Sport
Camila Giorgi contro tutti in fuga dai debiti
La stanno cercando proprio tutti. Dalla Federazione italiana tennis al Fisco. Di Camila Giorgi tennista di livello internazionale non si hanno più notizie. Chi l’ha vista?

Eh si hai voglia a scrivere post sui suoi social per placare le migliaia di fans. Camila Giorgi, 32 anni, non si trova più. E chi sta cercando di prenderla è lo Stato con la Finanza che le sta ai calcagni. No certo non è una criminale. Ma comunque ci mette del suo per cercare di sottrarsi al Fisco. Il ritiro improvviso di Camila dal tennis c’è stato. Ed è stato un momento shock. Ha sorpreso tutti. Soprattutto per i suoi fans, quelli del tennis. Per gli altri comuni mortali è una gran bella ragazza, che ha giocato a tennis fino all’altro ieri e che se la sta dando a gambe (belle). Il motivo? Forse quello di sottrarre al Fisco un bel gruzzoletto di euro a cui non ha dichiarato nulla. Nessuna conferenza stampa per annunciare l’addio al tennis. Non si trova proprio più.
Sarà a casa di suo padre?
Il silenzio e il mistero fanno crescere le speculazioni per cui i giornali ci vanno a nozze. Nonostante le sue prestazioni altalenanti e la sua tendenza a essere poco costante nei risultati, Camila Giorgi ha dimostrato di possedere un talento innegabile. Lo dimostrano le sue vittorie contro numerose giocatrici di alto livello nel corso della sua carriera. Il suo trionfo a Montreal nel 2021 ha certamente segnato un momento significativo nella sua carriera e nel panorama del tennis italiano.
Il suo record di vittorie contro giocatrici del calibro di Maria Sharapova, Victoria Azarenka, Caroline Wozniacki e molte altre, testimonia la sua capacità di competere al più alto livello. Nella sua carriera ha guadagnato alcuni milioni di dollari (6.414.545 dollari intascati in soli prize money). Anche se il suo stile di gioco aggressivo e orientato all’attacco può aver contribuito alla sua irregolarità nei risultati, ha comunque lasciato un’impronta importante nel tennis italiano e internazionale.
Rispettare comunque la sua decisione
Nonostante il suo ritiro possa essere una sorpresa – comunque il suo nome compare tra i giocatori sul sito dell’Itia (International Tennis Integrity Agency) il 7 maggio scorso senza che si sapesse nulla – è importante rispettare la sua decisione. Nata a Macerata, residente a Calenzano (Fi) la sua carriera ha lasciato un segno indelebile nel mondo dello sport e continuerà ad essere ricordata dagli appassionati di tennis. Diventa a questo punto interessante valutare nei limiti delle notizie disponibili, il rapporto con suo padre, Sergio Giorgi, ex soldato alle Falkland e allenatore senza aver mai giocato. Sergio, un personaggio eccentrico e determinato, ha svolto un ruolo centrale nella vita sportiva di Camila, incoraggiandola fin dall’infanzia a perseguire il successo nel tennis.
Figlie famose e padri morbosi
Il caso della Giorgi ci rimanda al grosso guaio che il padre di Britney Spears ha causato alla cantante internazionale fino a portarla all’esaurimento nervoso, ricoveri e cure. Nel corso della sua carriera il padre Jamie Spears era stato il manager e tutore dell’incredibile patrimonio accumulato in quasi venti anni di attività dall’artista. Una storia travagliata che alla fine ha portato i due in tribunale l’una contro l’altro armati.
Femori forti anima fragile
La narrazione della Giorgi è un’altra. Rivela una serie di sfide e controversie che hanno circondato la sua famiglia inclusi traslochi improvvisi, problemi finanziari e dispute legali. La figura di Sergio emerge come quella di un uomo devoto alla causa della figlia, pur con metodi e ideali che possono risultare controversi agli occhi degli altri. Il suo sostegno è descritto come fondamentale per la carriera di Camila, anche se alcuni dubbi sorgono riguardo alla sua gestione e alle decisioni prese. Tanto che qualcuno avanza l’ipotesi che a scappare sia tutta la famiglia inseguita dal Fisco italiano. Con creditori che reclamano quanto loro dovuto, salvo transare strada facendo ma lasciandosi alle spalle rancori e rabbia.
La loro, in apparenza, è sempre sembrata una famiglia unita da un legame profondo, ma anche segnata da tensioni interne. Camila alla fine appare come una figura complessa, influenzata dalle ambizioni e dalle aspettative del padre. Ma anche desiderosa di affermare la propria identità e indipendenza nel mondo del tennis. La sua vita quindi si intreccia con quella del suo mentore e padre, Sergio, creando un quadro intricato di relazioni familiari, ambizioni sportive e sfide personali. E come ciliegina sulla torta c’è ancora da redimere la questione del green pass. L’udienza preliminare per il coinvolgimento (con rinvio a giudizio) nell’inchiesta della Procura di Vicenza sui falsi green pass che la Giorgi aveva ottenuto è fissata per prossimo 16 luglio.
Giocava a tennis ma non lo seguiva
Una persona eccentrica la Giorgi, provocatrice anche rispetto al tennis. A Wimbledon, nel 2018, raggiunse i quarti di finale. Il miglior risultato in carriera in uno Slam. Alla viglia della sfida con Serena Williams qualche giornalista le chiese cosa sapesse della più forte di tutte, come intendesse provare a batterla? La risposta, che fece il giro del social, fu: “Non seguo il tennis femminile. Non conosco Serena Williams“.
Anche la federazione italiana gioco tennis Fitp la sta cercando da alcune settimane. Non sappiamo come e chi ha gestito il suo patrimonio derivato dai guadagni di anni di point, game, set, match. Quello che è certo è che oltre a qualche breve post sui social dovrebbe avere il coraggio di presentarsi davanti ai microfono e telecamere anche solo per chiarire che cosa le sta succedendo. Tutto qui. Di certo c’è che il rapporto con il padre che lei ha sempre difeso ha portato l’atleta a fare scelte e costringersi a comportamenti inusuali e inaspettati. Improvvise assenze coperti da finti infortuni che forse nascondevano altro che solo loro due potrebbero spiegare. Ma sembra che stiano giocando una battaglia di trincea. Uniti contro tutti. Cosa avranno da nascondere?


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Calcio
Grazie Inter, grazie Barcellona: la notte di San Siro che ha incantato il calcio europeo
Una partita leggendaria, da standing ovation planetario. L’Inter vince 4-3 e vola in finale, dopo due ore di dramma calcistico, emozioni surreali e un gol da centravanti di Acerbi al 93’. Una semifinale che resterà negli annali.

Se il calcio fosse una disciplina olimpica dell’anima, Inter-Barcellona sarebbe la finale dei sogni. Ma a volte i sogni diventano veri, e lo stadio diventa teatro, tempio, arena, incubo e redenzione insieme. Nella notte di San Siro, la Champions League ha vissuto una delle sue partite più belle di sempre, e non sono solo i tifosi interisti a dirlo. Lo dice la BBC, che ha rilanciato le parole di Alan Shearer: “Forse la semifinale più epica della storia”. Lo dice The Telegraph, che ne elenca sei motivi. E lo dice Le Figaro, parlando di “sfida leggendaria”. Il calcio europeo si è fermato per assistere a una battaglia campale, un 4-3 da brividi, il seguito perfetto del 3-3 dell’andata al Camp Nou. Tredici gol in due partite. Tredici lampi che resteranno impressi nella memoria.
E se c’è una richiesta unanime, è questa: UEFA, non fateci aspettare altri 15 anni per rivedere Inter-Barcellona in semifinale. Perché da Mourinho contro Guardiola nel 2010 a Inzaghi contro Xavi oggi, ogni volta che queste due squadre si incrociano in Europa, succede qualcosa che travolge schemi e statistiche. Succede il calcio allo stato puro. Succede la follia.
San Siro, pieno come non mai, ha trattenuto il respiro fino all’ultimo minuto. Al 93′, quando tutto sembrava perduto, è arrivato l’uomo inatteso: Francesco Acerbi, 37 anni, difensore di mestiere, bomber per un attimo. Si è ritrovato in area come un attaccante navigato, ha controllato di destro e ha segnato di sinistro, con l’eleganza di chi non dovrebbe trovarsi lì e invece ci sta benissimo. Un gol da volpe, come lo ha definito L’Équipe, che ha rimandato tutto ai supplementari. Da lì, altri trenta minuti di apnea collettiva, un’altalena emotiva in cui è successo tutto, e il contrario di tutto.
Nel delirio, c’è spazio anche per un paradosso: l’uomo partita è un portiere che ha subito tre gol. Yann Sommer, 35 anni, svizzero, è stato semplicemente magico. Le sue parate su Lamine Yamal al 76’ e al 116’, quella su Eric Garcia al 57’, il riflesso su Raphinha al 119’: interventi da poster. Più che un portiere, un portale antipanico, l’ultimo baluardo in una difesa spesso lasciata scoperta. Eppure Sommer non ha tremato. Ha tenuto. E ha permesso all’Inter di restare viva.
Sul versante opposto, resta il rimpianto di un Barcellona meraviglioso e incompiuto, capace di dominare a tratti, ma punito da un’Inter che si rifiuta di morire. Lamine Yamal, a 16 anni, ha fatto impazzire la fascia, è stato “il divino maranza” come lo ha battezzato qualcuno, ma è uscito con le cuffie rosa in testa e la delusione sulle spalle. Marca titola: “Mancava solo un minuto”, con la foto del prodigio catalano stremato a terra. El Mundo Deportivo saluta con un “Addio epico”, mentre Sport si spacca tra le lacrime e l’orgoglio.
Ma il pathos non ha confini. Persino la CNN parla di “puro dramma”, The Athletic di “sensazionale”, Olé celebra Lautaro Martinez, sempre decisivo nelle notti pesanti. E A Bola, giornale portoghese, azzarda: “Se il calcio fosse esistito nel Cinquecento, questa partita l’avrebbe dipinta Leonardo da Vinci”. Improbabile, forse. Ma quanto ci piacerebbe crederlo.
L’Inter, nel suo spirito più autentico, quello della “pazzia” trasformata in identità, conquista così una finale di Champions che mancava dal 2010, anno dell’ultima cavalcata vincente. Ma questa è un’altra storia, scritta da altri uomini. Quella di oggi è la storia di una squadra che non si arrende mai. Che va sotto. Che pareggia. Che trema. Che segna. Che prende gol. Che si rialza. E che alla fine vince.
E se oggi in Europa si parla dell’Inter come del miglior spot per il calcio, non è solo per il risultato. È per lo spettacolo puro, per il ritmo forsennato, per l’adrenalina collettiva. È per aver riportato tutti a quello stato d’animo primordiale in cui la partita è più grande del torneo, del business, della tattica. Dove conta solo correre, segnare, crederci.
La finale ora aspetta. Ma intanto, una cosa è certa: questa semifinale resterà. Nei ricordi, nei video, nei titoli dei giornali, nei bar di tutta Europa. Perché Inter-Barcellona, 4-3, è stato calcio allo stato selvaggio. E ogni tanto, il calcio deve ricordarsi di essere anche questo.
Sport
Perché la Ferrari è bianca e blu al Gran Premio di Miami: il look inedito che accende la Formula 1
In occasione del GP di Miami, la Ferrari rompe con la tradizione e si presenta in pista con una livrea divisa a metà: davanti Rosso Ferrari, dietro blu e bianco. Non è la prima volta che Maranello sperimenta nuovi colori, ma mai così vistosamente. Una scelta che mescola spettacolo, strategia e un pizzico di nostalgia.

Il Gran Premio di Miami non è solo una tappa del mondiale: è una sfilata, uno show, una celebrazione della Formula 1 in versione americana. E per l’occasione, la Ferrari ha deciso di vestirsi a festa. Ma non con il consueto Rosso Corsa: stavolta sulla SF-25 brillano il bianco e l’azzurro, in una livrea tanto scenografica quanto inedita, che ha già fatto discutere i puristi.



Il frontale resta fedele al DNA della Scuderia, ma la parte posteriore sfuma nel blu e nel bianco, colori che celebrano la partnership con HP, sponsor che festeggia proprio a Miami il suo primo anniversario con Maranello. A presentare la nuova veste, Charles Leclerc, Lewis Hamilton e il Team Principal Fred Vasseur, svelando l’auto in mezzo a una folla festante. Sul telo che la copriva, i messaggi dei tifosi, scritti nell’ambito dell’iniziativa Messages of Forza, quasi a voler caricare di emozione un gesto altamente simbolico.
Ma la Ferrari che cambia colore non è una novità assoluta. Già un anno fa, sempre a Miami, il Cavallino aveva giocato con l’azzurro — nelle sue due sfumature ufficiali: La Plata, più chiaro, e Dino, più intenso — tingendo non solo la monoposto ma anche le tute dei piloti. Un colore che fa parte della tradizione della scuderia, anche se di solito resta in secondo piano dietro al rosso iconico.
E poi c’è il giallo. Il Giallo Modena, tanto caro a Enzo Ferrari, che rimanda alle radici emiliane del marchio e che ogni tanto riappare, soprattutto al GP di Monza, come già accaduto nel 2022 e nel 2023. Non è solo estetica: è un omaggio alla storia. Lo stesso vale per il Rosso Amaranto, scelto nel 2020 per celebrare le 1000 gare in Formula 1 al Mugello, una tonalità che rievocava le prime corse degli anni ’50.
A Las Vegas, nel 2023, la Ferrari aveva scelto una livrea che mescolava rosso e bianco, richiamando gli anni ’70 e ’80 — decenni d’oro per la scuderia negli Stati Uniti. Stavolta, però, a Miami, il salto è più audace: la divisione visiva tra le due metà della vettura è netta, quasi grafica, e si impone sullo sfondo di un evento che è già di per sé una festa dello sfarzo.
Dietro alla scelta, ovviamente, c’è anche la strategia. In un mondo dove immagine, marketing e performance convivono sempre più strettamente, una Ferrari diversa serve a ribadire una presenza forte, a colpire l’occhio e a far parlare. E se Miami è la vetrina perfetta per farlo, perché non sfruttarla fino in fondo?
Ora resta da vedere se questo nuovo look porterà anche fortuna. Perché va bene il colore, va bene lo spettacolo, ma alla fine quello che conta — in pista e fuori — è sempre e solo una cosa: la vittoria. E lì, come sempre, a parlare dovrà essere il cronometro.
Sport
Da Messi a Yamal: il talento è genetico o un’arte tramandata?
Il giovane fenomeno del Barcellona Yamal incanta con dribbling da serpente e un’intelligenza di gioco fuori dal comune. Il paragone con la Pulce è inevitabile, ma la sua evoluzione potrebbe riscrivere le regole del calcio moderno.

A soli 17 anni, Lamine Yamal ha già lasciato un segno indelebile nel calcio mondiale. Il talento del Barcellona, protagonista all’Europeo e in Champions League, incanta. Dribbling fulminei, una visione di gioco straordinaria e un’innata capacità di anticipare il movimento degli avversari. Che vuoi di più da un attaccante. Le sue qualità lo pongono nel solco dei più grandi, ma la sua evoluzione sembra procedere su un binario tutto suo, evitando paragoni scontati con Lionel Messi, il fuoriclasse con cui inevitabilmente viene spesso accostato.
Dribbling da serpente e tocco da artista
Uno degli aspetti più impressionanti del gioco di Yamal è la sua capacità di saltare l’uomo con un’eleganza che sfiora l’impossibile. A differenza di Messi, che sfruttava il suo baricentro basso e l’accelerazione esplosiva, Yamal è longilineo e gioca con movimenti più sinuosi, quasi fluttuanti, simili a quelli di un serpente. La sua falcata ampia gli permette di attraversare le difese, non con la potenza, ma con una leggerezza studiata che disorienta gli avversari. Questo stile di gioco si traduce nella capacità di adattarsi alle situazioni di gioco con un’intelligenza motoria che gli consente di variare movimenti e direzioni con una fluidità eccezionale. Anche il tocco di palla è fuori dal comune. Mancino raffinato, Yamal ha una sensibilità tecnica che gli permette di calibrare il pallone in soluzioni differenti, che vanno dai passaggi rasoterra agli assist millimetrici, fino ai tiri che sfiorano l’incrocio dei pali.
Velocità neurale: il potere di prevedere l’azione di gioco
Se c’è un aspetto che accomuna Yamal e Messi, è la loro straordinaria velocità mentale. Studi scientifici hanno dimostrato che Messi aveva una capacità superiore nel processare le informazioni visive, anticipando i movimenti degli avversari con qualche millisecondo di vantaggio. Yamal sembra possedere una facoltà simile, riuscendo a intuire le intenzioni del difensore, leggendo il gioco con un anticipo quasi innaturale. Si tratta di un’abilità che va oltre la tecnica pura. E’ una capacità neurale, una forma avanzata di comprensione del calcio che gli permette di adeguare il proprio movimento a quello degli avversari, inducendoli spesso a commettere errori. La sua intelligenza nel gioco non si traduce solo in dribbling, ma anche nella costruzione dell’azione: sa quando accelerare, quando rallentare, quando aspettare e quando colpire con precisione chirurgica.
Tiro in porta: precisione e potenza nei momenti chiave
Nonostante la sua giovane età, Yamal ha già dimostrato di avere un senso del gol sviluppato. Il suo tiro combina potenza, precisione e sensibilità, permettendogli di trovare la rete anche nelle situazioni più complesse. Un esempio? Il gol decisivo contro l’Inter in Champions League, quando, accerchiato da cinque avversari, è riuscito a scaricare un tiro perfetto, incastrando il pallone nell’unico spazio disponibile per battere Sommer. Una giocata di puro talento e istinto. Ma il gol non è solo un gesto tecnico: per Yamal, è spesso il punto di svolta. Come nel caso della semifinale di Euro2024 contro la Francia, quando, sotto di un gol, ha ribaltato l’inerzia del match con un tiro magistrale che ha colpito il palo interno, cambiando le sorti della Spagna.
Lamine Yamal: che bellezza, il suo meglio deve ancora venire…
Grazie al cielo il percorso di Yamal è solo all’inizio. A differenza di Messi, che ha impiegato più tempo prima di imporsi nel Barcellona, il giovane talento sta bruciando le tappe con numeri da predestinato: alla sua 100esima partita con il Barça, ha già 22 gol e 31 assist, un bilancio che lo rende il più giovane protagonista della nuova era blaugrana. Ma la cosa più affascinante è che ogni sua fase di sviluppo sembra solo una tappa intermedia, un preludio di ciò che potrebbe diventare. Un giocatore che sta riscrivendo le regole del calcio moderno, con un mix unico di talento, rapidità e visione di gioco.
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