Russia post-comunista: una donna in trasformazione, fragile e speranzosa.
Ma per alcuni, il film paga il suo ambizioso impianto narrativo con una densità di dialoghi e una voce off troppo invadente, che rende la visione più documentaristica che romanzesca. La freddezza stilistica, per alcuni critici, limita lo sviluppo emotivo dei personaggi, con Baranov e il suo potere che restano più archetipi che esseri umani complessi.
In conferenza stampa, Assayas ha sottolineato che il suo film non vuole essere una biografia di Putin, ma un avviso: «È una riflessione su cosa è diventata la politica oggi. Abbiamo preso Putin, ma si applica a tanti leader autoritari».
Cinema
Sophie Codegoni all’assalto di Jacob Elordi a Venezia: “Dal vivo è ancora più bono”. Lui fugge
Scene da cinepanettone alla Mostra del Cinema: l’influencer tenta di abbordare la star di “Euphoria” tra flash e urla, ma Elordi preferisce scappare. A rincarare la dose ci pensa l’amica: “Sposami!”.

Non bastavano i red carpet, le première e i party blindatissimi. A Venezia 82 si è consumata anche una parentesi comico-grottesca con protagonista Sophie Codegoni. L’influencer, ex gieffina ed ex fiamma di Alessandro Basciano, ha tentato la mossa disperata: avvicinare Jacob Elordi, il bel tenebroso di Euphoria e Priscilla.
Missione impossibile. Tra flash, bodyguard e un’orda di fan urlanti, Sophie si è letteralmente accalcata per strappare un contatto con l’attore. «Dal vivo è ancora più bono», ha gridato davanti a telecamere e smartphone. Elordi, impeccabile nel completo scuro, ha fatto quello che in tanti avrebbero sognato di fare: girarsi dall’altra parte e allontanarsi senza pensarci due volte.
Come se non bastasse, a peggiorare la scena ci ha pensato l’amica di Sophie: a pieni polmoni ha chiesto a Elordi di sposarla. Risultato? Una fuga degna di un film d’azione: la star si dilegua, l’influencer resta lì a raccogliere applausi sarcastici e qualche meme già pronto per i social.
Insomma, momenti di pura demenzialità sulla Laguna. Sophie Codegoni voleva la favola romantica, ma a Venezia ha messo in scena una commedia involontaria che neanche i Vanzina.
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