Cinema
George Clooney arriva al red carpet di Venezia: debutta “Jay Kelly” tra applausi e malesseri
Malato e reduce da una grave infezione ai seni paranasali, l’attore ha saltato alcuni impegni ma non ha rinunciato al red carpet accanto ad Amal per il debutto del suo nuovo film.

Alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia, George Clooney ha messo in scena una delle sue “magie”. Rallentato da una forte sinusite — tanto da saltare conferenze stampa e cene promozionali dopo l’arrivo il 26 agosto. È comunque riuscito a rispettare l’impegno sul red carpet, accompagnato dalla moglie Amal. Il suo abito, rigoroso e classico, ha contrappunto alla elegante mise ciclamino di lei, suggellando un ritorno da star capace di superare qualunque malessere.
Il regista Noah Baumbach, durante la conferenza stampa, ha spiegato con ironia: «Anche le star si ammalano», mentre un portavoce ha confermato che Clooney era stato “invitato dal medico a rallentare le attività”.
Arrivato sul red carpet visibilmente provato — si è perfino lasciato sfuggire un colpo di tosse — Clooney si è comunque fermato con i fan, ha firmato autografi e ha scambiato battute con il direttore del festival, Alberto Barbera. Quando è entrato in sala, quasi senza voce, ha sussurrato in inglese «I’m sorry», prima di aggiungere in un perfetto italiano: «Mi dispiace».
La premiere di Jay Kelly, film diretto da Baumbach con Clooney nei panni di una brillante star in crisi, ha ricevuto un applauso di ben dieci minuti, suggellando il ritorno dell’attore sotto i riflettori nonostante l’influenza. Amal, visibilmente commossa, lo ha sostenuto in platea, tra abbracci e gesti affettuosi durante la standing ovation.
Il film, già in concorso al festival e destinato a uscire nei cinema il 14 novembre — seguito da un lancio globale su Netflix — sembra riflettere molte delle sfide affrontate da Clooney personalmente e professionalmente: dal bisogno di fermarsi al desiderio di resistere a ogni costo
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Cinema
Dwayne Johnson tra ferite e rinascita: The Smashing Machine debutta a Venezia con un’ovazione
Un biopic che travalica il ring: a Venezia la Mostra accoglie con calore l’interpretazione trasformativa di Johnson, affiancato da Emily Blunt e diretto da Benny Safdie.

Alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia, The Smashing Machine ha segnato un punto di svolta drammatico nella carriera di Dwayne “The Rock” Johnson. Il biopic diretto da Benny Safdie, che racconta la vita travagliata del celebre lottatore di MMA Mark Kerr, ha ricevuto un’accoglienza elettronica. Una standing ovation di ben 15 minuti ha lasciato il pubblico e gli stessi protagonisti visibilmente commossi.
Più che un film di combattimenti, questa pellicola è un’immersione in una parabola di cadute, dipendenza da oppiacei, solitudine e rinascita. Johnson, trasformato fisicamente e psicologicamente per incarnare Kerr, ha mostrato un lato vulnerabile che mai prima d’ora aveva esplorato sullo schermo.
Emily Blunt, nei panni della compagna Dawn Staples-Kerr, offre una performance altrettanto intensa. La sua interpretazione ha ricevuto elogi unanimi dalla critica per la profondità emotiva e la capacità di bilanciare il tumulto di Kerr.
Nel corso della conferenza stampa, Safdie ha chiarito il cuore del progetto: “Non raccontiamo vittorie o sconfitte, ma la pressione di vincere – e cosa accade quando vincere diventa il nemico.”
Sul red carpet, Johnson ha ribadito la sua evoluzione artistica: non era lì per stupire Hollywood, ma per esprimere un’urgenza personale. “Cosa accadrebbe se potessi fare di più?” ha confessato, ribadendo il desiderio di essere portato al limite.
Il film, ambientato negli anni Novanta, è un ritratto crudo e realistico della UFC nascente, della fragilità di un uomo avanti anni luce rispetto alla sua epoca. E delle relazioni che lo hanno tenuto ancorato alla vita. Blunt ha spiegato con chiarezza che il film non celebra la forza ma svela le crepe interiori di chi vive sotto lo sguardo del pubblico.
Tecnica e atmosfera si fondono grazie a scelte di regia audaci: Safdie evita la spettacolarizzazione dei combattimenti, preferendo inquadrature “da spettatore silenzioso”, e costruisce il racconto con un’intensità che fa leva sull’interiorità, non sulla forza fisica.
Il film ha fatto il suo ingresso nel panorama festivaliero con slancio: oltre alla standing ovation, è stato accolto con applausi emozionati e sguardi cifrati tra Johnson, Blunt e Safdie. Cresce la sensazione che il film possa trascinarli verso la corsa agli Oscar, una prima volta possibile per The Rock.
Scritto, diretto e prodotto da Safdie assieme a Johnson e altre figure chiave, il film ha un budget stimato intorno ai 70 milioni di dollari. Dopo la premiere veneziana del 1° settembre, seguirà il passaggio al Toronto International Film Festival e uscirà nelle sale italiane l’19 novembre 2025. Distribuito da I Wonder Pictures, mentre negli USA arriverà l’3 ottobre per A24.
Cinema
Jude Law, Il mago del Cremlino: la politica di Putin raccontata attraverso lo sguardo di un burattinaio
Il nuovo film in concorso a Venezia di Olivier Assayas, tratto dal romanzo di Giuliano da Empoli, indaga l’ascesa autoritaria attraverso la mente di un insospettabile manipolatore.

In concorso al 82° Festival di Venezia, Il mago del Cremlino (The Wizard of the Kremlin) di Olivier Assayas ritorna sui tanti luoghi oscuri della politica contemporanea. Tratto dal romanzo omonimo di Giuliano da Empoli. Firmato in co-sceneggiatura con Emmanuel Carrère – l’opera propone un affresco della Russia post-sovietica. Delineando l’ascesa di Vladimir Putin attraverso gli occhi del suo consigliere occulto, un “Rasputin moderno” interpretato da un sottilmente minaccioso Paul Dano. Artefice del successo politico di un giovane agente del KGB, Putin è invece impersonato da un luciferino Jude Law. La cui freddezza scenica domina lo schermo.
Il film si dipana lungo oltre trent’anni di storia russa (1990–2014), saldando eventi reali – il disastro del sottomarino Kursk. Le guerre in Cecenia, l’annessione della Crimea, le operazioni digitali nei confronti dell’Occidente – con la finzione disincantata del romanzo.
Jude Law ha affrontato il ruolo con una preparazione quasi ossessiva. Al Lido ha raccontato di essere scivolato in un “rabbit hole” di video e interviste di Putin, cercando di catturarne l’imperscrutabilità. “Il volto pubblico non rivela nulla”, ha spiegato, e proprio in quel contrasto ha costruito la verità della sua performance. Law ha voluto evitare una maschera o una parrucca esasperata. Il look si è risolto con un trucco sobrio e un accento misurato, per lasciare parlare l’unica cosa che conta: la fredda ambizione di un dittatore.
Paul Dano, nel ruolo di Vadim Baranov (ispirato a Vladislav Surkov), domina con una presenza rarefatta, una voce sommessa e una determinazione disturbante. Critici come Jonathan Romney hanno evidenziato come il suo interpretazione sembri ipnotica e ambigua. Ma la sua figura resta il centro morale e tematico del film: l’architetto silenzioso del regime.
La regia di Assayas mantiene un registro elegante e articolato, valorizzando i luoghi simbolo della transizione russa. Dalla Russia devastata dei primi anni Novanta fino a una modernità distopica, passando per i palazzi del potere, le foreste, gli ambienti tecnologici e le città devastate. È una geografia del controllo, così come il film narra “politica come arte”: astuta, sfuggente, inquietante.
La ricezione al Festival è stata intensa. Law è stato accolto da una standing ovation di dieci minuti, suggellando il suo ritratto magnetico e inquietante. Alicia Vikander, nel ruolo di Ksenia, figura femminile che incarna emancipazione e cambiamento. Ha definito la sua parte uno specchio della Russia post-comunista: una donna in trasformazione, fragile e speranzosa.
Ma per alcuni, il film paga il suo ambizioso impianto narrativo con una densità di dialoghi e una voce off troppo invadente, che rende la visione più documentaristica che romanzesca. La freddezza stilistica, per alcuni critici, limita lo sviluppo emotivo dei personaggi, con Baranov e il suo potere che restano più archetipi che esseri umani complessi.
In conferenza stampa, Assayas ha sottolineato che il suo film non vuole essere una biografia di Putin, ma un avviso: «È una riflessione su cosa è diventata la politica oggi. Abbiamo preso Putin, ma si applica a tanti leader autoritari».
Cinema
Sophie Codegoni all’assalto di Jacob Elordi a Venezia: “Dal vivo è ancora più bono”. Lui fugge
Scene da cinepanettone alla Mostra del Cinema: l’influencer tenta di abbordare la star di “Euphoria” tra flash e urla, ma Elordi preferisce scappare. A rincarare la dose ci pensa l’amica: “Sposami!”.

Non bastavano i red carpet, le première e i party blindatissimi. A Venezia 82 si è consumata anche una parentesi comico-grottesca con protagonista Sophie Codegoni. L’influencer, ex gieffina ed ex fiamma di Alessandro Basciano, ha tentato la mossa disperata: avvicinare Jacob Elordi, il bel tenebroso di Euphoria e Priscilla.
Missione impossibile. Tra flash, bodyguard e un’orda di fan urlanti, Sophie si è letteralmente accalcata per strappare un contatto con l’attore. «Dal vivo è ancora più bono», ha gridato davanti a telecamere e smartphone. Elordi, impeccabile nel completo scuro, ha fatto quello che in tanti avrebbero sognato di fare: girarsi dall’altra parte e allontanarsi senza pensarci due volte.
Come se non bastasse, a peggiorare la scena ci ha pensato l’amica di Sophie: a pieni polmoni ha chiesto a Elordi di sposarla. Risultato? Una fuga degna di un film d’azione: la star si dilegua, l’influencer resta lì a raccogliere applausi sarcastici e qualche meme già pronto per i social.
Insomma, momenti di pura demenzialità sulla Laguna. Sophie Codegoni voleva la favola romantica, ma a Venezia ha messo in scena una commedia involontaria che neanche i Vanzina.
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