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Benessere

Conta calorie ed etichette alimentari: com’è difficile la precisione!

L’equazione calorica, spesso citata come il principio fondamentale per perdere o guadagnare peso, sembra offrire una soluzione semplice: se assumi meno calorie di quelle che bruci, dimagrisci; se ne assumi di più, ingrassi. Ma, dietro questa affermazione apparentemente elementare, si nasconde il fattore umano e l’imprecisione delle etichette alimentari

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    Sebbene il bilancio calorico continui ad essere un concetto importante nella gestione del peso, è essenziale considerare una prospettiva più ampia e complessa. Concentrarsi esclusivamente sul conteggio delle calorie può trascurare l’importanza della qualità nutrizionale, del metabolismo individuale, delle condizioni metaboliche nel raggiungimento e nel mantenimento di un peso corporeo sano.

    Il mito delle calorie in uscita e in ingresso
    L’idea che il bilancio calorico sia il fattore dominante nel determinare le variazioni di peso, ha dominato il discorso sulla perdita e sul guadagno di chili per decenni. Ma questa visione riduzionista trascura molteplici variabili che influenzano il metabolismo e la composizione corporea.

    Il ruolo della qualità nutrizionale
    Non tutte le calorie sono create uguali. La qualità nutrizionale degli alimenti gioca un ruolo cruciale nella salute metabolica e nella gestione del peso. Ad esempio, 100 calorie di verdure forniscono un diverso impatto sul metabolismo rispetto a 100 calorie di caramelle. Gli alimenti ricchi di fibre, proteine e grassi sani possono influenzare positivamente la sazietà, il metabolismo e la composizione corporea, anche a parità di apporto calorico.

    Il microbiota
    È l’insieme dei microrganismi che abitano il nostro corpo, principalmente nell’intestino. Questa comunità microbica svolge un ruolo fondamentale nel mantenere l’equilibrio della nostra salute, influenzando processi digestivi, metabolici e immunitari. Una flora intestinale equilibrata è associata a una migliore salute generale, mentre squilibri possono contribuire a una serie di problemi di salute.

    Il conteggio delle calorie è superato e anche sbagliato
    Quando guardiamo le etichette alimentari per ottenere informazioni sui valori nutrizionali di un prodotto, spesso diamo per scontato che i numeri forniti siano precisi e affidabili. Tuttavia, la realtà è che queste informazioni possono essere imprecise, con un margine di errore che può essere sorprendentemente elevato, arrivando fino al 20% per alcuni alimenti. Questo significa che le calorie e altri nutrienti riportati sull’etichetta potrebbero variare significativamente rispetto alla realtà.

    Sottostimare il consumo calorico: il fattore umano
    Studi specifici hanno evidenziato che molte persone possono sottovalutare il proprio apporto calorico giornaliero fino a 500 calorie al giorno. Questo fenomeno può essere attribuito a diversi fattori, tra cui una scarsa consapevolezza delle porzioni, la mancanza di attenzione durante i pasti e l’influenza di fattori esterni che ci spingono a mangiare più di quanto crediamo.

    Oltre il conteggio calorico
    Di fronte a queste evidenze, diventa chiaro che basarsi esclusivamente sul conteggio delle calorie potrebbe non essere sufficiente per gestire in modo efficace la propria alimentazione e il proprio peso. È necessario adottare un approccio che tenga conto di una serie di fattori, tra cui la qualità degli alimenti, le proporzioni di macronutrienti, il modo in cui vengono preparati i cibi e il nostro rapporto emotivo con il cibo.

    Quindi, l’approccio nutrizionale basato esclusivamente sul conteggio delle calorie è obsoleto. La conta calorica risulta imprecisa a causa delle etichette nutrizionali, della nostra percezione distorta e dell’influenza del microbiota. Un approccio nutrizionale sano privilegia una dieta variegata, equilibrata, composta da alimenti di alta qualità e poco processati.

    In un’epoca in cui la nostra comprensione della nutrizione è sempre più approfondita, è chiaro che concentrarsi esclusivamente sulle calorie non è sufficiente per garantire una salute ottimale. È essenziale adottare un approccio più olistico, che tenga conto della qualità degli alimenti, della loro varietà e della loro provenienza. Scegliere alimenti nutrienti e non solo basarsi sul loro valore calorico ci permette di migliorare non solo la nostra salute fisica, ma anche quella mentale e emotiva, promuovendo uno stile di vita sano e sostenibile a lungo termine.

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      Benessere

      Cocktail proteici: vera energia o solo effetto placebo?

      Bevande colorate, shaker e promesse di muscoli tonici: i cocktail proteici sono ormai protagonisti nelle palestre e nei social. Ma funzionano davvero o il loro successo è frutto di suggestione e marketing?

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      Cocktail proteici

        Un fenomeno in crescita tra fitness e lifestyle

        Negli ultimi anni, i cocktail proteici sono diventati un simbolo del benessere moderno. Consumati dopo l’allenamento o come sostitutivi del pasto, promettono di favorire il recupero muscolare, aumentare la massa magra e migliorare le prestazioni sportive. A promuoverli non sono più solo atleti e bodybuilder, ma anche influencer e appassionati di fitness, che li presentano come una soluzione facile per mantenersi in forma.

        Secondo un rapporto pubblicato da Euromonitor International, il mercato globale delle proteine in polvere ha superato i 20 miliardi di dollari nel 2024, trainato da un pubblico sempre più attento alla nutrizione funzionale. Ma dietro il successo commerciale, gli esperti invitano alla cautela: non sempre ciò che è venduto come “super efficiente” ha basi scientifiche solide.

        Cosa contengono davvero i cocktail proteici

        Queste bevande, spesso a base di siero del latte (whey), caseina, soia o pisello, forniscono una dose concentrata di proteine facilmente assimilabili. Ogni porzione ne contiene mediamente dai 20 ai 30 grammi, quantità simile a quella presente in una bistecca o in due uova.

        Le proteine sono essenziali per la crescita e la riparazione dei tessuti muscolari, ma anche per la produzione di enzimi e ormoni. Tuttavia, come sottolineano i nutrizionisti, la maggior parte delle persone che segue un’alimentazione equilibrata assume già abbastanza proteine attraverso i cibi.

        “Solo chi pratica attività fisica intensa o ha un fabbisogno aumentato può trarne reale beneficio”, spiega la dottoressa Chiara Ricci, biologa nutrizionista e docente di scienze dell’alimentazione. “Ma per chi fa sport in modo amatoriale, un pasto completo post-allenamento è spesso sufficiente per coprire il fabbisogno proteico.”

        L’effetto placebo del “drink della performance”

        Parte del successo dei cocktail proteici potrebbe derivare dall’effetto placebo. Numerosi studi di psicologia dello sport mostrano che l’aspettativa di miglioramento può influire davvero sulle prestazioni fisiche.

        Un esperimento pubblicato sul Journal of Strength and Conditioning Research ha rivelato che atleti convinti di assumere una bevanda proteica (ma che in realtà conteneva solo carboidrati) avevano percepito meno fatica e ottenuto risultati migliori. “L’effetto placebo agisce attraverso la motivazione e la percezione dello sforzo”, chiarisce la dottoressa Ricci. “Quando crediamo che qualcosa ci farà rendere di più, il cervello attiva circuiti di ricompensa che migliorano la performance.”

        Questo non significa che le proteine non servano, ma che spesso la loro efficacia è sopravvalutata rispetto all’effetto psicologico e al contesto generale dello stile di vita.

        Quando servono davvero

        Le proteine in polvere possono essere utili in alcuni casi specifici:

        • atleti agonisti con fabbisogni elevati;
        • persone anziane, che tendono a perdere massa muscolare (sarcopenia);
        • vegetariani e vegani, che possono avere difficoltà a coprire il fabbisogno proteico solo con gli alimenti.

        Tuttavia, è importante non eccedere. Un consumo eccessivo di proteine può sovraccaricare i reni e il fegato, oltre a favorire la disidratazione. La World Health Organization raccomanda un apporto giornaliero di circa 0,8 grammi di proteine per chilo di peso corporeo per gli adulti sedentari, che può salire a 1,2–1,7 grammi per chi pratica sport intensi.

        Attenzione a zuccheri e additivi nascosti

        Molti prodotti commerciali contengono dolcificanti artificiali, aromi, coloranti e zuccheri aggiunti. “Bisogna leggere bene le etichette: alcune bevande contengono più zucchero che proteine”, avverte la nutrizionista. È quindi fondamentale scegliere prodotti di qualità, preferibilmente con certificazioni di purezza e senza additivi superflui.

        I cocktail proteici non sono una truffa, ma neppure una bacchetta magica. Possono essere un supporto pratico per chi ha esigenze specifiche, ma non sostituiscono una dieta varia, il riposo e un allenamento regolare.

        La vera forza, come spesso accade, sta nell’equilibrio: le proteine in polvere possono essere utili, ma la loro efficacia dipende da come, quando e perché vengono utilizzate. E se il drink dopo la palestra ci fa sentire più forti, forse è anche merito della mente — non solo del misurino.

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          Benessere

          Formaggi e intolleranza al lattosio: cosa si può davvero mangiare

          La stagionatura riduce naturalmente il lattosio, rendendo molti formaggi adatti a chi ha difficoltà a digerirlo. Ecco quali scegliere, cosa evitare e perché.

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          Formaggi e intolleranza al lattosio

            Per molte persone scoprire di essere intolleranti al lattosio significa eliminare latte e derivati in blocco. Ma non sempre è necessario. L’intolleranza, dovuta a una ridotta produzione dell’enzima lattasi, provoca disturbi gastrointestinali solo quando la quantità di lattosio supera la soglia tollerata dal singolo individuo. E la buona notizia è che alcuni formaggi, grazie ai processi di produzione e stagionatura, contengono quantità molto basse di zucchero del latte, spesso inferiori allo 0,1%.

            Perché alcuni formaggi sono naturalmente “lactose free”

            Durante la trasformazione del latte in formaggio, i batteri lattici presenti negli starter consumano il lattosio come fonte di energia, trasformandolo in acido lattico. Più lunga è la stagionatura, più completo è questo processo. È per questo che i formaggi a pasta dura e molto stagionati sono generalmente sicuri per la maggior parte degli intolleranti.

            Non si tratta di prodotti artificialmente modificati: è il metabolismo naturale dei microrganismi a far scomparire quasi del tutto il lattosio.

            I formaggi che si possono mangiare senza problemi

            Gli enti di ricerca alimentare e le associazioni internazionali dedicate alle intolleranze concordano: molti formaggi stagionati contengono tracce trascurabili di lattosio. Tra i più indicati:

            • Parmigiano Reggiano: dopo 12 mesi di stagionatura il lattosio è assente; i consorzi garantiscono ufficialmente che il prodotto è naturalmente privo di lattosio già dal nono mese.
            • Grana Padano: anche qui il lattosio viene completamente metabolizzato dai batteri durante la maturazione; il formaggio stagionato oltre 12 mesi è considerato sicuro.
            • Pecorino stagionato: le versioni oltre i 6-8 mesi hanno contenuti di lattosio praticamente nulli.
            • Gorgonzola piccante e altri erborinati maturi: la lunga fermentazione riduce drasticamente il lattosio.
            • Provolone stagionato: più è vecchio, meno lattosio contiene.
            • Emmental, Gruyère, Comté: tutti caratterizzati da lunghi tempi di stagionatura.
            • Cheddar stagionato: nelle versioni mature il lattosio è molto basso.

            Tutti questi formaggi sono normalmente tollerati dalla maggior parte dei soggetti intolleranti, poiché il contenuto di lattosio è inferiore allo 0,1%—quantità che rientra nella soglia “lactose free” riconosciuta a livello europeo.

            E quelli da evitare?

            I formaggi freschi o a breve stagionatura mantengono una quota più elevata di lattosio. Tra quelli più problematici:

            • Mozzarella (soprattutto vaccina): contiene lattosio residuo, anche se in quantità moderate.
            • Ricotta: non è un formaggio in senso stretto ma un latticino ottenuto dal siero, più ricco di lattosio.
            • Mascarpone: molto ricco di lattosio.
            • Fiocchi di latte e formaggi spalmabili: crema di formaggi freschi dove il lattosio è presente in quantità rilevanti.
            • Stracchino, crescenza, robiola fresca: la stagionatura brevissima non permette ai batteri di consumare il lattosio.

            Per chi è molto sensibile, esistono comunque versioni delattosate di quasi tutti i prodotti, ottenute tramite aggiunta di lattasi o processi enzimatici specifici.

            Il consiglio degli esperti: ascoltare la propria soglia

            L’intolleranza al lattosio non è uguale per tutti. Alcune persone digeriscono bene piccole quantità, altre devono evitarlo quasi del tutto. Le linee guida dei nutrizionisti suggeriscono di:

            • introdurre i formaggi stagionati gradualmente;
            • osservare la risposta del proprio organismo;
            • preferire piccole porzioni distribuite nella giornata;
            • evitare di consumare più prodotti freschi nello stesso pasto.

            Un’alimentazione più varia, senza rinunce

            Sapere che molti formaggi sono naturalmente privi di lattosio significa poter tornare a gustarli senza timori. La soluzione sta nell’informarsi, leggere le etichette e conoscere le differenze tra un prodotto fresco e uno stagionato.

            Per chi convive con l’intolleranza, è una libertà in più a tavola: un modo per non rinunciare al gusto, rispettando allo stesso tempo il proprio benessere.

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              Insonnia, l’alleato silenzioso: mindfulness e meditazione per addormentarsi meglio

              Gli studi mostrano che la meditazione riduce stress, ansia e iperattività mentale, tra le principali cause dei disturbi del sonno. Ecco come applicarla a casa con esercizi semplici e sicuri.

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              Insonnia, l’alleato silenzioso: mindfulness e meditazione per addormentarsi meglio

                Difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni, pensieri che corrono come un treno in piena notte: l’insonnia è un problema in aumento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi un terzo degli adulti sperimenta disturbi del sonno significativi almeno una volta nella vita. In Italia, le stime parlano di uno su cinque con insonnia cronica o ricorrente. A risentirne non è solo l’energia al mattino: dormire poco indebolisce memoria, umore, capacità di concentrazione e persino il sistema immunitario.

                Non sorprende, quindi, che si cerchino soluzioni non farmacologiche, soprattutto quando lo stress è il motore principale del problema. Tra queste, la mindfulness — una forma di meditazione basata sulla consapevolezza del momento presente — sta dimostrando efficacia clinica crescente. Studi pubblicati su riviste come JAMA Internal Medicine e Sleep hanno rilevato che programmi di Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) migliorano la qualità del sonno in persone con insonnia lieve o moderata, riducendo i sintomi dell’ansia e diminuendo la latenza dell’addormentamento.

                Perché funziona

                Il meccanismo è semplice nella teoria, meno nella pratica: la mindfulness smonta l’iperattivazione mentale, la stessa che porta a girarsi nel letto per ore.
                Quando si medita, il sistema nervoso riduce l’attività della risposta “lotta o fuggi” e aumenta quella del sistema parasimpatico, collegato al rilassamento. Si abbassano i livelli di cortisolo e rallenta il flusso dei pensieri intrusivi, quelli che iniziano con “domani devo…”.

                Non si tratta di “spegnere” il cervello, ma di spostare l’attenzione: dal rimuginio al respiro, dalle preoccupazioni alle sensazioni del corpo, dal futuro al presente.

                Le tecniche da provare subito

                Ecco alcuni esercizi semplici da fare a casa, senza attrezzature e senza competenze particolari:

                1) Respirazione 4-4-6

                Indicata per rallentare il battito e sciogliere la tensione.

                • inspira dal naso per 4 secondi
                • trattieni l’aria 4 secondi
                • espira lentamente 6 secondi
                  Ripetere 4-6 volte.

                2) Body scan

                Distesi, occhi chiusi: si passa mentalmente una “torcia” su ogni parte del corpo, dai piedi alla testa.
                Osserva tensioni e lascia andare senza giudizio.
                Utile per spegnere la ruminazione mentale.

                3) Mindfulness dei suoni

                Attenzione ai rumori circostanti: respiro, silenzio, rumore lontano.
                Accettarli invece di combatterli aiuta a ridurre la reattività allo stress.

                4) Il pensiero-ancora

                Quando arriva un pensiero molesto (“E se domani…?”), invece di inseguirlo:

                • riconoscilo
                • etichettalo: «Ecco un pensiero di preoccupazione»
                • torna al respiro
                  È un metodo clinicamente validato per gestire l’ansia notturna.

                Quando praticarla

                La mindfulness non agisce come un interruttore immediato, ma come una palestra mentale: più si allena il cervello, più si abitua a rilassarsi. Bastano 10-15 minuti al giorno, meglio se la sera, in un rituale privo di schermi e luci forti.

                Consigli pratici:

                • Smartphone lontano dal letto
                • Luci calde e ambiente fresco
                • Niente notifiche o contenuti stimolanti prima di dormire
                • Routine regolare: stesso orario per addormentarsi e svegliarsi

                Una cura senza controindicazioni

                Mentre i farmaci per dormire possono generare dipendenza o tolleranza, la mindfulness non ha effetti collaterali rilevanti ed è raccomandata da specialisti del sonno come supporto alle terapie tradizionali. In molti casi, può essere il primo passo prima di ricorrere a cure farmacologiche.

                Quando il disturbo persiste per settimane, però, è importante chiedere aiuto a un medico o a uno specialista del sonno: insonnia, ansia e depressione sono strettamente correlate e non vanno sottovalutate.

                Dormire bene è un’abitudine

                Ascoltare il proprio corpo, imparare a fare spazio alla calma, riconoscere che spegnere il mondo esterno è possibile: sono piccoli gesti che, ripetuti ogni sera, trasformano il sonno da nemico a complice.

                L’insonnia non è una colpa né una condanna.
                È un segnale — e la consapevolezza può diventare la via per spegnerlo dolcemente.

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