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Interviste

Samira Lui, sette anni d’amore e sogni in grande: «Con Luigi Punzo vogliamo sposarci e avere bambini»

Dalla tv al cuore, tutto sorride a Samira Lui. La modella e showgirl, ormai volto familiare del game show di Canale 5, racconta la favola d’amore con il compagno e rivela di sognare nozze, figli e – un giorno – un programma tutto suo.

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    Per Samira Lui è davvero un momento “fortunato”. Non solo perché da settimane gira la Ruota accanto a Gerry Scotti, contribuendo al successo della seconda edizione del celebre programma lanciato da Mike Bongiorno e fortemente voluto di nuovo in onda da Pier Silvio Berlusconi. Ma perché la sua vita, tra lavoro e sentimenti, sembra girare alla perfezione.

    «Sono molto contenta di poter riaffiancare Gerry in questa nuova edizione estiva del programma», racconta a Nuovo Tv. «Per me è una grandissima soddisfazione. Con lui c’è da sempre un rapporto di grande stima e, lavorando insieme, è nata una bella affinità».

    Se la carriera sorride, il cuore non è da meno. Samira festeggia sette anni d’amore con Luigi Punzo, il compagno con cui sogna progetti importanti: «Vorremmo sposarci e avere bambini. Ma ogni cosa a suo tempo». Una storia che sembra uscita da una favola moderna, dove la parola crisi non è mai comparsa. «Credo che le parole chiave in un rapporto felice siano stima e rispetto, perché se non stimi chi hai accanto non puoi amarlo. Quando ci siamo incontrati, prima è arrivata la stima, poi il bene e infine l’amore. Volere il bene dell’altro è ancora più importante dell’amore stesso, ed è un aspetto che non in tutte le coppie è scontato».

    Intanto, tra un set televisivo e un sogno d’amore, la showgirl guarda avanti. «Un giorno mi piacerebbe condurre un programma tutto mio, legato all’intrattenimento e alla musica», confessa. «Potrebbe essere uno show nuovo o anche uno già esistente, ma con la mia impronta. E mi affascina anche il grande schermo, anche se per ora la mia priorità resta la televisione».

    Giocando con il titolo del programma che l’ha resa popolare, Samira ammette di sentirsi “fortunata” a 360 gradi. «Al momento non mi manca niente. Mi ritengo una ragazza molto fortunata e ringrazio ogni giorno per quello che ho. Non mi permetterei mai di dire che manchi qualcosa alla mia vita».

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      Interviste

      Cristina D’Avena ricorda il set di Love me Licia: «Mirko voleva baciarmi davvero, il regista gli urlò: sei matto?»

      Ospite a Rai Radio2, D’Avena ha raccontato l’episodio divertente sul primo “quasi bacio” con Finicelli, allora modello alle prime armi come attore. Da quell’esperienza nacque la sua carriera televisiva e musicale, segnata dal successo delle sigle per ragazzi.

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        Un tuffo nel passato, tra nostalgia e sorrisi. Cristina D’Avena, voce e volto iconico della tv per ragazzi, ha raccontato un episodio curioso dal set di Love me Licia, la serie cult del 1986 che diede vita al sequel live action del cartone giapponese Kiss me Licia. All’epoca aveva appena 19 anni e, tra emozione e inesperienza, si trovò catapultata accanto ai Bee Hive, i giovani idoli della fiction.

        Durante una chiacchierata nel programma Le Lunatiche su Rai Radio2, condotto da Jodie Alivernini e Barbara Venditti, l’artista ha ricordato il suo primo approccio con Pasquale Finicelli, modello prestato alla recitazione e interprete di Mirko, il leader della band nella serie. «Quando mi hanno buttata tra i Bee Hive, ragazzi bellissimi, pensai: “Mamma mia, cosa mi sta succedendo?”. Pasquale non era un attore, ma un modello, e con i baci ci furono dei problemi: lui pensava di dovermi baciare davvero», ha raccontato divertita.

        Il risultato? Un clamoroso stop sul set. «Il regista lo fermò e gli disse: “Ma sei matto? Non così! Devi solo appoggiare leggermente le labbra!”. Quello fu il nostro primo approccio, e ci facemmo una risata. Con lui è stato tutto molto divertente», ha aggiunto D’Avena.

        Il 6 ottobre ricorreranno i 39 anni dal debutto televisivo di Love me Licia, una produzione che trasformò una giovane cantante di sigle in una star della tv per ragazzi. Da quell’esperienza, infatti, si aprì la strada alla sua carriera musicale e televisiva, legata indissolubilmente al mondo delle sigle dei cartoni animati.

        Cristina ha ricordato anche un altro momento fondamentale, l’incontro con Alessandra Valeri Manera, storica autrice di Mediaset e regina della tv per bambini: «Mi disse: “Ho una canzone per te”. Era l’inizio dei miei primi anni di lavoro. In studio c’era il maestro Giordano Bruno Martelli, che aveva composto la musica. Da quella sigla nacque tutta la mia carriera: sono diventata non solo una voce, ma anche un volto».

        Oggi D’Avena guarda a quell’epoca con affetto e riconoscenza: un capitolo che le ha regalato popolarità, amore del pubblico e un percorso artistico che dura da quasi quarant’anni. E anche un “quasi bacio” che è rimasto nella storia della tv anni ’80.

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          Platinette compie 70 anni e si racconta senza filtri: “Dopo due ictus ho il cervello come un emmental”.

          L’artista parla dei due ictus, del recupero lento e del bastone, degli anni in tv, delle cadute e degli eccessi. E attacca l’“era del politically correct e dell’intelligenza artificiale”. Amori mancati, dissidi celebri e un cameo rifiutato con Rocco Siffredi: “Sono un fenomeno da baraccone e ne vado fiera”.

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            Settanta anni e la stessa ironia affilata di sempre. Mauro Coruzzi, per tutti Platinette, spegne le candeline e lo fa con una frase che è già manifesto: “Non sono ancora morta, grazie”. Negli ultimi due anni ha affrontato due ictus, uno ischemico e uno emorragico, ma non perde la sua cifra: sdrammatizzare, raccontarsi, provocare.

            Il neurologo gli ha spiegato che il suo cervello è “come un emmental, pieno di buchi”: «Sono scomparse molte zone attive, ma i neuroni superstiti si sono caricati tutto. Cammino con il bastone come una vecchia pazza, e questo mi rende fragile». La difficoltà nell’equilibrio è l’aspetto che più lo spaventa, confessa. Ma la battuta arriva puntuale: «Da contribuente con 50 anni di versamenti, ora sono pensionato. Posso non lavorare. Come dice Patty Pravo: ho guadagnato 11 miliardi ma ne ho spesi 13».

            Spese folli? “Di tutto. Ho comprato anche vinili di Mina in giapponese”. Platinette si definisce “fenomeno da baraccone” e ne va orgogliosa: «Ho portato a considerare persone come me parte integrante del sociale. Ho sbadilato quintali di pregiudizi».

            Si torna agli affetti: «Il primo amore? Quello che non avrai mai. A 18 anni capii che ciò che ti graffia per sempre il cuore è ciò che resta irraggiungibile». In famiglia, ricorda, non ci furono drammi quando capirono il suo orientamento: la madre trovò i vestiti femminili e li lavò “come niente fosse”.

            E poi la tv, quella che oggi — dice — non ha più posto per personaggi come lui: «Gli opinionisti sono residui bellici. Noi vecchia guardia, io, Sgarbi, Tonon, siamo fuori gioco per colpa del politically correct che impera in questo Medioevo da intelligenza artificiale». Ricorda il celebre scontro al Costanzo Show con Michele Guardì: «Mi accusò di essermi buttata giù per farmi notare, reagii come una Erinni».

            C’è spazio per i rimpianti (un cameo rifiutato in un film di Rocco Siffredi) e per gli omaggi: «Barbara D’Urso è l’ultima vera diva». Anche una frecciatina elegante: quando Drusilla Foer condusse Sanremo, confessa, “mi ha reso orgogliosa: significa che sono davvero spaventante”.

            Platinette oggi? Forse meno presente, “sedata nella sua invadenza mediatica”, ma viva. Pronta a dire quello che pensa. E a ricordare che certe maschere, anche quando si allontanano dai riflettori, non muoiono mai davvero.

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              Claudia Koll: “Non mi manca il successo. Oggi aiuto i poveri, ma resto un’artista”

              C’era una volta la giovane attrice che fece girare la testa a Tinto Brass. Poi, un giorno, quella stessa donna attraversò la Porta Santa e cambiò vita. Claudia Koll, oggi settantenne “suora laica” per definizione popolare, celebra i venticinque anni della sua conversione con la serenità di chi ha trovato il proprio posto nel mondo: “Dio non toglie niente, cura le ferite e dà significato ai talenti che ci ha donato”.

              La celebrità l’aveva abbracciata presto: il cinema, la televisione, Sanremo, le fiction accanto a giganti come Pippo Baudo e Nino Manfredi. “Erano due grandi professionisti – ricorda –. Da loro ho imparato tanto, anche che la persona non coincide mai con il personaggio. Un attore deve restare connesso con la propria interiorità, altrimenti si perde”.

              Nonostante il clamore di quegli anni, la Koll non mostra nostalgia. “Il successo non mi manca. Sono contenta quando qualcuno mi riconosce e mi dimostra affetto, ma la mia felicità non dipende da quello. La conversione è stata un dono, una grazia che ha cambiato la mia prospettiva”.

              Quel momento è scolpito nella sua memoria. Era il Giubileo del 2000. “Ricordo la fede delle persone in fila davanti alla Porta Santa e poi la Pietà di Michelangelo. Quel volto giovane di Maria mi riportò a quando, da bambina, sognavo di andare in Cielo con lei dopo aver visto un film su Fatima. In quell’istante sentii che la mia vita doveva cambiare direzione”.

              Da allora la sua spiritualità si è fatta concreta, quotidiana. “Non sono una suora – spiega – ma una cristiana che cerca di vivere il Vangelo giorno per giorno. L’amore per la Parola di Dio e l’attenzione verso i poveri fanno parte della mia vita. Questa sensibilità si riflette anche nel mio modo di essere attrice: non voglio interpretare solo religiose, ma raccontare l’umano con più profondità”.

              Una profondità che si traduce anche nell’impegno. Vent’anni fa ha fondato Le Opere del Padre, l’associazione che sostiene progetti di solidarietà in Italia e in Africa. “Soddisfatta? Forse non è la parola giusta – dice con un sorriso –. Direi che sono grata. La mia vita è piena di passioni e di incontri”.

              La passione per l’arte, intanto, non si è mai spenta. Diplomata all’Actors Studio di New York, oggi insegna recitazione e counseling ai giovani attori. “L’attore è un atleta del cuore, diceva Susan Strasberg. Interpretando un personaggio emergono ferite e ricordi che possono diventare strumenti di crescita. Uso alcune tecniche della Gestalt per aiutare i ragazzi a non farsi schiacciare dal ruolo, a mantenere la propria identità”.

              Nel suo percorso non sono mancati incontri che hanno lasciato un segno. Il più forte, quello con Giovanni Paolo II. “Era il 1º ottobre 2003. Mi guardò con occhi pieni di amore e dolore. In quello sguardo compresi che stava offrendo la sua vita per Cristo. Fu un momento di grazia, di verità profonda”.

              Oggi, dopo la scomparsa di Papa Francesco, si dice conquistata dal nuovo pontefice, Leone XIV. “Mi ha colpita quando ha detto che la misura dell’umanità non è in ciò che possiamo conquistare, ma nella capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare. Se non tocchiamo la nostra fragilità, non possiamo comprendere quella degli altri”.

              È in questa visione che la Koll trova la sintesi tra l’artista e la donna di fede. “Papa Leone apre alla speranza – conclude –. Ci invita a uno sguardo di misericordia, non di forza. E io credo che sia proprio questo il compito di chi racconta la vita: mostrare che dentro la fragilità si nasconde la bellezza più grande”.

              Un tempo sul grande schermo era Così fan tutte, oggi è così fa lei: recita ancora, ma per un pubblico diverso. Quello che cerca nella fede, come nel teatro, la luce che attraversa il buio.

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                La celebrità l’aveva abbracciata presto: il cinema, la televisione, Sanremo, le fiction accanto a giganti come Pippo Baudo e Nino Manfredi. “Erano due grandi professionisti – ricorda –. Da loro ho imparato tanto, anche che la persona non coincide mai con il personaggio. Un attore deve restare connesso con la propria interiorità, altrimenti si perde”.

                Nonostante il clamore di quegli anni, la Koll non mostra nostalgia. “Il successo non mi manca. Sono contenta quando qualcuno mi riconosce e mi dimostra affetto, ma la mia felicità non dipende da quello. La conversione è stata un dono, una grazia che ha cambiato la mia prospettiva”.

                Quel momento è scolpito nella sua memoria. Era il Giubileo del 2000. “Ricordo la fede delle persone in fila davanti alla Porta Santa e poi la Pietà di Michelangelo. Quel volto giovane di Maria mi riportò a quando, da bambina, sognavo di andare in Cielo con lei dopo aver visto un film su Fatima. In quell’istante sentii che la mia vita doveva cambiare direzione”.

                Da allora la sua spiritualità si è fatta concreta, quotidiana. “Non sono una suora – spiega – ma una cristiana che cerca di vivere il Vangelo giorno per giorno. L’amore per la Parola di Dio e l’attenzione verso i poveri fanno parte della mia vita. Questa sensibilità si riflette anche nel mio modo di essere attrice: non voglio interpretare solo religiose, ma raccontare l’umano con più profondità”.

                Una profondità che si traduce anche nell’impegno. Vent’anni fa ha fondato Le Opere del Padre, l’associazione che sostiene progetti di solidarietà in Italia e in Africa. “Soddisfatta? Forse non è la parola giusta – dice con un sorriso –. Direi che sono grata. La mia vita è piena di passioni e di incontri”.

                La passione per l’arte, intanto, non si è mai spenta. Diplomata all’Actors Studio di New York, oggi insegna recitazione e counseling ai giovani attori. “L’attore è un atleta del cuore, diceva Susan Strasberg. Interpretando un personaggio emergono ferite e ricordi che possono diventare strumenti di crescita. Uso alcune tecniche della Gestalt per aiutare i ragazzi a non farsi schiacciare dal ruolo, a mantenere la propria identità”.

                Nel suo percorso non sono mancati incontri che hanno lasciato un segno. Il più forte, quello con Giovanni Paolo II. “Era il 1º ottobre 2003. Mi guardò con occhi pieni di amore e dolore. In quello sguardo compresi che stava offrendo la sua vita per Cristo. Fu un momento di grazia, di verità profonda”.

                Oggi, dopo la scomparsa di Papa Francesco, si dice conquistata dal nuovo pontefice, Leone XIV. “Mi ha colpita quando ha detto che la misura dell’umanità non è in ciò che possiamo conquistare, ma nella capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare. Se non tocchiamo la nostra fragilità, non possiamo comprendere quella degli altri”.

                È in questa visione che la Koll trova la sintesi tra l’artista e la donna di fede. “Papa Leone apre alla speranza – conclude –. Ci invita a uno sguardo di misericordia, non di forza. E io credo che sia proprio questo il compito di chi racconta la vita: mostrare che dentro la fragilità si nasconde la bellezza più grande”.

                Un tempo sul grande schermo era Così fan tutte, oggi è così fa lei: recita ancora, ma per un pubblico diverso. Quello che cerca nella fede, come nel teatro, la luce che attraversa il buio.

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