Beauty
Skincare vs ossessione: quando la “dermorexia” diventa pericolo reale
Dai social media alle abitudini quotidiane, l’ossessione per la pelle perfetta cresce tra bambini, adolescenti e adulti. Dermatologi e psicologi avvertono: routine estreme, troppi cosmetici e aspettative irrealistiche mettono a rischio salute fisica e mentale.

Nel flusso infinito di post, video tutorial e filtri perfetti, il mondo della skincare domina i social — Instagram, TikTok, YouTube — con migliaia di contenuti al giorno, da consigli di esperti fino a prodotti sponsorizzati e challenge virali. Digitando l’hashtag “skincare”, si viene travolti da una moltitudine di immagini e suggerimenti: detergere, idratare, prevenire rughe, combattere imperfezioni. È positivo che cresca la consapevolezza sull’importanza della cura della pelle, specie se va incontro a esigenze specifiche (acne, sensibilità, età) o problemi medici. Ma c’è anche un lato oscuro, che gli specialisti iniziano a identificare sempre più chiaramente: la dermorexia, nota anche come cosmeticoressia.
Il termine, coniato da Jessica DeFino, sottolinea un fenomeno di ossessione patologica verso la pelle e la sua apparenza. Non è solo una cura esagerata: è un’ansia costante verso il perfezionismo estetico, una spinta a usare prodotti non necessari, in dosi e combinazioni inappropriate.
Chi sono i soggetti a rischio
Le persone più vulnerabili sono i giovanissimi: preadolescenti e adolescenti che, spinti dalla pressione sociale, dai modelli estetici dei social, adottano routine complesse, aspettative elevate, e un uso frequente di prodotti anti-age già in età precoce. Alcuni articoli segnalano che anche bambine di 10-12 anni (o poco più) iniziano a usare sieri, peeling, maschere e cosmetici spesso inadatti per età e tipo di cute.
Non è un fenomeno esclusivamente femminile: cresce l’interesse degli uomini verso prodotti specifici (sieri, contorno occhi, dopobarba con funzioni anti-age), e le marche lo sanno bene.
I sintomi e i rischi per la pelle
Il dermatologo avverte che l’uso ossessivo può danneggiare la barriera cutanea, alterare il microbiota della pelle (gli organismi che normalmente la proteggono), causare irritazioni, dermatiti allergiche da contatto, acne inducendo sovraccarico di attivi chimici.
Altri segnali di dermorexia:
- Routine di skincare composte da troppi passaggi, anche quando la pelle non mostra problemi evidenti.
- Desiderio continuo di “novità” nei prodotti, cambi frequenti, ricerca spasmodica di creme miracolose.
- Ansia, sentimenti di inadeguatezza dovuti a imperfezioni minime percepite come enormi.
Il ruolo dei social media e della cultura estetica
I social non sono solo canale: sono motore del fenomeno. Creano attese irrealistiche, amplificano esempi di pelle “perfetta” grazie a luce, filtri e ritocchi; promuovono tendenze come “glass skin”, “glow up” o routine elaborate, spesso sponsorizzate. La pressione estetica, specie tra i giovani, aumenta.
In Italia, le riviste di salute e bellezza segnalano casi di adolescenti attratti da skincare intensiva, uso precoce di cosmetici anti-age, trattamenti estetici non necessari. Spesso la spesa è consistente, la curiosità alta, la conoscenza superficiale.
Verso una skincare equilibrata: i consigli degli esperti
- Dietro al selfie o al filtro, la pelle ha bisogni reali: pulizia delicata, idratazione, protezione solare quotidiana sono le basi valide per tutti.
- Valutare il tipo di pelle (secca, grassa, sensibile, acneica) e rispondere con prodotti appropriati, evitando attivi aggressivi o mix casuali.
- Non iniziare troppo presto con prodotti anti-age; un uso prematuro può causare irritazioni, sensibilizzazione, danni nel tempo.
- Evitare di basare la routine su trend virali o consigli non professionali; meglio fare riferimento a dermatologi o esperti certificati.
- Tenere presente la salute mentale: se la cura della pelle diventa fonte di ansia, senso di vergogna per imperfezioni piccole o ossessione, è importante parlarne con uno psicologo o professionista.
La skincare non è cattiva: cura, igiene, protezione sono fondamentali. Ma la dermorexia ci ricorda che quando il desiderio di perfezione estetica diventa compulsione, la bellezza si trasforma in peso.
I social e l’industria cosmetica stanno cambiando il modo in cui percepiamo la pelle, il viso, l’aspetto di noi stessi. Serve cultura, educazione, consapevolezza: perché ogni pelle — giovane, adulta o matura — merita rispetto, non ossessione.
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Benessere
Miele, l’oro dolce degli italiani: consumi in crescita e benefici confermati dalla scienza
Più della metà della popolazione lo porta in tavola almeno una volta a settimana. Non solo dolcificante naturale, ma fonte di energia, sali minerali e antiossidanti: un alleato prezioso per salute e benessere.

Dolce, naturale e ricco di proprietà. Il miele non è soltanto un piacere per il palato, ma un alimento che in Italia conquista ogni giorno più spazio sulle tavole. Oltre la metà degli italiani lo consuma regolarmente, con un 21,2% che dichiara di assumerlo cinque o più volte a settimana. I momenti preferiti? La colazione, scelta dal 70,2% degli intervistati, e lo spuntino pomeridiano, indicato dal 37,1%.
A spingere la popolarità di questo alimento è innanzitutto la percezione di un prodotto salutare: il 57,3% lo sceglie per la ricchezza di vitamine e minerali, il 51,5% per la sua naturalità, quasi la metà per il gusto. Il 39,9% ne apprezza l’effetto energetico immediato, mentre una quota significativa lo considera pratico e versatile, adatto tanto a dolci quanto a preparazioni salate.
I confezionatori di miele aderenti a Unione Italiana Food, insieme al biologo nutrizionista Yari Rossi, hanno stilato un vademecum con i principali motivi per cui il miele dovrebbe far parte di una dieta equilibrata. Ricco di zuccheri semplici come glucosio e fruttosio, fornisce energia pronta all’uso, utile al risveglio o per chi pratica attività sportiva. Contiene inoltre enzimi e composti con effetto prebiotico, capaci di favorire l’equilibrio del microbiota intestinale. Non mancano vitamine (tra cui vitamina C e vitamine del gruppo B), minerali come potassio, ferro e magnesio, e sostanze antiossidanti che contribuiscono a contrastare lo stress ossidativo.
Non solo: il miele è tradizionalmente usato come rimedio naturale per il mal di gola e, secondo studi in corso, potrebbe aiutare ad alleviare i sintomi delle allergie stagionali grazie alla sua azione lenitiva e antisettica. La presenza di triptofano lo rende anche un alleato del buonumore, favorendo la produzione di serotonina.
Dal punto di vista nutrizionale, 100 grammi di miele apportano poco più di 300 calorie, costituite per l’80% da zuccheri. L’Istituto Crea ricorda che per un adulto con fabbisogno medio di 2000 kcal, l’assunzione di zuccheri semplici non dovrebbe superare il 10% delle calorie giornaliere, equivalenti a circa 60 grammi di miele. Un consumo moderato, dunque, è la chiave per beneficiare delle proprietà senza eccedere.
La qualità è garantita da una filiera controllata: il miele rientra tra i prodotti alimentari di origine animale sottoposti ai controlli più rigorosi, a tutela della sicurezza e dell’autenticità. Ogni lotto è tracciato e analizzato per garantire un prodotto puro, privo di residui e rispondente agli standard europei.
E la varietà non manca: in Italia se ne producono circa 60 tipi, dal classico miele d’acacia, chiaro e delicato, al più intenso castagno, fino ai millefiori, ogni anno diversi a seconda delle fioriture. Senza dimenticare eucalipto, agrumi, melata o corbezzolo, ognuno con caratteristiche uniche di colore, aroma e consistenza.
«Il miele può essere un’ottima aggiunta alla dieta di settembre, quando si torna al lavoro o a scuola e serve un supporto naturale per energia e benessere», spiega Rossi. «Ma va ricordato che, pur essendo un alimento funzionale, resta uno zucchero: equilibrio e consapevolezza sono fondamentali».
L’oro dolce delle api, insomma, resta uno degli alimenti simbolo del Made in Italy, apprezzato non solo per il gusto ma per il suo valore nutrizionale. E con la crescente attenzione dei consumatori alla salute, sembra destinato a diventare sempre più protagonista nelle abitudini alimentari quotidiane.
Benessere
Cortisolo, l’ormone dello stress: come funziona davvero e perché non è solo un nemico della linea
Non demonizzare, ma capire: il cortisolo è indispensabile per la sopravvivenza, il problema nasce quando resta alto troppo a lungo. Sonno, alimentazione equilibrata e tecniche di rilassamento sono le chiavi per tenerlo sotto controllo.

Quando si parla di cortisolo, spesso la narrazione si limita a definirlo “l’ormone dello stress” e a collegarlo all’aumento di peso. In realtà, la sua funzione nel corpo umano è ben più complessa: senza di lui, non potremmo affrontare una giornata di lavoro, uno sforzo fisico o anche solo un imprevisto quotidiano.
Prodotto dalle ghiandole surrenali, il cortisolo appartiene alla famiglia degli ormoni steroidei ed è coinvolto in numerosi processi vitali. Aiuta a regolare il metabolismo, favorendo la trasformazione di proteine, grassi e carboidrati in energia. Interviene nella risposta immediata allo stress aumentando i livelli di glucosio nel sangue, così da fornire carburante rapido ai muscoli e al cervello. Ha inoltre un ruolo antinfiammatorio naturale, modulando le difese immunitarie e limitando reazioni eccessive.
Il problema nasce quando lo stress non è episodico, ma diventa una condizione cronica. In questo scenario, i livelli di cortisolo restano elevati troppo a lungo, provocando conseguenze poco salutari. Tra queste, l’aumento dell’appetito e il desiderio di cibi ricchi di zuccheri e grassi. Non è un caso: il cortisolo stimola la grelina, nota come “ormone della fame”, e allo stesso tempo favorisce l’accumulo di grasso viscerale, quello che si deposita nell’addome e che è più pericoloso dal punto di vista cardiovascolare e metabolico.
La percezione inconscia di “minaccia” porta inoltre il corpo a risparmiare energia, immagazzinando calorie in eccesso. È per questo che, a lungo andare, livelli alti di cortisolo si associano a un maggior rischio di obesità, diabete e sindrome metabolica.
Non tutto, però, è perduto. La ricerca scientifica ha dimostrato che il cortisolo può essere modulato anche attraverso abitudini quotidiane. Dormire 7-8 ore per notte è uno dei metodi più efficaci per riportare equilibrio ormonale, così come seguire una dieta bilanciata ricca di fibre, proteine magre e grassi “buoni”. Evitare picchi glicemici riduce i continui stimoli al rilascio di cortisolo.
Anche l’attività fisica è un’arma potente: camminate veloci, corsa leggera o yoga praticati con costanza aiutano a scaricare la tensione e abbassare i livelli dell’ormone. Attenzione, però, a non esagerare: un allenamento troppo intenso o prolungato può avere l’effetto contrario, facendo salire ulteriormente il cortisolo.
Infine, le tecniche di rilassamento – dalla meditazione alla respirazione profonda – sono sempre più riconosciute come strumenti utili. Non a caso, diverse linee guida mediche consigliano pratiche di “mindfulness” come complemento a uno stile di vita sano.
In sintesi, il cortisolo non è un avversario da combattere, ma un alleato che va compreso. È l’eccesso prolungato, tipico della vita moderna fatta di ritmi frenetici, a trasformarlo in un potenziale problema. La vera sfida non è eliminarlo, ma imparare a convivere con lui, gestendo stress e abitudini quotidiane con equilibrio.
Benessere
Quando il cervello adolescente “ritarda”: genetica, sviluppo e salute mentale nella genesi dei disturbi alimentari
Uno studio su quasi 1.000 giovani europei rivela che varianti genetiche, maturazione cerebrale rallentata e problemi psichici all’adolescenza potrebbero favorire l’insorgenza di comportamenti alimentari disordinati.

Un recente studio pubblicato su Nature Mental Health propone un modello integrato per comprendere l’insorgenza dei disturbi alimentari. Non solo fattori psicologici, ma anche genetica e questo che potremmo chiamare lo “stadio di maturazione cerebrale” dell’adolescente.
I dati emergenti sono importanti, considerato che in Europa si stima siano circa 20 milioni le persone affette da disturbi alimentari. Dall’anoressia alla bulimia fino al disturbo da alimentazione incontrollata.
Disegno dello studio: da 14 a 23 anni
Lo studio ha incluso quasi 1.000 individui provenienti da Inghilterra, Irlanda, Francia e Germania, partecipanti al progetto longitudinale IMAGEN.
I partecipanti hanno fornito campioni genetici, compilato questionari su abitudini alimentari e benessere psicologico. E si sono sottoposti a risonanza magnetica cerebrale (MRI) a 14 e 23 anni.
All’età di 23 anni, i soggetti sono stati classificati in tre profili alimentari distinti:
- Mangiatori sani (≈ 42 %)
- Mangiatori restrittivi (≈ 33 %) — che tendono a controllare peso e porzioni
- Mangiatori emotivi o incontrollati (≈ 25 %) — soggetti ad abbuffate o alimentazione impulsiva in risposta ad emozioni negative
Procedendo “a ritroso”, il team ha osservato che tra i 14enni coloro che manifestavano sintomi come ansia, depressione o problemi di attenzione mostravano, poi, una maggiore probabilità di finire nei gruppi alimentari non salutari.
Genetica, BMI e lo sviluppo cerebrale
Un altro elemento cruciale del lavoro riguarda la componente genetica: chi aveva un rischio genetico elevato di indice di massa corporea (BMI) mostrava anche maggiore probabilità di sviluppare abitudini restrittive o incontrollate, agendo in sinergia con lo sviluppo cerebrale.
Le immagini cerebrali hanno indicato che nei “mangiatori non sani” la maturazione cerebrale (in particolare nel cervelletto e nella corteccia prefrontale) tendeva a essere meno pronunciata, come se il calo normale di volume o spessore durante l’adolescenza fosse rallentato.
In particolare, una ridotta maturazione del cervelletto — l’area implicata anche nei meccanismi di appetito e sazietà — mediava la relazione tra rischio genetico elevato di BMI e comportamenti restrittivi a 23 anni.
In termini più generali, i ricercatori hanno interpretato questo fenomeno come uno sviluppo cerebrale “prolungato” nei gruppi alimentari a rischio. Ovvero un rallentamento nei processi ordinari di rimodellamento cerebrale che avvengono tipicamente durante l’adolescenza.
Implicazioni pratiche e prevenzione
Lo studio sottolinea che non basta intervenire solo sul comportamento alimentare: è fondamentale considerare la salute mentale dell’adolescente. Individuare tempestivamente ansia, depressione o difficoltà attentive, e valorizzare la consapevolezza cerebrale nei contesti educativi e familiari.
Secondo Sylvane Desrivières (King’s College Londra). Uno dei coautori, «l’educazione su abitudini alimentari salutari e strategie di coping disadattive può essere un’arma preventiva» per ridurre la vulnerabilità alle trasformazioni patologiche.
Un possibile passo avanti suggerito dai ricercatori è la stratificazione preventiva. Analizzando dati cerebrali, genetici e psicologici, potrebbe essere possibile identificare i giovani a rischio prima che i disturbi alimentari si manifestino.
Limiti e prospettive future
I risultati sono affascinanti ma non definitivi. Lo studio, pur essendo longitudinale e ben strutturato, non può affermare causa-effetto con assoluta certezza. Alcuni cambiamenti cerebrali potrebbero anche essere conseguenza del comportamento alimentare estremo.
Inoltre, l’eterogeneità dei disturbi alimentari — diverse tipologie, gradi di gravità e percorsi — richiede che questi modelli integrati vengano verificati in campioni clinici più ampi e contestualizzati.
Il prossimo orizzonte è estendere il follow-up oltre i vent’anni, osservare come le traiettorie si evolvono in età adulta e testare interventi mirati che tengano conto della “maturazione cerebrale” individuale.
Questo studio getta luce sul rapporto tra genetica, sviluppo cerebrale e salute mentale nell’adolescenza come chiavi possibili per decifrare il meccanismo che porta alcuni giovani a sviluppare disturbi alimentari.
Non è più solo una questione di “mangiare troppo poco” o “esagerare”. Ma di come un cervello in via d’evoluzione reagisca a stress, vulnerabilità interiori e predisposizioni genetiche. Un messaggio forte: ascoltare l’adolescente non solo nei suoi agiti alimentari, ma nelle sue emozioni, nei suoi pensieri e nel suo cervello in crescita.
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