Cronaca
Il bagarino dei record: rastrella biglietti per 90 eventi e incassa a prezzi gonfiati. Maxi multa da 675mila euro
Il Garante delle Comunicazioni, dopo l’indagine della Guardia di Finanza, lo ha sanzionato con 675mila euro per “indebito arricchimento”. Dal 2020 le multe erano sempre andate ai portali di secondary ticketing: ora a pagare è il bagarino in carne e ossa.

Aveva trasformato la passione per concerti e partite in un business milionario, almeno finché la Guardia di Finanza non ha bussato alla sua porta. È il bagarino dei record, capace di rastrellare 15mila biglietti per 90 eventi tra spettacoli musicali e incontri sportivi in Italia, rivendendoli online a prezzi maggiorati.
L’Agcom ha deciso di punirlo con una multa da 675mila euro, la più alta mai inflitta a un singolo individuo per secondary ticketing. Finora, le sanzioni colpivano soltanto le piattaforme internazionali che permettevano la compravendita di biglietti a prezzi gonfiati. Stavolta, invece, nel mirino è finito il regista dell’operazione, che aveva organizzato una vera rete di acquisti frazionati e rivendite parallele.
Per il Garante delle Comunicazioni, il danno è triplice: ai fan costretti a pagare cifre esorbitanti per assistere dal vivo agli eventi; all’Erario, che perde entrate fiscali; e alla reputazione di artisti e club sportivi, accusati ingiustamente di complicità.
La legge 232 del 2016 vieta il bagarinaggio digitale e prevede multe fino a 180mila euro. La cifra record è stata raggiunta perché le violazioni erano molteplici e continuative, configurando un indebito arricchimento ripetuto nel tempo.
Il caso arriva a poche settimane dall’entrata in vigore della stretta sul secondary ticketing prevista dal decreto Bollette, che consente di oscurare i siti di chi non paga le sanzioni. Ma stavolta il colpo non riguarda un portale estero: è il bagarino in carne e ossa a dover fare i conti con una multa che rischia di travolgere il suo impero di biglietti gonfiati.
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Mondo
Il rifugio dei miracoli, 100.000 animali salvati, la storia straordinaria di Lynea Lattanzio
In California, Lynea ha trasformato la sua casa e la sua intera esistenza in un rifugio per migliaia di gatti. Oggi vive in una roulotte per lasciare spazio ai suoi amici a quattro zampe.

In un tranquillo angolo della California centrale, lungo le rive del fiume Kings, sorge un luogo che sembra uscito da una fiaba: si chiama The Cat House on the Kings ed è il più grande rifugio no-kill e senza gabbie degli Stati Uniti. Qui, tra alberi, prati e casette di legno, vivono oltre 700 gatti, una manciata di cani, e persino dei pavoni in libertà. Ma tutto è cominciato con una donna e una scatola piena di gattini.
Lynea Lattanzio, ex consulente immobiliare, decise di cambiare vita dopo un divorzio difficile. Nel 1983 acquistò una grande casa su sei acri di terreno nella cittadina di Parlier, sognando pace e natura. Nove anni dopo, una richiesta del padre – cercare due gatti Manx – la portò a un rifugio dove trovò, invece, 15 cuccioli abbandonati. Li adottò tutti. Da quel momento, non si è più fermata.
Nel primo anno salvò 96 gatti, nel giro di pochi anni diventò tecnico veterinario, vendette la sua Mercedes d’epoca e l’anello di nozze per far fronte alle spese veterinarie. Nel 2002 arrivò lo status di organizzazione non profit, e nel 2004 il rifugio superava già le 500 presenze feline.
Grazie a una donazione testamentaria, Lynea poté acquistare altri 6 acri e costruire una recinzione lungo i 12 acri totali della proprietà. Oggi il rifugio comprende una clinica veterinaria, un’area per gatti FIV positivi, reparti di terapia intensiva e quarantena, e si sostiene solo tramite donazioni.
In 33 anni, The Cat House on the Kings ha salvato oltre 53.800 gatti e quasi 8.000 cani, senza contare i più di 98.000 animali sterilizzati. Non ci sono gabbie, non ci sono abbattimenti. Solo libertà, cure e una dedizione assoluta.
Lynea oggi vive in una roulotte nel giardino, lasciando l’intera casa ai suoi ospiti a quattro zampe. “Ho trovato la mia missione,” dice, “e non la cambierei per nulla al mondo.”
Politica
Matteo Salvini, Sydney Sweeney e i jeans della discordia: quando la politica si fa social
La nuova miccia dell’estate politica italiana non arriva da un decreto o da un cantiere ferroviario, ma da un paio di jeans. Matteo Salvini, fedele alla sua strategia di populismo social, ha deciso di commentare la pubblicità di American Eagle con protagonista Sydney Sweeney, accusata da parte del web di strizzare l’occhio a ideali reazionari e nostalgie MAGA. Il risultato è la solita tempesta mediatica: destra e sinistra a litigare online su una faccenda che riguarda più l’algoritmo che la politica.

La nuova miccia dell’estate politica italiana non arriva da un decreto o da un cantiere ferroviario, ma da un paio di jeans. Matteo Salvini, fedele alla sua strategia di populismo social, ha deciso di commentare la pubblicità di American Eagle con protagonista Sydney Sweeney, accusata da parte del web di strizzare l’occhio a ideali reazionari e nostalgie MAGA. Il risultato è la solita tempesta mediatica: destra e sinistra a litigare online su una faccenda che riguarda più l’algoritmo che la politica.
Testo:
Se Franz Kafka fosse vivo, probabilmente resterebbe perplesso: oggi non ci si sveglia più trasformati in un insetto gigante, ma in un post di Matteo Salvini. Il ministro dei Trasporti, instancabile narratore del proprio orto social e degli immancabili meloni estivi, ha trovato un nuovo passatempo: trasformare un banale spot di moda in un caso politico nazionale.
Il pretesto questa volta si chiama Sydney Sweeney, 27 anni, occhi blu e curriculum da protagonista di Euphoria. American Eagle l’ha scelta per lanciare una campagna pubblicitaria in cui il gioco di parole tra “jeans” e “genes” – i geni ereditari – diventa slogan. Lei, in un video ammiccante, spiega che i geni determinano tratti come colore dei capelli e personalità, per poi chiudere con un «My jeans are blue». Tanto è bastato perché il web esplodesse in un flame globale: per alcuni un’innocua provocazione pop, per altri l’eco inquietante di un’estetica da propaganda suprematista.
Salvini, fiutando l’occasione perfetta per inserire il proprio nome nel trend del giorno, ha postato il video ai suoi 2,5 milioni di follower chiedendo: «Solo a me sembrano reazioni folli?». E così, tra un cantiere ferroviario e un raccolto di zucchine, il leader leghista ha riacceso il suo motore preferito: la polemica social a costo zero.
L’affaire Sweeney è la tempesta perfetta dell’ecosistema digitale contemporaneo: un’attrice dal profilo ambiguo, uno spot volutamente sopra le righe, l’indignazione automatica dei liberal e la reazione compiaciuta dei conservatori, pronti a brandirla come musa dei valori “autentici” contro il mondo woke. Da qui, il passo verso la strumentalizzazione politica è breve: la destra occidentale la difende come icona di libertà estetica, la sinistra la condanna come simbolo di sessismo e nostalgia reazionaria.
Il paradosso è che la polemica non riguarda né l’attrice né i jeans in sé – piuttosto brutti, a dirla tutta – ma la dinamica mediatica che li avvolge. Ogni reazione indignata alimenta la visibilità del brand, che ottiene la vera vittoria: trasformare un paio di pantaloni in arma di distrazione di massa.
Intanto Salvini capitalizza sulla vicenda, rafforzando il suo ruolo di influencer politico: lontano dalle criticità del trasporto pubblico, immerso in dirette tra piante aromatiche e selfie di stagione, trova nel caso Sweeney un perfetto palcoscenico estivo. L’Italia discute di propaganda nazista nei blue jeans mentre gli algoritmi brindano.
E alla fine, il messaggio implicito è sempre lo stesso: non importa se il dibattito sia surreale, basta che si parli di lui. Perché, come dimostra l’affaire dei jeans della discordia, il confine tra politica e intrattenimento non è mai stato così sottile.
Italia
Maturità 2025, il record delle lodi va ancora al Sud
Calabria, Puglia e Sicilia prime in Italia per numero di studenti con il massimo dei voti. Alle medie confermata la tendenza.

Il Sud resta la patria delle eccellenze scolastiche. I dati ufficiali sull’esame di maturità 2025 lo confermano: il 2,8% dei diplomati ha ottenuto la lode, pari a 13.857 studenti, in leggero aumento rispetto al 2,6% dello scorso anno.
A dominare la classifica sono ancora una volta Calabria, Puglia e Sicilia, regioni che superano la media nazionale e che si confermano terreno fertile per le eccellenze. All’estremo opposto, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto restano le regioni con la percentuale più bassa di lodi.
Il divario tra Nord e Sud è netto anche alle scuole medie. Qui il 5,2% degli studenti ha ottenuto 10 e lode, con la Puglia in testa (8,7%), seguita dalla Calabria (8,4%) e dalla Sicilia (8%). Numeri che rafforzano una tendenza consolidata e che alimentano il dibattito sulla differenza di valutazioni tra le due Italie: scuole del Nord più severe o quelle del Sud più generose? Oppure, come sostengono molti docenti, nelle regioni meridionali le lodi sono anche un riconoscimento agli sforzi di studenti che spesso affrontano contesti più difficili e carenze strutturali?
Analizzando i diversi indirizzi di studio, il primato delle lodi spetta ai licei, dove il 4,3% dei diplomati ha raggiunto il 100 e lode. Seguono gli istituti tecnici con l’1,5%, mentre nei professionali la percentuale scende allo 0,6%. Nei tecnici e nei professionali i voti più frequenti restano compresi tra 61 e 70, mentre nei licei prevalgono i punteggi tra 71 e 80.
Per la Calabria, i dati sono motivo d’orgoglio. In una regione che spesso deve fare i conti con strutture scolastiche carenti, il numero di studenti che riescono a distinguersi diventa un segnale positivo, una sorta di riscatto collettivo. Dietro ogni lode ci sono ore di studio, sacrifici e la determinazione di ragazzi e ragazze che, anche tra difficoltà logistiche e didattiche, scelgono di puntare all’eccellenza.
Quest’anno, dunque, il vento delle lodi soffia ancora una volta dal Sud. E la Calabria si conferma tra i territori dove la scuola sa trasformare il talento e l’impegno degli studenti in storie di successo.
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