Cucina
Gambero Rosso sceglie Lapprodo di Vibo Marina per quattro puntate dello show “Com’è profondo il mare”
Le telecamere di Gambero Rosso TV raccontano l’eccellenza enogastronomica calabrese in quattro puntate speciali dedicate al mare, ai prodotti locali e alle storie di chi li custodisce.
Il Gambero Rosso sbarca a Vibo Marina e lo fa scegliendo uno dei templi della cucina calabrese: Lapprodo. Sarà questo il cuore operativo di quattro puntate speciali di “Com’è profondo il mare”, la serie televisiva che andrà in onda su Sky, sul canale Gambero Rosso TV e sul digitale terrestre. Una vetrina prestigiosa che accende i riflettori sulla Calabria più autentica, trasformandola in protagonista di un racconto nazionale e internazionale.
La scelta del Gambero Rosso non è casuale. La redazione della celebre guida, dopo un’accurata selezione tra decine di proposte provenienti da tutta Italia, ha puntato sul ristorante vibonese per la qualità della proposta gastronomica, la cura nella valorizzazione del territorio e la capacità di raccontare le storie che si nascondono dietro ogni piatto.
Determinante, in questo percorso, il lavoro del direttore della struttura Francesco Iellamo, che ha seguito passo passo tutte le fasi progettuali: «Abbiamo lavorato con pazienza, dedizione e tanta fiducia – racconta – per costruire un progetto che fosse più di semplice visibilità. Volevamo un racconto capace di portare la nostra terra nelle case degli italiani. Oggi possiamo dire di aver centrato un traguardo importante, e siamo pronti a puntare ancora più in alto».
La serie sarà condotta dallo chef stellato Gianfranco Pascucci, volto amatissimo della cucina di mare, capace di trasformare ogni ricetta in un viaggio tra tradizione e creatività. Nei quattro episodi la provincia di Vibo Valentia si mostrerà in tutta la sua ricchezza gastronomica: il mare come cuore pulsante, i prodotti locali come protagonisti e le storie di chi mantiene viva una tradizione che profuma di salsedine e memoria.
Accanto a Lapprodo, ci sarà spazio anche per altre eccellenze del territorio, selezionate in queste settimane dal team del Gambero Rosso. Tra i nomi già confermati spicca l’elisir China Barbieri, un liquore storico e identitario, simbolo di un saper fare che resiste al tempo e che racchiude nel bicchiere l’anima calabrese.
Il progetto promette di offrire un ritratto autentico e coinvolgente della Calabria, tra artigianato, sapori intensi e paesaggi che parlano da soli. Una regione che, tra cucina e cultura, dimostra di saper conquistare anche il palato e gli occhi del grande pubblico televisivo.
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Cucina
L’oro dolce dei Balcani: la tradizione dell’halva di semi di girasole
Dalle sue origini affascinanti fino alla ricetta autentica: ecco come nasce uno dei dolci più amati e diffusi nei mercati di Turchia, Bulgaria, Grecia, Russia e Medio Oriente. Una delizia che unisce storia, cultura e sorprendenti proprietà nutritive.
Una storia che profuma di tradizione
Il termine halva deriva dal termine arabo ḥalwā, che significa “dolce”. Le sue radici sono antichissime: le prime versioni documentate compaiono tra Persia e regioni ottomane già dal XIII secolo. Nel corso dei secoli, la ricetta ha viaggiato lungo rotte commerciali e culturali, arrivando nelle attuali Turchia, nei Balcani, in Grecia e fino alla Russia.
Esistono molte varianti: a base di semola, tahina (crema di sesamo), noci o semi di girasole. Proprio quest’ultima è tra le più popolari nell’Europa orientale, grazie alla disponibilità locale del girasole e al suo sapore ricco e aromatico.
Perché i semi di girasole?
Ricchi di grassi “buoni”, vitamine del gruppo B e minerali come magnesio e fosforo, i semi di girasole sono un ingrediente tradizionale ma anche sorprendentemente attuale. Nella versione dell’halva, vengono tostati e macinati fino a diventare una crema rustica che, unita a un caramello leggero, dà vita a un dolce compatto, friabile e naturalmente profumato.
La ricetta dell’halva ai semi di girasole
Ingredienti (per circa 8 porzioni)
- 200 g di semi di girasole sgusciati
- 120 g di zucchero
- 80 g di miele (o sciroppo di glucosio nelle versioni più tradizionali)
- 50 ml di acqua
- 1 pizzico di sale
- 1 cucchiaino di estratto di vaniglia (facoltativo)
(Nelle preparazioni industriali può essere presente anche pasta di semi di girasole, ma a livello casalingo la versione tostata e macinata resta la più comune e fedele alla tradizione.)
Procedimento
Tostare i semi
Distribuisci i semi di girasole su una padella antiaderente e falli tostare a fiamma media per 4–5 minuti, mescolando spesso. Devono dorarsi leggermente e sprigionare il loro profumo, ma senza bruciare.
Lasciali raffreddare completamente.
Ridurli in crema
Una volta freddi, frulla i semi in un mixer potente fino a ottenere una consistenza sabbiosa e poi via via sempre più cremosa.
Se necessario, procedi a intervalli per evitare di surriscaldare il motore.
Aggiungi un pizzico di sale e, se lo gradisci, la vaniglia.
Preparare lo sciroppo
In un pentolino unisci acqua, zucchero e miele. Cuoci a fuoco medio finché la miscela raggiunge una consistenza densa, simile a un caramello chiaro (circa 118–120°C, fase “soft ball”).
Se non hai un termometro, osserva che lo sciroppo cominci a filare e diventi viscoso.
Unire crema e sciroppo
Versa lo sciroppo caldo nella crema di semi e mescola energicamente con una spatola. Il composto tenderà a compattarsi man mano che lo zucchero cristallizza: è normale ed è proprio questa reazione a creare la tipica consistenza friabile dell’halva.
Modellare e raffreddare
Trasferisci la massa in uno stampo foderato con carta da forno, pressandola bene.
Lascia riposare a temperatura ambiente per 3–4 ore, finché non diventa solida e facile da tagliare.
Servire
Taglia l’halva a fette o cubotti. Si conserva per diversi giorni in un contenitore ermetico, senza necessità di frigorifero.
Un dolce antico che parla al presente
L’halva di semi di girasole è un dessert che unisce tradizione e modernità: ricca ma naturale, dolce ma non stucchevole, perfetta da gustare da sola o accompagnata da tè caldo o caffè.
Una ricetta che racconta secoli di scambi e contaminazioni tra culture diverse, ma che continua — ieri come oggi — a conquistare chiunque ami i sapori autentici.
Cucina
Strudel di mele: storia, tradizione e la ricetta autentica del grande classico dell’Alto Adige
Dalle antiche influenze dell’Impero Ottomano fino alle tavole dell’Europa alpina: lo strudel è un viaggio nel tempo che profuma di mele, cannella e cultura gastronomica.
Lo strudel di mele è uno dei dolci più rappresentativi dell’Alto Adige e, più in generale, dell’area mitteleuropea. La sua fama va ben oltre le montagne italiane: Austria, Germania, Ungheria e molti Paesi dell’Est lo considerano parte integrante del loro patrimonio culinario. Ma lo strudel non è nato tra i meleti dell’Adige: la sua origine affonda in un passato sorprendente, fatto di contaminazioni e scambi culturali.
Dalle corti ottomane alle Alpi: un dolce in viaggio
Lo strudel, nella sua forma attuale, deriva da un dolce molto più antico: il baklava, specialità unica della tradizione mediorientale e balcanica. Fu durante l’espansione dell’Impero Ottomano — tra il XVI e XVII secolo — che ricette simili al baklava raggiunsero l’Europa centrale. Gli austriaci le reinterpretarono sostituendo gli ingredienti più ricchi (come miele e frutta secca) con materie prime locali, in particolare le mele, abbondanti nella regione alpina.
Il primo documento scritto che cita lo “strudel” risale al 1696 e si trova negli archivi della Biblioteca di Vienna. Da lì, il dolce si diffuse rapidamente nelle cucine borghesi e poi in quelle popolari, diventando un simbolo della tradizione contadina dell’Alto Adige, dove l’incontro tra culture germaniche e italiane ha plasmato un’identità unica anche nel cibo.
La ricetta tradizionale dello Strudel di mele
Di strudel esistono oggi tantissime varianti: con pasta tirata, pasta sfoglia, uvetta ammollata nel rum, pangrattato tostato nel burro o frutta secca. La ricetta che segue si ispira alla versione classica altoatesina, quella che meglio conserva l’autenticità storica pur essendo alla portata di ogni cucina domestica.
Ingredienti (per 6–8 porzioni)
Per la pasta tirata:
- 250 g di farina 00
- 1 uovo
- 30 g di olio di semi
- 1 pizzico di sale
- 100 ml circa di acqua tiepida
Per il ripieno:
- 1 kg di mele (preferibilmente Renetta o Golden)
- 80 g di zucchero
- 60 g di uvetta
- 40 g di pinoli (opzionali ma tradizionali)
- 1 cucchiaino di cannella
- Succo di mezzo limone
- 40 g di pangrattato
- 40 g di burro
Per la finitura:
- Burro fuso q.b.
- Zucchero a velo q.b.
Procedimento
1. Preparate la pasta tirata
Impastate farina, uovo, olio e sale, aggiungendo l’acqua poco alla volta fino a ottenere un composto elastico. Lavoratelo almeno 10 minuti: la caratteristica dello strudel è proprio la sua pasta sottilissima. Formate una palla, copritela e lasciate riposare 30 minuti.
2. Preparate il ripieno
Sbucciate le mele, tagliatele a fettine sottili e mescolatele con zucchero, cannella, uvetta ammollata e strizzata, pinoli e succo di limone. Fate fondere il burro in padella e tostate il pangrattato fino a doratura: servirà ad assorbire l’umidità del ripieno, come vuole la tradizione.
3. Stendete la pasta
Stendete la pasta prima con il mattarello, poi con le mani, su un canovaccio infarinato. Deve diventare quasi trasparente, tanto da poter leggere un giornale attraverso: è il segno della corretta elasticità.
4. Assemblate e arrotolate
Distribuite il pangrattato tostato sulla pasta, lasciando un bordo libero, poi aggiungete il ripieno di mele. Aiutandovi con il canovaccio, arrotolate delicatamente lo strudel. Sigillate bene le estremità.
5. Cottura
Adagiate il rotolo su una teglia con carta da forno, spennellate con burro fuso e cuocete in forno a 180°C per 40–45 minuti, finché sarà dorato.
6. Servizio
Lasciate intiepidire e spolverate con zucchero a velo. È perfetto servito con crema alla vaniglia o gelato fiordilatte.
Un dolce che racconta una storia
Lo strudel di mele è molto più di una ricetta: è il simbolo dell’incontro tra culture, della capacità del cibo di migrare, trasformarsi e radicarsi altrove. Oggi rappresenta una delle specialità più amate dell’Alto Adige, dove ogni famiglia conserva la propria versione tramandata da generazioni.
Prepararlo in casa significa riportare nella propria cucina un pezzo di storia europea, fatta di profumi antichi e gesti pazienti — gli stessi che, secoli fa, hanno dato vita a uno dei dolci più iconici e rassicuranti della tradizione alpina. Buon viaggio… e buon strudel.
Cucina
Natale vegetariano: il menu delle feste che conquista tutti, anche i non vegetariani
Sempre più famiglie scelgono un Natale a base vegetale: non una rinuncia, ma un modo diverso di celebrare la tavola delle feste con piatti curati, stagionali e sorprendenti.
Il Natale è da sempre sinonimo di abbondanza e convivialità. Negli ultimi anni, però, cresce il numero di italiani che decide di portare in tavola un menu vegetariano, per scelta etica, ambientale o semplicemente per variare. L’idea che un pranzo di festa senza carne sia triste o “di ripiego” è ormai superata: la cucina vegetariana, soprattutto a Natale, offre piatti ricchi, eleganti e perfettamente in linea con la tradizione.
Antipasti: il benvenuto delle feste
L’antipasto è il biglietto da visita del pranzo natalizio. Via libera a preparazioni scenografiche ma semplici, dove protagoniste sono le verdure di stagione.
Tra le proposte più apprezzate ci sono le tartine con crema di ricotta ed erbe aromatiche, magari arricchite con noci o scorza di agrumi, e lo sformato di verdure invernali – cavolfiore, broccoli o zucca – servito a quadrotti. Immancabili anche i crostini con funghi trifolati o una insalata tiepida di finocchi e arance, che richiama profumi tipicamente natalizi.
Primi piatti: tradizione che si rinnova
Il primo è il cuore del pranzo. La cucina vegetariana permette di reinterpretare grandi classici senza perdere intensità.
Un’idea elegante è la lasagna vegetariana, preparata con besciamella, spinaci, funghi e formaggi delicati. In alternativa, i ravioli ripieni di ricotta e noci, conditi con burro e salvia, rappresentano un omaggio alla tradizione delle paste ripiene delle feste. Per chi ama i sapori più decisi, il risotto al radicchio e taleggio o alla zucca e rosmarino è una scelta raffinata e stagionale.
Secondi: sostanza e creatività
Anche senza carne, il secondo può essere ricco e appagante. Uno dei piatti simbolo del Natale vegetariano è il polpettone di legumi, a base di lenticchie o ceci, arricchito con spezie, verdure e servito con una salsa delicata.
Molto apprezzato anche il timballo di verdure e formaggio, cotto al forno e servito a fette, oppure il seitan o tofu glassato con agrumi e miele (o sciroppo d’acero per una versione vegana). Le uova in cocotte con porri e parmigiano, infine, sono una soluzione semplice ma elegante.
Contorni: colori e stagionalità
I contorni completano il piatto e portano colore in tavola. Le patate al forno con erbe aromatiche restano un classico intramontabile, così come le verdure gratinate. Per qualcosa di più originale, si possono servire cavoletti di Bruxelles saltati con mandorle o una zucca arrosto speziata con paprika dolce e timo.
Il dolce: Natale è dolcezza
Il pranzo non può che chiudersi con un dessert all’altezza. Qui la tradizione viene in aiuto: panettone e pandoro sono naturalmente vegetariani e possono essere accompagnati da creme fatte in casa, come una salsa al mascarpone o una crema al cioccolato fondente.
Per chi ama preparare tutto da sé, ottime alternative sono la torta di mele speziata, i biscotti natalizi alla cannella o una crostata di frutta secca e miele. Dolci semplici, ma profondamente legati al periodo festivo.
Un Natale diverso, ma autentico
Scegliere un menu vegetariano per Natale non significa rinunciare alla convivialità o alla tradizione, ma reinterpretarla in chiave moderna. Con ingredienti stagionali, attenzione alle preparazioni e un pizzico di creatività, il pranzo delle feste può diventare un’esperienza condivisa e inclusiva.
Alla fine, ciò che rende speciale il Natale non è ciò che manca nel piatto, ma ciò che unisce intorno alla tavola: il tempo, la cura e il piacere di stare insieme.
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