Benessere
Esaurimento nervoso: cinque passi per ritrovare equilibrio e serenità
L’esaurimento nervoso non è una semplice stanchezza, ma una condizione complessa che può derivare da stress prolungato, ansia, traumi o periodi di forte pressione emotiva. Non è inserito come diagnosi ufficiale nei manuali medici, ma il termine viene usato per descrivere un insieme di sintomi che richiedono attenzione e cura.
Negli ultimi anni psicologi e medici hanno osservato un aumento significativo dei casi di persone che si rivolgono agli specialisti con segnali riconducibili a quello che comunemente viene definito “esaurimento nervoso”: insonnia, difficoltà di concentrazione, irritabilità, calo di energia, ma anche sintomi fisici come mal di testa, tensioni muscolari e disturbi digestivi.
Se non trattata, questa condizione rischia di compromettere la qualità della vita e le relazioni personali. Ecco quindi cinque passi fondamentali per iniziare a riprendersi.
1. Riconoscere i segnali
Il punto di partenza è ammettere che qualcosa non va. Spesso si tende a ignorare i campanelli d’allarme, attribuendo i sintomi alla semplice stanchezza. Accettare di avere bisogno di aiuto è invece un atto di forza, non di debolezza.
2. Chiedere supporto professionale
Parlare con uno psicologo, uno psichiatra o un counselor permette di comprendere le cause profonde del malessere. In alcuni casi, lo specialista può consigliare anche un supporto farmacologico, da valutare insieme al percorso di psicoterapia. L’autogestione dei sintomi senza supervisione medica è sconsigliata.
3. Ritrovare il contatto con il corpo
Il benessere mentale passa anche attraverso quello fisico. Attività leggere come camminare, praticare yoga o fare esercizi di respirazione possono aiutare a ridurre lo stress e a regolare il sistema nervoso. Anche una corretta alimentazione e un sonno regolare giocano un ruolo chiave.
4. Ridefinire le priorità
Spesso l’esaurimento deriva da un carico eccessivo di responsabilità. Imparare a dire di no, stabilire limiti chiari e concedersi pause è fondamentale. Non si tratta di egoismo, ma di un passo necessario per preservare la propria salute.
5. Coltivare attività rigeneranti
Leggere, ascoltare musica, dipingere, passare del tempo nella natura: ogni persona può trovare la propria “valvola di sfogo”. Dedicare tempo a ciò che fa stare bene riduce l’ansia e favorisce un recupero emotivo.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i disturbi legati allo stress sono tra le principali cause di assenteismo dal lavoro e impattano fortemente sulla qualità della vita. Ecco perché parlarne senza tabù è essenziale.
L’esaurimento nervoso non si supera dall’oggi al domani, ma con un percorso graduale fatto di consapevolezza, supporto e piccoli gesti quotidiani. Recuperare non significa tornare come prima, bensì costruire un equilibrio nuovo e più sano.
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Benessere
Caffè, il segreto della longevità è nella tazzina giusta
Non solo una coccola quotidiana o un rito sociale: bere da una a tre tazzine di caffè al giorno — meglio se senza zuccheri o panna — può ridurre il rischio di mortalità. A rivelarlo è una ricerca americana che mette d’accordo gusto e benessere.
Il rituale più amato dagli italiani
Per molti, la giornata comincia solo dopo il primo caffè. Un gesto semplice, quasi automatico, che accompagna il risveglio, la pausa di metà mattina o la fine di un pasto. In Italia, secondo i dati dell’Istituto Espresso Italiano, oltre il 95% della popolazione adulta consuma caffè regolarmente. Ma questa abitudine non è solo una questione di gusto o convivialità: diversi studi dimostrano che può avere effetti positivi anche sulla salute e sulla longevità — a patto di non esagerare.
Bere caffè per vivere più a lungo
Una recente ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine ha analizzato i dati di oltre 46.000 adulti statunitensi monitorati per quasi dieci anni. Gli studiosi hanno confrontato le abitudini legate al consumo di caffè — con o senza zucchero, decaffeinato, al latte o amaro — con i dati del National Death Index, scoprendo che chi beveva da una a tre tazze di caffè al giorno aveva un rischio di mortalità inferiore del 14% rispetto a chi non ne beveva affatto.
I risultati sono stati ancora più significativi tra coloro che preferivano il caffè nero, privo di zuccheri o panna. Secondo il neurologo e nutrizionista David Perlmutter, membro dell’American College of Nutrition, “una moderata assunzione di caffè si associa a una maggiore longevità, grazie al suo effetto protettivo su cuore e cervello”.
Perché il caffè fa bene
Il caffè è una fonte naturale di antiossidanti, come polifenoli e acido clorogenico, che contrastano i radicali liberi e riducono l’infiammazione. Diverse ricerche — tra cui una condotta dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health — hanno evidenziato come un consumo regolare e moderato possa contribuire a ridurre il rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e declino cognitivo.
La caffeina, inoltre, stimola il metabolismo e migliora la vigilanza e la concentrazione. Ma non è solo la sostanza eccitante a fare la differenza: anche le versioni decaffeinate mantengono parte degli effetti benefici, grazie alla presenza degli stessi composti bioattivi.
Quando il caffè diventa troppo
Come ogni abitudine, anche quella del caffè ha un limite. Superare le 4-5 tazzine al giorno può provocare effetti indesiderati: ansia, tachicardia, insonnia, problemi digestivi e aumento della pressione arteriosa.
La dietista e cardiologa Michelle Routhenstein, intervistata da Everyday Health, sottolinea che un eccesso di caffeina può interferire con l’assorbimento del calcio, con possibili ripercussioni sulla salute delle ossa, soprattutto nelle donne.
Inoltre, zucchero, panna o aromi industriali aggiunti possono annullare gran parte dei benefici del caffè. Un espresso semplice o un filtro amaro restano quindi le opzioni migliori.
Il “coprifuoco del caffè”
Per godere dei vantaggi del caffè senza subirne gli effetti collaterali, gli esperti consigliano di non superare le tre tazzine al giorno, evitando di berlo nelle ore serali. “Serve una sorta di coprifuoco del caffè”, suggerisce Perlmutter, “cioè un limite orario oltre il quale smettere di assumerlo per non compromettere il sonno e ridurre l’accumulo di caffeina nel sangue”.
Un’altra buona abitudine è alternare il caffè tradizionale con versioni decaffeinate o a basso contenuto di caffeina, così da mantenere il piacere del rito senza eccedere.
La tazzina della salute
In sintesi, bere caffè può davvero contribuire a vivere meglio e più a lungo, ma solo se consumato in modo consapevole. Una tazza amara, gustata senza zucchero e con moderazione, rappresenta il compromesso perfetto tra benessere e piacere quotidiano.
Come ricorda l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), l’apporto massimo raccomandato di caffeina per un adulto sano è di circa 400 mg al giorno, equivalenti a 3-4 caffè espresso. Oltre quella soglia, i rischi superano i benefici.
Il segreto della longevità, dunque, potrebbe stare proprio lì — in quella piccola tazzina nera che, ogni mattina, segna l’inizio di una nuova giornata.
Benessere
Mangiare per calmare lo stress: gli alimenti che aiutano a ridurre il cortisolo
Alcuni cibi – dal cioccolato fondente all’avena – possono aiutare a riequilibrare i livelli ormonali e favorire il rilassamento in modo naturale.
In un mondo che corre, anche il nostro corpo accelera. Lo stress cronico è ormai una condizione diffusa e spesso silenziosa, capace di influenzare non solo l’umore, ma anche la salute fisica. A farne le spese è soprattutto il cortisolo, l’ormone prodotto dalle ghiandole surrenali che, in condizioni normali, ci aiuta a reagire alle situazioni di emergenza.
Quando però rimane alto per troppo tempo, il cortisolo diventa un nemico: aumenta la pressione arteriosa, favorisce l’accumulo di grasso addominale, altera il sonno e indebolisce il sistema immunitario.
La buona notizia? Anche la tavola può diventare un’alleata per riequilibrare questo ormone.
Come il cibo influisce sul cortisolo
Secondo l’Harvard Medical School, ciò che mangiamo può modulare la risposta del corpo allo stress. Una dieta ricca di alimenti integrali, fibre, vitamine del gruppo B e magnesio aiuta a tenere stabile la glicemia, prevenendo i picchi che stimolano la produzione di cortisolo.
Il meccanismo è semplice: quando il cervello percepisce uno “stress metabolico” – come la fame o un calo improvviso di zuccheri – attiva il rilascio dell’ormone per compensare.
“Un’alimentazione regolare e bilanciata è il primo passo per ridurre il carico di stress fisiologico”, spiega la nutrizionista Francesca Branca, direttrice del Dipartimento Nutrizione dell’OMS. “Il corpo riconosce la stabilità come sicurezza, e questo si riflette anche sui livelli ormonali”.
Gli alimenti amici dell’equilibrio ormonale
Diversi studi confermano che alcuni alimenti hanno proprietà benefiche nel controllo del cortisolo:
- Cioccolato fondente (almeno 70%) – Contiene flavonoidi e magnesio, minerali che riducono la tensione e migliorano l’umore stimolando la serotonina. Una piccola porzione al giorno può aiutare ad abbassare i livelli di stress percepito.
- Avena e cereali integrali – Ricchi di fibre solubili e vitamine del gruppo B, stabilizzano la glicemia e favoriscono il rilascio graduale di energia.
- Frutta secca e semi – Mandorle, noci e semi di zucca contengono magnesio e acidi grassi omega-3, utili per il sistema nervoso e per la riduzione dei processi infiammatori legati allo stress cronico.
- Pesce azzurro – Tonno, sgombro e salmone sono fonti naturali di omega-3, che riducono la produzione di cortisolo e migliorano la capacità di gestione dello stress mentale.
- Tè verde e tisane rilassanti – Il tè verde contiene teanina, un amminoacido che favorisce la concentrazione senza causare agitazione, mentre infusi di camomilla, melissa e valeriana aiutano a calmare il sistema nervoso.
- Verdure a foglia verde – Spinaci, bietole e cavoli sono ricchi di magnesio e antiossidanti. Studi pubblicati sul Journal of the American College of Nutrition mostrano come un adeguato apporto di magnesio sia associato a una riduzione dei livelli di cortisolo nel sangue.
- Yogurt e kefir – I probiotici favoriscono l’equilibrio del microbiota intestinale, che a sua volta comunica con il cervello attraverso l’asse intestino-cervello, riducendo ansia e stress.
I cibi da limitare
Allo stesso modo, ci sono alimenti che favoriscono l’aumento del cortisolo: zuccheri raffinati, snack industriali, caffeina in eccesso e alcol. Questi stimolano il rilascio di adrenalina e cortisolo, creando un circolo vizioso che peggiora la tensione e l’insonnia.
Ridurre questi elementi non significa privarsi di tutto, ma imparare a consumarli con equilibrio.
Lo stile di vita conta più della dieta
La gestione del cortisolo non passa solo dal piatto. Dormire almeno 7 ore per notte, praticare attività fisica moderata e respirare consapevolmente sono abitudini che aiutano a mantenere costanti i livelli ormonali.
“La combinazione di movimento, nutrizione e rilassamento è la chiave per il benessere duraturo”, afferma la Mayo Clinic, che raccomanda di inserire nella routine quotidiana brevi momenti di pausa mentale, anche solo cinque minuti di respirazione profonda o stretching.
Non esistono supercibi in grado di cancellare lo stress, ma un’alimentazione equilibrata e consapevole può fare la differenza.
Integrare nella dieta alimenti naturali, ricchi di nutrienti e poveri di zuccheri raffinati, aiuta non solo a ridurre il cortisolo, ma anche a migliorare la qualità del sonno, la concentrazione e il tono dell’umore.
In altre parole, mangiare bene non serve solo a nutrire il corpo, ma anche a calmare la mente.
Benessere
La felicità non è uguale per tutti: cosa dice la scienza su emozioni e salute
Nuove ricerche mostrano che i benefici biologici della felicità dipendono da genetica, cultura e condizioni sociali. E che cercare la gioia a tutti i costi può, paradossalmente, farci stare peggio.
Per decenni la scienza ha sostenuto che un atteggiamento positivo sia la chiave per vivere più a lungo e ammalarsi di meno. “La felicità fa bene al cuore”, si ripete spesso — e, in parte, è vero. Numerosi studi psicologici e biologici hanno mostrato che lo stato emotivo influenza il sistema immunitario, l’infiammazione e perfino il metabolismo. Tuttavia, le ricerche più recenti raccontano una realtà più sfumata: la felicità non produce gli stessi effetti su tutti.
Ci sono persone per cui il benessere emotivo si traduce in salute fisica misurabile — meno infiammazione, pressione più bassa, maggiore longevità — e altre per cui l’effetto è quasi nullo.
Quando il corpo “sente” la felicità
Il legame tra emozioni positive e salute è stato osservato in numerosi studi. Quando ci sentiamo felici, il cervello rilascia dopamina, endorfine e ossitocina: sostanze che riducono lo stress, abbassano la pressione sanguigna e potenziano le difese immunitarie. Questi ormoni agiscono come modulatori naturali dell’equilibrio psicofisico.
Ma non tutti li producono o li “ricevono” allo stesso modo. La risposta del corpo a questi neurotrasmettitori varia a seconda della genetica, dell’età e dell’accumulo di stress cronico. “L’effetto biologico della felicità è reale, ma individuale,” spiegano i ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health, che hanno recentemente analizzato oltre 200 studi sul tema.
Il ruolo dei geni e del temperamento
Parte della nostra “sensibilità alla felicità” è scritta nel DNA. Alcune varianti genetiche influenzano il modo in cui il cervello elabora dopamina e serotonina, modificando la risposta allo stress. In pratica, due persone che vivono la stessa esperienza positiva possono reagire in modo diverso: una si sentirà rigenerata, l’altra noterà solo un miglioramento temporaneo.
Questa variabilità spiega anche perché la cosiddetta psicologia positiva — il ramo che studia le emozioni benefiche — produca risultati tanto disomogenei: ciò che funziona per uno può non funzionare per un altro.
Felicità: questione di cultura (e di società)
La definizione stessa di felicità cambia nel mondo. Nelle società occidentali è spesso legata a successo, autonomia e realizzazione personale; in quelle orientali, invece, a armonia sociale e appartenenza al gruppo.
Gli studi comparativi, pubblicati sul Journal of Cross-Cultural Psychology, mostrano che nelle culture collettiviste la felicità genera effetti fisici più stabili — minor incidenza di depressione e disturbi cardiovascolari — perché è vissuta come parte di un equilibrio condiviso. Al contrario, nei contesti individualisti la ricerca della felicità tende a essere più fragile e dipendente da risultati o status personali.
Quando voler essere felici diventa stressante
Può sembrare paradossale, ma l’ossessione per la felicità può minare la salute mentale. Psicologi come Iris Mauss, dell’Università della California, parlano di “tirannia della felicità”: la pressione sociale a essere sempre positivi genera senso di colpa quando si provano emozioni negative. Questo porta a frustrazione cronica, stress e insonnia — proprio l’opposto dell’effetto sperato
La felicità che protegge davvero
Non tutte le felicità sono uguali. Gli esperti distinguono tra felicità edonica, legata al piacere momentaneo, e felicità eudaimonica, radicata nel significato e nei valori personali. Solo quest’ultima sembra avere effetti duraturi sulla salute: chi percepisce la propria vita come utile e coerente con i propri ideali mostra livelli più bassi di infiammazione e una maggiore resilienza allo stress.
“Il benessere autentico non dipende dal divertimento, ma dal senso,” sintetizza la psicologa Barbara Fredrickson, tra le maggiori studiose del tema.
Un privilegio (non per tutti)
Gli effetti positivi della felicità, inoltre, non sono uguali in tutti i contesti. Le persone che vivono in situazioni di precarietà economica o discriminazione cronica non riescono a trasformare la gioia in salute. Lo stress continuo, spiegano gli esperti di The Lancet Public Health, può neutralizzare i benefici fisiologici delle emozioni positive. È ciò che oggi viene definito “disuguaglianza del benessere”.
La lezione della scienza
La felicità, dunque, non è una formula universale, ma un equilibrio dinamico tra mente, corpo e contesto. Coltivare relazioni sincere, praticare gratitudine e accettare anche la tristezza come parte naturale della vita sembra più salutare di qualunque “positività forzata”.
Essere felici non significa non soffrire mai, ma imparare a dare senso anche ai momenti difficili. È lì, dicono gli scienziati, che la felicità diventa davvero una forza che guarisce.
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