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Beauty

Il dramma del primo costume: quando lo specchio della cabina è più cattivo di tua suocera

Arriva giugno e con lui l’annuale rito del martirio da camerino. Entri fiducioso, esci demolito. Il costume non mente, lo specchio nemmeno. E la luce al neon? Un sadico complice. Storia semiseria dell’impatto frontale con l’autostima estiva.

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    Ci sono tre stagioni in Italia: l’inverno, l’estate e il momento in cui provi il primo costume dell’anno. E no, non è mai indolore. Altro che cambio dell’armadio: qui si parla di crisi di identità.

    Funziona così: entri in cabina, stringi tra le mani un bikini taglia ottimistica o un boxer che ti pareva simpatico in vetrina, ignaro di quello che ti aspetta. Poi chiudi la tendina, ti spogli con fiducia, ti giri verso lo specchio… ed ecco l’apparizione. Non sei tu. Sei la versione sbagliata di te. Sei il riflesso di un inverno passato a “consolarti” con carboidrati e serie TV.

    La luce della cabina è crudele come una ex in cerca di vendetta. Proietta ombre che neanche l’espressionismo tedesco, evidenzia cedimenti che prima non c’erano (o meglio: c’erano, ma tu e il maglione avevate un patto di silenzio). Il costume, quel pezzetto di stoffa insignificante, si trasforma nella più spietata delle verità. E tu, nel più vulnerabile degli imputati.

    Il cervello, nel frattempo, ti rema contro: paragoni automatici con corpi Instagrammati, flashback del tuo metabolismo a vent’anni, visioni mistiche di una te perfetta che vive solo nei ricordi. Il dramma non è il costume in sé: è tutto quello che ci proietti sopra.

    Eppure, ogni anno ci ricaschiamo. Perché il costume è anche una promessa: la spiaggia che ci aspetta, le risate in acqua, il sole in faccia, la libertà del corpo che non deve piacere a nessuno tranne che a noi. Siamo fatti così: un po’ insicuri, un po’ masochisti, ma anche capaci di guardare quel riflesso e dirci: “Vabbè, almeno le gambe me le ha fatte carine”.

    Poi, una volta fuori dalla cabina, l’epifania: tutte le altre persone hanno lo stesso sguardo spaurito. Non siamo soli. Non siamo perfetti. Ma siamo pronti a entrare in mare con dignità. O almeno con un pareo strategico.

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      Bellezza

      La maschera viso alle fragole: il trattamento di bellezza più dolce di settembre

      Aprile è il mese delle fragole, e non solo a tavola: scopri i benefici di questo frutto anche in versione beauty. Una maschera viso fatta in casa, semplice ed efficace, che regala luminosità e freschezza in pochi minuti.

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        Dolcezza fa rima con fragole. E se è vero che il loro profumo e il colore acceso conquistano la tavola, pochi sanno che questo frutto può diventare anche un potente alleato per la bellezza del viso. Ricche di vitamina C, antiossidanti e acido salicilico naturale, le fragole sono perfette per rinnovare la pelle, combattere le impurità e donare luminosità.

        La maschera viso alle fragole è un rimedio semplice, veloce e low cost per prendersi cura del viso in modo naturale. Ideale per le pelli miste e grasse, grazie all’effetto purificante dell’acido salicilico, ma anche per chi cerca un boost di luce in vista della bella stagione.

        Come prepararla? Basta schiacciare 3-4 fragole mature con una forchetta fino a ottenere una purea omogenea. Aggiungi un cucchiaino di miele (lenitivo e antibatterico) e, se hai la pelle secca, qualche goccia di olio di jojoba o di mandorle dolci. Mescola bene e applica la maschera sul viso pulito, evitando il contorno occhi. Lascia agire per 10-15 minuti, poi risciacqua con acqua tiepida.

        Il risultato? Pelle visibilmente più luminosa, pori meno evidenti e una sensazione di freschezza immediata. Il profumo naturale della fragola rende l’applicazione un momento di puro piacere, da concedersi una o due volte alla settimana.

        Un beauty tip tutto naturale, che ci ricorda che a volte la miglior skincare è proprio quella che nasce in cucina. Con buona pace dei sieri da centinaia di euro.

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          Benessere

          Dipendenza affettiva: la prigione invisibile che trasforma l’amore in ossessione

          L’amore non è controllo, non è ansia, non è tormento. Eppure, per molte persone, la relazione di coppia si trasforma in una gabbia emotiva da cui è difficile uscire. Si chiama dipendenza affettiva ed è una delle principali cause delle relazioni tossiche. Una condizione che, pur non essendo riconosciuta ufficialmente nei manuali diagnostici, condivide molte caratteristiche con le dipendenze comportamentali.

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            Secondo la psicologa e psicoterapeuta Monica Martuccelli, alla base della dipendenza affettiva c’è sempre un denominatore comune: l’idealizzazione dell’altro. Chi ne soffre costruisce un’immagine distorta del partner, investendolo di aspettative irrealistiche e trasformandolo nell’unica fonte di felicità e sicurezza. Il risultato? Un legame soffocante, fatto di ansia costante, bisogno compulsivo di rassicurazioni e paura irrazionale dell’abbandono.

            Le cause sono molteplici e spesso affondano le radici nell’infanzia. Una bassa autostima, traumi legati all’abbandono o un modello familiare disfunzionale possono alimentare la convinzione di non essere abbastanza, di dover sempre “guadagnare” l’amore dell’altro. Questo porta a dinamiche sbilanciate, in cui una persona si annulla pur di non perdere il partner, accettando qualsiasi comportamento, anche i più distruttivi.

            Segnali d’allarme: quando l’amore diventa ossessione

            Chi soffre di dipendenza affettiva tende a vivere la relazione con angoscia e insicurezza, manifestando atteggiamenti che vanno ben oltre il normale coinvolgimento emotivo:

            • Bisogno costante di rassicurazioni: la paura di non essere abbastanza spinge a chiedere conferme continue.
            • Gelosia ossessiva e controllo: l’altro diventa un’ossessione, con comportamenti soffocanti e manipolatori.
            • Ansia e depressione: la felicità dipende esclusivamente dalla presenza e dall’umore del partner.
            • Difficoltà a vedere la realtà: si giustificano comportamenti tossici pur di non mettere in discussione la relazione.

            Come liberarsi dalla dipendenza affettiva?

            Uscire da questa spirale è possibile, ma richiede consapevolezza e un lavoro su se stessi. Il primo passo, come spiega la dottoressa Martuccelli, è la presa di coscienza: riconoscere di avere un problema e comprendere le radici di questa dipendenza.

            Un aspetto fondamentale è il rafforzamento dell’autostima. Spesso, chi soffre di dipendenza affettiva non sa riconoscere il proprio valore al di fuori della relazione. Imparare a soddisfare i propri bisogni senza cercare continue conferme dall’altro è essenziale per costruire rapporti più sani e equilibrati.

            La chiave, secondo l’esperta, sta nell’educazione alla gentilezza e alla reciprocità: un amore sano è uno scambio, non un rapporto unilaterale basato sul bisogno e sulla paura.

            Per chi sente di essere intrappolato in una relazione tossica, il consiglio è uno solo: chiedere aiuto. Un percorso terapeutico può essere fondamentale per imparare a riconoscere i propri schemi disfunzionali e sostituirli con relazioni più sane e consapevoli.

            Perché l’amore vero non è dipendenza, ma libertà.

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              Salute

              Covid, la variante Stratus (XFG) supera il 50% dei casi in Italia: cosa sappiamo davvero

              Secondo gli esperti, la sottovariante di Omicron non sembra più grave delle precedenti, ma si diffonde velocemente. In Europa la prevalenza stimata supera il 60%, a livello globale oltre il 65%

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                La curva dei contagi da Covid in Italia torna a salire, complice l’arrivo di una nuova variante che si sta rapidamente imponendo sulle altre. Si chiama Stratus (XFG), appartiene al ceppo Omicron ed è stata individuata per la prima volta tra la primavera e l’estate 2025.

                Secondo quanto spiegato all’Adnkronos dal virologo Mauro Pistello, direttore del laboratorio di Virologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana, «oggi oltre la metà delle infezioni da Covid nel nostro Paese è attribuibile a Stratus». Una crescita che riflette l’andamento internazionale: l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) stima che la variante abbia superato in estate il 60% delle sequenze rilevate in Europa, mentre l’Oms indica una prevalenza globale superiore al 65% nelle analisi di agosto.

                Una variante sotto osservazione, non più pericolosa

                Al momento non ci sono segnali che facciano pensare a un aumento della gravità clinica rispetto alle altre mutazioni di Omicron. Per questo l’Oms ha inserito Stratus nella categoria delle Variant Under Monitoring (VUM), cioè varianti da monitorare con attenzione ma a rischio aggiuntivo considerato basso.

                La principale criticità riguarda la rapida capacità di diffusione, che porta Stratus a sostituire velocemente le linee precedenti. Gli esperti ribadiscono però che i vaccini in uso restano efficaci nel prevenire le forme gravi di malattia, pur senza eliminare il rischio di infezione.

                Dove circola di più

                Oltre all’Italia, dove ormai è già dominante, Stratus si è affermata in gran parte d’Europa e negli Stati Uniti. Le rilevazioni mostrano una diffusione uniforme sul territorio nazionale, mentre le altre varianti di Omicron appaiono in netto calo.

                Sintomi tipici: la “gola a rasoio” e non solo

                Le manifestazioni cliniche di Stratus sono simili a quelle già note, ma con alcune caratteristiche distintive. Tra i sintomi più segnalati c’è la raucesine con forte irritazione alla gola, descritta dai pazienti come “gola a rasoio”. In diversi casi si registra anche un ritorno di anosmia e ageusia – la perdita dell’olfatto e del gusto – che sembravano meno frequenti nelle ultime ondate. Restano diffusi i disturbi più comuni: febbre moderata, tosse secca, stanchezza e dolori muscolari.

                L’autunno e le raccomandazioni degli esperti

                Con l’arrivo della stagione autunnale, virologi e autorità sanitarie invitano alla prudenza, in particolare per anziani, immunodepressi e persone con patologie croniche. La nuova campagna vaccinale, che prevede richiami aggiornati, è considerata il principale strumento di prevenzione. «Ci attendiamo nuove ondate e picchi sostenuti dalle varianti emergenti» ha dichiarato il virologo Fabrizio Pregliasco, «ma non ci sono indicazioni di maggiore gravità: il rischio maggiore riguarda i numeri assoluti e la pressione sulle strutture sanitarie».

                Cosa fare in caso di sintomi

                In presenza di segnali sospetti – mal di gola intenso, raucedine persistente, perdita di gusto e olfatto – gli esperti raccomandano di effettuare un test diagnostico e, in caso di positività, rispettare le indicazioni di isolamento. Restano valide le misure di buon senso: uso della mascherina nei luoghi affollati, igiene delle mani, attenzione ai contatti con soggetti fragili.

                La sfida dell’autunno, spiegano gli specialisti, sarà conciliare la convivenza con il virus senza abbassare la guardia. Perché, anche se Stratus non appare più aggressiva, il Covid resta una malattia che non può essere sottovalutata.

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