Curiosità
Competizione space-out a Seoul: l’arte di non fare nulla

A Seoul, oltre 100 persone si sono radunate su tappetini da yoga per partecipare a una competizione unica: l’abilità di non fare nulla. La CNN riporta che questo evento è una combinazione di sfida fisica, espressione artistica e tregua dalla frenetica società coreana.
L’evento space-out
La competizione annuale, chiamata Space-out, sfida i partecipanti a rimanere “distratti” per 90 minuti senza addormentarsi, utilizzare il telefono o parlare. Questo evento è nato come risposta alla pressione sociale della Corea del Sud, offrendo un’opportunità per rilassarsi e trovare pace mentale.

Motivazioni dei partecipanti
Kim Seok-hwan, un YouTuber di 26 anni, ha partecipato per alleviare lo stress: “Di solito ho molte preoccupazioni e stress, quindi ho fatto domanda perché pensavo che sarebbe stato fantastico alleviare il mio stress e le mie preoccupazioni rilassandomi nella competizione.”
Monitoraggio e giudizio
Durante l’evento, la frequenza cardiaca dei partecipanti è stata monitorata, e il pubblico ha votato i loro concorrenti preferiti. Il vincitore è stato colui che ha mantenuto la frequenza cardiaca più stabile tra i dieci finalisti.
Partecipazioni di rilievo
Tra i concorrenti c’era Kwak Yoon-gi, due volte medaglia d’argento olimpica nel pattinaggio di velocità, che ha ottenuto il terzo posto. Kwak ha dichiarato: “In 30 anni di allenamento non ho mai avuto un riposo adeguato. Ho sentito che questo è un posto dove puoi liberare la mente e rilassarti almeno per quel tempo, quindi sono venuto qui pensando: ‘Wow, questo è quello di cui ho bisogno.”

Origini e diffusione internazionale
L’evento, giunto al decimo anniversario, è stato fondato dall’artista noto come Woopsyang dopo aver subito un grave esaurimento. “Mi chiedevo perché desiderassi così tanto non fare nulla. Mi sono reso conto che la mia ansia era causata dal confronto con altre persone che conducono una vita frenetica,” ha spiegato l’artista. “Questo concorso ti dice che l’ozio non è una perdita di tempo, ma il tempo di cui hai effettivamente bisogno. La competizione è anche uno spettacolo, con un contrasto visivo tra chi è fermo e chi è in movimento.”
Dal suo inizio a Seoul nel 2014, la competizione Space-out si è diffusa a livello internazionale, con eventi tenuti in città come Pechino, Rotterdam, Taipei, Hong Kong e Tokyo.

Il vincitore del 2024
Quest’anno, il concorso è stato vinto da Kwon So-ah, un’annunciatrice freelance che svolge diversi lavori. Ha ricevuto come premio una scultura di “Il Pensatore” di Auguste Rodin e un certificato speciale. Kwon ha riflettuto sull’importanza del concorso: “La Corea è un paese talmente competitivo che la gente pensa che se non si fa nulla, si rimane un po’ indietro. Ma penso che ognuno dovrebbe avere il proprio ritmo di vita e semplicemente rilassarsi qualche volta. Non fare nulla fa bene alla salute sia mentale che fisica perché il tuo corpo ha bisogno di rilassarsi, e il corpo può rilassarsi solo quando il cervello si rilassa.”
E voi vorreste partecipare a una competizione del genere? Se vi sentite molto stressati, provate la nostra strategia anti-stress dello S.T.O.P.
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Curiosità
Farsi confessare dall’ologramma di Gesù: in Svizzera è possibile
In una chiesa di Lucerna si sta sperimentando un’applicazione dell’AI davvero singolare: un ologramma di Gesù per le confessioni!

Non solo cioccolato, mucche e orologi. In Svizzera ci si può far confessare da un ologramma realizzato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Una proposta che naturalmente divide i fedeli: da una parte chi accoglie con curiosità ed entusiasmo la prospettiva e, dall’altra chi s’indigna, invocando pure la blasfemia.
Consigliere spirituale e confessore
Il dibattito etico imperversa a Lucerna dove una parrocchia ha introdotto un esperimento innovativo con un “Gesù AI”, basato su un ologramma appoggiato all’intelligenza artificiale, in grado di offrire consigli spirituali e accogliere le confessioni dei fedeli. L’AI in questione, battezzata “Deus in Machina” (mai nome più azzeccato), è programmata con informazioni religiose e risponde a domande teologiche, come quelle sulla violenza o sul suicidio assistito.
L’assoluzione 24 ore day & night
Essere ascoltato dal figlio di Dio “in persona” nei propri peccati: non è più un sogno ma una realtà, se non in carne ed ossa, almeno virtuale. L’intelligenza artificiale entra quindi in confessionale nella Peterskapelle, una chiesa cattolica in Svizzera. Qui da qualche giorno è attiva l’installazione artistica sperimentale che consente ai fedeli di conversare con un ologramma celeste, connesso ad un chatbot di Gesù. Una volta sedutasi in confessionale, la persona è accolta da una voce che, da dietro la lastra traforata in metallo, recita: “La pace sia con te”. Non è la voce di un sacerdote né tantomeno di Dio… ma di un’intelligenza artificiale, accessibile 24 ore su 24, in grado di parlare 100 lingue e di rispondere ai quesiti e alle preoccupazioni del singolo in modo personalizzato, con riferimenti biblici e spirituali.
Un modo per stimolare il dibattito fra religione e AI
Molti fedeli sono rimasti sorpresi dalla sua capacità di dispensare consigli, anche se alcuni hanno giustamente sottolineato come le macchine non dispongano della moralità necessaria per la pratica religiosa. Nonostante le critiche, la chiesa considera il progetto come un esperimento per stimolare il dibattito sul ruolo dell’IA nell’ambito religioso.
Rimane una questione da verificare, non certo di poco conto: la penitenza e l’assoluzione impartita da un Gesù digitale… dal punto di vista etico che valore ha?
Curiosità
La famiglia Zammit rifiuta 30 milioni di dollari per la casa
La famiglia Zammit ha rifiutato un’offerta di 30 milioni di dollari per vendere la loro casa a The Ponds, Sydney. La loro decisione diventa un simbolo di resistenza contro l’espansione urbana.

La famiglia Zammit, residente a The Ponds, Sydney, ha fatto notizia rifiutando un’offerta di 30 milioni di dollari per vendere la loro casa. Questa abitazione rappresenta per loro non solo un bene materiale, ma un simbolo di resistenza contro l’espansione urbana. Circondata da un’enorme area commerciale e sviluppi residenziali, la casa dei Zammit è un baluardo contro l’avanzata della cementificazione. Questa decisione ha suscitato ammirazione e riflessione sulla crescente pressione dell’urbanizzazione nelle grandi città.
La storia dietro il rifiuto
Nonostante l’enorme somma offerta, la famiglia Zammit ha scelto di rimanere nella loro casa storica, dimostrando un attaccamento emotivo e culturale al loro luogo di vita. Questa scelta coraggiosa riflette il desiderio di mantenere un legame con le proprie radici e di resistere alla spinta verso la modernizzazione a tutti i costi. La casa, costruita su un terreno di due ettari, è circondata da negozi, ristoranti e complessi residenziali di nuova costruzione, rendendo il rifiuto dei Zammit ancora più significativo.
Un simbolo di resistenza
La decisione della famiglia Zammit è diventata un simbolo di resistenza contro l’espansione urbana eccessiva. In un’epoca in cui molte persone cedono alle offerte lucrative dei costruttori, i Zammit hanno scelto di mantenere la loro casa come testimone del passato e baluardo contro l’invadenza del cemento. Questo rifiuto mette in luce la crescente tensione tra lo sviluppo urbano e la conservazione delle tradizioni e dei legami familiari.
Curiosità
Da Theda Bara a Halloween: così nacque la “vamp”, la donna fatale che seduce e distrugge
Sopracciglia sottili, rossetto scuro e sguardo ipnotico: Theda Bara fu la prima “vamp” della storia. Nel film The She Devil del 1918 divenne il simbolo della donna irresistibile e pericolosa, capace di soggiogare gli uomini con il solo potere dello sguardo. Da lei nacque un termine che ancora oggi indica la femme fatale per eccellenza.

Quando si parla di “vamp”, oggi si pensa a una donna seducente, misteriosa e un po’ pericolosa. Ma pochi sanno che il termine non nasce dal mondo dei vampiri, bensì da quello del cinema muto. A coniarlo, per caso, furono i colleghi di Theda Bara, diva degli anni Dieci, soprannominata sul set “The Vamp”. Da quel nomignolo nacque un mito linguistico e culturale destinato a durare più di un secolo.
Theda Bara — il cui nome d’arte era un anagramma di Arab Death, “morte araba” — fu la prima a incarnare la figura della donna fatale moderna. Nel 1918 interpretò The She Devil, un film oggi perduto ma rimasto nella memoria collettiva come manifesto di una nuova sensualità: oscura, magnetica, libera. Il suo personaggio non era un vampiro nel senso letterale, ma una creatura capace di “succhiare” l’energia degli uomini, dominarli e distruggerli con eleganza e intelligenza.
Make-up pesante, ombretto nero, labbra color sangue, pelle chiarissima: il suo stile definì un’estetica gotica che Hollywood non avrebbe più dimenticato. Negli anni successivi, da Greta Garbo a Marlene Dietrich, fino a Elizabeth Taylor e Angelina Jolie, l’archetipo della “vamp” continuò a evolversi, trasformandosi in simbolo di autonomia e potere femminile.
Theda Bara, all’epoca, era una star planetaria. Il pubblico la vedeva come una figura quasi sovrannaturale, una donna che sfidava i costumi e la morale vittoriana. E anche se la maggior parte dei suoi film è andata perduta, il suo mito sopravvive. Ancora oggi, ad Halloween, migliaia di ragazze americane si ispirano al suo look: capelli corvini, eyeliner drammatico e labbra scarlatte.
Dietro quel termine così breve — “vamp” — si nasconde dunque una rivoluzione culturale: la nascita della donna che seduce senza chiedere permesso. Un’icona nata dal bianco e nero del cinema muto, ma più viva che mai, soprattutto quando la notte si tinge di nero e la seduzione diventa un incantesimo.
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