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Cinema

Charlize lisciata dal bisturi, Paris Hilton eterna ragazzina e Pamela Anderson che sfida la chirurgia: il red carpet delle metamorfosi

Theron sempre più simile a Kidman, Hilton che sembra ferma ai 18 anni e Anderson che rivendica la naturalezza: tre modi diversi di affrontare il tempo che passa sotto i flash.

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    Charlize Theron è tornata a far parlare di sé non per un film o una campagna pubblicitaria, ma per un viso che sembra uscito da un laboratorio di restauro troppo zelante. La bellezza algida e magnetica che l’ha resa un’icona del cinema si è trasformata in qualcosa di diverso: pelle tirata, zigomi in primo piano e quell’effetto “spianato” che ricorda da vicino Nicole Kidman nei suoi periodi di massimo fervore da botox. Un ritocco di troppo che ha acceso il dibattito: è ancora Charlize o è una sua versione alternativa, made in bisturi?

    Sul fronte opposto, Paris Hilton continua a smentire l’anagrafe. Quarantaquattro anni dichiarati, ma l’aria da diciottenne che si diverte con borchie e pizzi come se fosse appena uscita da un party al liceo. Il segreto? Non la formula magica di Faust, ma un mix di filler ben piazzati, filtri social e l’abilità consumata di presentarsi sempre un passo indietro dall’effetto caricatura. Per molti è un patto con il diavolo glamour, per altri semplice capacità di cavalcare il personaggio: la Paris di oggi è identica a quella di ieri, solo più social-friendly.

    E poi c’è Pamela Anderson, che sembra voler fare a pezzi tutte le convenzioni hollywoodiane. Quella che a vent’anni era già sospettata di essere “rifatta” oggi appare al naturale, con le sue rughe in bella vista e senza ombra di trucco. Dopo aver calcato le spiagge di Baywatch e i red carpet in minigonna e push-up, Pamela ha deciso di sfilare nella versione più autentica di sé stessa. Nessun camouflage chirurgico, nessun tentativo di fermare l’orologio: solo il coraggio di mostrarsi così com’è, senza paura di scalfire l’immagine di sex symbol.

    Tre donne, tre filosofie. Theron che gioca con il fuoco del ritocco, Hilton che si ostina a rimanere adolescente, Anderson che rivendica la libertà di invecchiare senza filtri. L’effetto? Un red carpet che sembra più un laboratorio di esperimenti sul tempo: chi lo congela, chi lo cancella e chi, finalmente, lo abbraccia.

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      Cinema

      Charlie Hunnam, nessun rimpianto per Cinquanta sfumature: «Non era il film per me»

      L’attore di Sons of Anarchy racconta di aver detto no al ruolo di Christian Grey, scelta che ancora oggi non rimpiange. Dakota Johnson lo prende in giro, mentre Jamie Dornan rivela quanto quel sì abbia cambiato la sua carriera.

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      Charlie Hunnam

        Quando nel 2013 venne annunciato che Charlie Hunnam sarebbe stato il protagonista maschile di Cinquanta sfumature di grigio, la notizia fece il giro del mondo. Ma la gioia dei fan durò poco: poche settimane dopo l’attore britannico, star della serie cult Sons of Anarchy, decise di abbandonare il progetto. Un passo indietro che cambiò la storia del franchise e aprì la strada a Jamie Dornan.

        Oggi, a distanza di anni, Hunnam non ha alcun rimpianto. In un’intervista a Variety ha spiegato di aver capito fin da subito che quello non era il film giusto per lui: «In quel momento non ragionavo lucidamente» ha ammesso con ironia, «ma non mi sono mai guardato indietro. Non era una scelta coerente con il percorso che volevo seguire».

        Dakota Johnson: «Non riesco a perdonarlo»

        Se lui non rimpiange nulla, la collega Dakota Johnson non è dello stesso avviso. L’attrice, che con il ruolo di Anastasia Steele ha visto la sua carriera decollare, ha raccontato di aver incontrato Hunnam di recente e di averlo preso più volte in giro per quella decisione. «Mi ha detto che non riesce a perdonarmi» ha scherzato l’attore, sottolineando come la Johnson consideri ancora oggi il suo rifiuto una “perdita” per la saga.

        Jamie Dornan e il peso di un ruolo discusso

        Dopo l’uscita di scena di Hunnam, la parte di Christian Grey andò a Jamie Dornan. L’attore nordirlandese, all’epoca conosciuto soprattutto come modello e interprete televisivo, accolse l’occasione con entusiasmo ma anche con qualche timore. «All’inizio ero sollevato che toccasse a qualcun altro» ha raccontato, «poi, quando il ruolo è arrivato a me, ho capito quanto fosse esposto e difficile».

        La trilogia, tratta dai bestseller di E.L. James, nonostante recensioni negative da parte della critica, si rivelò un successo clamoroso al botteghino, con incassi globali per oltre 1,4 miliardi di dollari. Ma per Dornan il prezzo da pagare non fu leggero: «Ho ricevuto molte critiche e insulti online, ma rifarei tutto. Ogni progetto che ho avuto dopo quei film – da Belfast a Beyond Private – è stato possibile solo grazie alla visibilità e al peso commerciale di quel franchise».

        Due carriere, due visioni opposte

        Se per Dornan Cinquanta sfumature ha rappresentato un trampolino di lancio, per Hunnam la rinuncia è stata la scelta di preservare una carriera diversa, meno legata a un ruolo iconico e polarizzante. «Non era la direzione che volevo prendere» ha ribadito. Oggi l’attore è impegnato in serie e film che confermano la sua versatilità, lontano dall’immagine del miliardario tenebroso creato dalla James.

        La saga di Cinquanta sfumature, pur avendo diviso critica e pubblico, resta uno dei fenomeni cinematografici più redditizi dell’ultimo decennio. E mentre Dakota Johnson continua a prenderlo bonariamente in giro, Charlie Hunnam non sembra avere dubbi: aver detto “no” a Christian Grey è stata, per lui, la decisione giusta.

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          Cinema

          Mel Gibson nei guai per i dazi di Trump sui film girati all’estero: “La Passione di Cristo 2” rischia di affondare

          La misura minaccia Cinecittà e le coproduzioni internazionali. Il regista australiano, già isolato da Hollywood, si è auto-finanziato il film, ma ora potrebbe chiedere a Trump un’esenzione “salvifica”.

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            Donald Trump dichiara guerra al cinema globale. Con un post su Truth Social, il presidente ha annunciato un dazio del 100% su tutti i film girati fuori dagli Stati Uniti. L’obiettivo dichiarato è “riportare la produzione a casa e rilanciare l’industria americana”. Ma la decisione rischia di trasformarsi in un boomerang politico e culturale, colpendo anche i suoi amici più fedeli.

            Tra questi c’è Mel Gibson, da sempre vicino alla destra conservatrice americana. Il regista australiano naturalizzato statunitense è alle prese con La Passione di Cristo – Resurrezione, il sequel del suo kolossal del 2004. Le riprese si svolgono tra Roma, Matera, Israele e il Marocco, e l’imposizione del dazio del 100% potrebbe pesare come un macigno sulla distribuzione americana del film, che già è costato oltre 150 milioni di dollari.

            Gibson, considerato un paria da Hollywood dopo le polemiche sul suo passato, ha deciso di finanziare il progetto con risorse personali. Ma ora il suo destino dipende proprio da quell’amico che più di tutti dice di voler difendere l’arte e la fede. “La nostra industria cinematografica è stata rubata da altri Paesi come rubare caramelle a un bambino”, ha scritto Trump. “Pertanto imporrò un dazio del 100% su tutti i film girati al di fuori degli Stati Uniti. Make America Great Again!”.

            La decisione, se confermata, colpirebbe anche Cinecittà e i grandi set europei, che negli ultimi anni hanno accolto produzioni internazionali. Secondo gli esperti, la tassa renderebbe proibitivi i costi per i film girati in Italia, Francia o Regno Unito, scoraggiando gli investimenti di Hollywood nel Vecchio Continente.

            Non solo Gibson. Anche registi come Christopher Nolan, impegnato nel kolossal Odyssey tra Grecia, Sicilia e Regno Unito, rischiano di vedersi applicare la nuova tariffa. Un provvedimento che, in ultima analisi, finirà per penalizzare gli spettatori, chiamati a pagare prezzi più alti per biglietti e streaming.

            Mel Gibson spera ora in un’esenzione personale: un gesto politico che, nel linguaggio di Trump, potrebbe valere come un miracolo. Nel frattempo, il regista prosegue le riprese tra Gerusalemme e Roma, portando sulle spalle la sua croce più pesante: un film religioso, bloccato dai peccati della politica.

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              Cinema

              Michele Morrone, il divo che si crede Hollywood: da Dolce & Gabbana a Scervino, ma fuori c’erano solo trenta fan

              Dopo aver “scoperto” il circolino del cinema italiano, Michele Morrone ha puntato tutto sulla mondanità delle passerelle. Tra una foto con Meryl Streep e un invito a un evento di cosmesi, però, l’entusiasmo del pubblico non è stato all’altezza delle aspettative.

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                Alla Milano Fashion Week chi si è tirato più delle star di Hollywood? Manco a dirlo, Michele Morrone. L’attore di 365 giorni si è calato nel ruolo di protagonista assoluto, muovendosi tra sfilate e party con l’aria di chi pensa che ogni flash sia lì solo per lui. A partire da Dolce & Gabbana, dove sedeva in prima fila accanto a Stanley Tucci e Meryl Streep, sfoderando lo sguardo intenso e la posa studiata a favore di camera.

                Poi è passato da Ermanno Scervino, stesso copione: sorriso accennato, giacca aperta, occhi socchiusi e quell’atteggiamento da influencer più che da attore. Il pubblico, però, non sembrava particolarmente impressionato. Molti lo hanno riconosciuto, sì, ma pochi si sono fermati a chiedere selfie o autografi.

                Il vero banco di prova è arrivato durante la presentazione di una nuova linea di cosmesi di cui Morrone è testimonial. L’attesa, almeno secondo il suo entourage, doveva essere da red carpet: folla di fan, urla, telefonini alzati. E invece, sorpresa. All’ingresso dell’evento si contavano una trentina di curiosi, per lo più passanti o clienti di un vicino bar attirati dal trambusto.

                Certo, lui ha fatto finta di nulla. È arrivato con passo da star internazionale, giacca chiara e occhiali da sole, dispensando sorrisi come se davanti ci fossero migliaia di persone. Una performance impeccabile, se non fosse per il piccolo dettaglio del pubblico semi-deserto.

                Morrone, che negli ultimi mesi ha cercato di conquistare la scena italiana dopo il successo globale del film Netflix, sembra aver sposato in pieno la filosofia del “vedo, non vedo”: visibilità a ogni costo, anche quando l’eco dei flash è più rumorosa della folla.

                Insomma, la Fashion Week lo ha accolto, ma non proprio incoronato. E se il red carpet resta la sua passerella preferita, forse è arrivato il momento di capire che, per brillare, non basta un completo su misura. Serve anche qualcuno disposto a guardarti.

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