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Salute

Ti sei tuffato con troppa foga? Ecco perché l’acqua nelle orecchie rovina l’estate (e come liberarsene in un lampo)

Quando l’acqua resta intrappolata nell’orecchio dopo un bagno in piscina o al mare, può trasformare una giornata di relax in un incubo ovattato. Scopri perché accade, come evitarlo e soprattutto i rimedi più rapidi e sicuri per farla uscire. Anche quelli più strani, che però funzionano davvero.

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Ti sei tuffato con troppa foga? Ecco perché l’acqua nelle orecchie rovina l’estate (e come liberarsene in un lampo)

    Estate. Sole, mare, tuffi e… un fastidioso gluck nell’orecchio che non se ne va. Sì, stiamo parlando dell’acqua intrappolata nel condotto uditivo: uno dei tormentoni estivi più insospettabili. Hai presente quella sensazione ovattata, tipo quando parli e ti senti “rimbombare dentro”? Ecco, è proprio quella. E spesso, più tenti di liberartene, più sembra attaccarsi peggio di una hit reggaeton passata in loop.

    Ma perché succede? Il problema è che l’acqua, entrando con troppa pressione o in certe angolazioni (ciao tuffi acrobatici!), può restare intrappolata nel canale uditivo esterno, magari “sigillata” da un tappo di cerume. Già, perché il cerume – che normalmente protegge l’orecchio – in certi casi si compatta e fa da barriera. Il risultato? Un micro-acquario personale che può diventare un paradiso per batteri e lieviti. Ed è così che nasce l’otite estiva, detta anche “otite del nuotatore”.

    Attenzione però: non serve nuotare come un delfino per beccarsela. A volte basta una doccia distratta o una nuotata coi bambini. E chi è più soggetto? Chi ha condotti più stretti, tappi di cerume frequenti o usa spesso i cotton fioc (che, spoiler, spingono il cerume ancora più in fondo).

    Ma passiamo al sodo: come liberarsi dell’acqua nelle orecchie?

    Primo rimedio: la testata alla gravità. Inclina la testa dal lato dell’orecchio tappato, salta su un piede solo e dai qualche colpetto con la mano aperta. Sembra una danza tribale? Forse. Ma funziona.
    Secondo metodo: il sottovuoto casalingo. Tira il lobo verso il basso mentre tappi e stappi l’orecchio con il palmo: l’effetto ventosa può far uscire l’acqua intrappolata.
    Terzo, per i più pazienti: il phon a distanza, con aria tiepida e a bassa potenza. Sempre muovendo l’orecchio per favorire l’evaporazione.
    E poi ci sono i trucchi da nonna tech: una goccia di alcol borico o aceto bianco (se l’orecchio non è già irritato) può aiutare a disinfettare e ad asciugare.
    Cosa non fare mai: infilare cotton fioc, forcine, dita o chiavi della macchina. L’orecchio non è un borsello.

    Se però il fastidio dura più di 48 ore, o arriva dolore, febbre o secrezioni, niente fai-da-te: è ora di farsi vedere da un medico.

    Intanto, per prevenire: usa tappi appositi per il nuoto, asciuga bene le orecchie dopo ogni bagno e… sì, anche limitare i tuffi a bomba può aiutare.

    Perché tuffarsi è bello, ma farlo senza restarci “a mollo dentro” è ancora meglio.

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      Salute

      Fare il bagno dopo mangiato: servono davvero tre ore di attesa? La verità dietro il mito della nonna

      Per decenni ci hanno detto che entrare in acqua dopo pranzo è pericoloso. Ma cosa dice davvero la scienza? Quanto bisogna aspettare?

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        Dal panino in spiaggia alla grigliata al lago, il tormentone estivo è sempre lo stesso: “Hai mangiato? Allora niente bagno per tre ore”. Un consiglio che le nonne davano con convinzione, ma che oggi la medicina mette in discussione. Scopriamo perché non è poi così pericoloso tuffarsi subito dopo aver mangiato.


        Un mito tramandato di generazione in generazione

        Chi non ha mai sentito, almeno una volta, la fatidica frase: “Devi aspettare tre ore prima di fare il bagno, altrimenti ti viene una congestione”? Le nonne lo dicevano con tono perentorio, e guai a disobbedire. Ma da dove nasce questa convinzione? L’idea è che durante la digestione il sangue affluisca in gran parte allo stomaco, sottraendolo ai muscoli: se ci si tuffa e si inizia a nuotare, il corpo potrebbe andare in crisi, con conseguenze pericolose.


        Congestione o crampo: cosa può succedere davvero?

        Il timore più diffuso è quello della cosiddetta “congestione”, spesso confusa con i crampi muscolari. In realtà, la congestione digestiva è un fenomeno raro e molto specifico: può accadere se si entra in acqua fredda subito dopo un pasto abbondante, causando uno shock termico che interferisce con la digestione. Ma è un evento estremo, più legato alla differenza di temperatura tra il corpo e l’acqua che al pasto in sé.


        Cosa dicono i medici oggi

        Secondo i pediatri e gli esperti in medicina dello sport, il bagno dopo mangiato non è vietato, a patto che si rispettino alcune semplici regole. Dopo un pasto leggero, come un panino o un’insalata, non ci sono particolari controindicazioni. Se invece si è fatta una grande abbuffata — fritti, carne, alcol — allora è meglio attendere un po’, non tanto per paura di morire in mare, ma per evitare nausea, affaticamento o malessere.


        Il vero pericolo: lo shock termico

        Più che la digestione, il vero rischio riguarda l’impatto con l’acqua fredda. Entrare di colpo in mare dopo essere stati al sole può provocare un calo improvviso della pressione e causare svenimenti. Per questo, indipendentemente dal pasto, è sempre meglio bagnarsi gradualmente. La prudenza non è mai troppa, ma i catastrofismi da ombrellone si possono tranquillamente archiviare.


        Quindi: bagno sì o bagno no?

        La risposta è: dipende. Dal tipo di pasto, dalla temperatura dell’acqua, dallo sforzo fisico che si intende fare. Non servono tre ore di attesa, come ci dicevano le nonne, ma un po’ di buon senso. Evita le nuotate agonistiche dopo un pranzo da matrimonio, ma un tuffo rinfrescante dopo un toast? Promosso. Con buona pace della zia che urla “Esci subito, che ti prende il crampo!”.

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          Salute

          Giappone: scoperto un farmaco per la ricrescita dei denti

          Un’innovazione nella medicina dentale: la scoperta giapponese che potrebbe rivoluzionare il futuro dei trattamenti odontoiatrici

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            Un team di scienziati giapponesi ha sviluppato un farmaco rivoluzionario che potrebbe permettere la ricrescita dei denti persi. Questa scoperta promette di cambiare radicalmente l’approccio ai trattamenti dentali, offrendo una soluzione naturale a chi ha perso i denti a causa di malattie o incidenti. Attualmente in fase di sperimentazione clinica, il farmaco sfrutta le cellule staminali per stimolare la formazione di nuovi denti.

            Dettagli e prospettive del farmaco innovativo

            Il farmaco agisce attivando le cellule staminali presenti nella polpa dentale, favorendo la crescita di nuovi denti naturali. Questa scoperta potrebbe superare le attuali tecniche di impianto dentale, riducendo la necessità di protesi e offrendo una soluzione meno invasiva e più efficace per i pazienti. I risultati preliminari dei test clinici sono promettenti, e se continueranno a essere positivi, il farmaco potrebbe essere disponibile sul mercato entro pochi anni.

            Implicazioni e futuro della ricerca

            Questa innovazione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca medica e potrebbe migliorare notevolmente la qualità della vita di milioni di persone affette da edentulia. Il Giappone si conferma leader nelle innovazioni scientifiche e mediche, aprendo nuove prospettive nel campo della rigenerazione tissutale. I ricercatori sono fiduciosi che il farmaco non solo rivoluzionerà la medicina dentale, ma aprirà la strada a ulteriori scoperte nel trattamento delle patologie odontoiatriche.

            Con un continuo impegno nella ricerca e nello sviluppo, questa scoperta potrebbe rappresentare una svolta epocale, ridando fiducia e speranza a chi ha perso i denti, migliorando la loro salute e benessere complessivo.

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              Salute

              Il batterio carnivoro che sta preoccupando il Giappone

              La sindrome da shock tossico streptococcico (Stss) sta causando un’emergenza medica in Giappone, con 77 decessi registrati dall’inizio del 2024 fino a marzo.

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                A Tokyo sono in allarme più di quanto lo siano quando la terra gli trema sotto i piedi. La causa di questa preoccupazione è dovuto dall’elevato numero di persone affette da sindrome da choc tossico streptococcico causato da un batterio carnivoro che porta alla morte. Da inizio dell’anno questo batterio ha avuto una crescita esponenziale di casi. Finora sono stati registrati 77 decessi.

                Di cosa si tratta

                La sindrome da shock tossico streptococcico (Stss) è la causa di questa emergenza medica he sta affliggendo il Giappone. Il Ministero della Salute ha riportato 977 casi di Stss un numero che ha superato il record del 1999. Questa infezione batterica, causata principalmente dallo streptococco del gruppo A (GAS), è rara ma grave. Si sviluppa quando i batteri invadono i tessuti profondi e il flusso sanguigno.

                Come si manifesta

                I sintomi iniziali includono febbre, dolori muscolari e vomito, ma possono rapidamente peggiorare, portando a una bassa pressione sanguigna, gonfiore e insufficienza multiorgano, con un alto tasso di mortalità. Tra i sintomi anche infezioni alla gola che si manifestano soprattutto nei bambini. In rare circostanze lo streptococco A può diventare anche mortale quando il batterio produce una tossina capace di invadere il flusso sanguigno. Nei casi estremi può essere causa di fascite necrotizzante e choc tossico. La maggior parte delle persone affette da questo batterio ha manifestato problemi di salute con sistemi immunitari carenti, che riducono la capacità di combattere l’infezione. Anche con trattamento adeguato, la malattia rimane altamente letale, con un tasso di mortalità di circa il 30%.

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