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Beauty

Tutti con la barba. La tendenza che sempre di più ci accompagna

Non è più considerato una violazione del bon ton presentarsi in pubblico con una barba di qualche giorno. Questa tendenza ha conquistato uomini di tutte le età, dimostrando che la barba lunga non è solo un segno di trascuratezza, ma un vero e proprio accessorio di stile.

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    Forse per una scelta consapevole di allontanarsi dagli stereotipi della perfezione, sempre più VIP sfoggiano la barba sul tappeto rosso. Questo Festival di Cannes non è stato un’eccezione. Non è più considerato una violazione del bon ton presentarsi in pubblico con una barba di qualche giorno. Questa tendenza ha conquistato uomini di tutte le età, dimostrando che la barba lunga non è solo un segno di trascuratezza, ma un vero e proprio accessorio di stile.

    Il significato nella storia

    La barba ha radici antiche e significati culturali profondi. In molte civiltà, era vista come simbolo di saggezza, potere e maturità. Ad esempio, i filosofi greci e i patriarchi biblici sono spesso raffigurati con folte barbe. Nel corso del tempo, la popolarità della barba è variata, passando da periodi di grande diffusione a epoche in cui era quasi completamente assente.

    Can Yaman e Jason Momoa

    Il boom delle barbe lunghe

    Negli ultimi anni, la barba lunga ha conosciuto una rinascita. Spinta da celebrità e influencer, questa tendenza ha trovato terreno fertile tra gli uomini moderni. Attori come Can Yaman e Jason Momoa, noti per le loro imponenti barbe, hanno contribuito a rendere questo stile desiderabile e alla moda.

    James Franco

    Una mediazione tra fascino e praticità

    Dopo anni in cui i visi lisci e puliti erano la norma, oggi si cerca una mediazione tra il fascino della barba e la praticità di gestione. Per questo motivo, si preferiscono lunghezze più controllate e facili da mantenere, che permettono di ottenere un aspetto curato senza sacrificare il carattere distintivo virile e selvaggio che solo una barba può donare. Al Festival di Cannes, James Franco ha lasciato la sua barba crescere senza interventi visibili. Molto al naturale.

    Shia LeBeouf

    Dettagli da non trascurare

    Per ottenere un look perfetto, è fondamentale prestare attenzione a diversi dettagli. Sul red carpet, Shia LaBeouf ha abbinato la barba in stile vichingo con i capelli schiariti portati all’indietro in stile slick back, il taglio classico elegante dagli anni ’20. Per fissarli, si può utilizzare una brillantina lucida o una pasta naturale, che aiutano a mantenere la forma e l’aspetto luminoso.

    Chris Hemsworth

    Un look studiato

    Chris Hemsworth, un amante della barba incolta. Ma importante sapere che si tratta in realtà di un tolettatura studiata, con lunghezze e linee di contorno lasciate naturali. Questo stile si adatta particolarmente bene a coloro che hanno un viso lungo o squadrato, poiché aiuta a conferire un senso di equilibrio e a definire le linee del viso. Tuttavia, potrebbe non essere l’opzione migliore per chi ha un viso più tondo, poiché potrebbe accentuare ulteriormente la forma.

    Pierfrancesco Favino

    Abbinamenti di stile

    La barba incolta si sposa particolarmente bene con lunghezze moderate e tagli come il quiff o il pompadour, poiché creano un contrasto bilanciato. Come ha fatto Pierfrancesco Favino. È invece meno indicata con tagli molto corti, come il buzz-cut, o molto lunghi, poiché potrebbe creare un contrasto troppo marcato tra la lunghezza della barba e quella dei capelli.

    Kevin Costner

    Curata con precisione

    Kevin Costner, elegantissimo a Cannes, sfoggia con stile un baffo chevron abbinato alla barbetta a moschetto, ormai irrinunciabile. Questo tipo di tolettatura è ideale per chi cerca un look pulito e semplice, perfetto per chi non ha molto tempo da dedicare alla cura dei baffi e barba. Nonostante la sua semplicità, mantiene un aspetto di gran classe, come lo dimostra sempre l’eroe di Guardia del corpo“.

    Come curare la barba: una guida per tutte le lunghezze

    La barba, che sia lunga, corta o media, è un vezzo, un segno distintivo, un tratto della propria personalità. Per averla sana e lucida, è importante sapere come curarla e trattarla con i prodotti giusti.

    • Cura quotidiana: Lavare la barba con shampoo specifici e applicare balsamo per mantenerla morbida e idratata.
    • Olio speciale: Utilizzare un buon olio per barba per nutrire i peli e la pelle sottostante, prevenendo secchezza e irritazioni.
    • Taglio regolare: Anche se si desidera una barba lunga, è essenziale rifinirla regolarmente per mantenere una forma ordinata e prevenire le doppie punte.
    • Spazzolatura: Spazzolare la barba quotidianamente aiuta a distribuire uniformemente gli oli naturali e a mantenere la barba in ordine.

    Per l’uomo la barba è molto più di una semplice tendenza; è un’espressione di stile e personalità. Che si tratti di un ritorno alle radici culturali o di una semplice preferenza estetica, questo look ha conquistato il cuore di molti uomini in tutto il mondo. Con la giusta cura e attenzione, questo attributo può diventare un simbolo distintivo di eleganza e virilità.

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      Salute

      Artrite reumatoide, la malattia inizia anni prima dei dolori: svelata la fase invisibile

      Lo studio, pubblicato su Science Translational Medicine, rivela come alterazioni profonde di cellule immunitarie, anticorpi e processi epigenetici siano già presenti anni prima dei sintomi: scoperte che aprono alla possibilità di diagnosi e interventi preventivi.

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      Artrite reumatoide

        Il dolore articolare non è l’inizio dell’artrite reumatoide, ma solo la punta dell’iceberg. Molto prima che compaiano rigidità e infiammazione, il sistema immunitario ha già avviato un processo silenzioso e diffuso che coinvolge l’intero organismo. È quanto emerge da una vasta ricerca condotta da un consorzio di istituzioni statunitensi – tra cui l’Allen Institute, l’Università del Colorado Anschutz, la University of California San Diego e il Benaroya Research Institute – che ha ricostruito in modo dettagliato le fasi più precoci della malattia autoimmune. I risultati, pubblicati su Science Translational Medicine, rappresentano una delle mappe immunologiche più complete disponibile finora.

        Il lavoro si basa sul monitoraggio, durato sette anni, di persone portatrici degli anticorpi anti-peptidi citrullinati ciclici (ACPA), biomarcatori che aumentano in modo significativo il rischio di sviluppare l’artrite reumatoide. In questo lungo follow-up, i ricercatori hanno osservato una trasformazione progressiva delle cellule immunitarie, segno che l’organismo è già immerso in una condizione infiammatoria sistemica ben prima delle manifestazioni cliniche.

        Il dato forse più sorprendente è proprio questo: gli individui a rischio mostrano profili infiammatori molto simili a quelli dei pazienti con artrite reumatoide conclamata. Non una semplice predisposizione, quindi, ma una malattia già in corso, anche se invisibile. Il modello tradizionale, che vede l’artrite reumatoide come patologia principalmente articolare, appare riduttivo: la nuova evidenza suggerisce che la malattia abbia radici profonde nel sistema immunitario nel suo complesso.

        Analizzando cellule e segnali molecolari, gli studiosi hanno individuato anomalie coordinate in più rami dell’immunità. I linfociti B – responsabili della produzione di anticorpi – risultavano in una condizione iper-attiva e pro-infiammatoria. Ancora più rilevanti le alterazioni dei linfociti T helper, con particolare espansione delle sottopopolazioni simili alle Tfh17, note per favorire la formazione di autoanticorpi. Una crescita clonale anomala che suggerisce un sistema immunitario già pronto ad attaccare i tessuti dell’organismo.

        A colpire gli scienziati è stata anche la scoperta di modificazioni epigenetiche nei linfociti T naive, cioè cellule “vergini” che non dovrebbero presentare segni di attivazione. La loro riprogrammazione indica un processo patologico che penetra fino alle radici del sistema immunitario: una sorta di precondizionamento che prepara le future risposte autoimmuni.

        Un altro indizio della rivoluzione silenziosa in corso arriva dai monociti circolanti. Nel sangue di individui a rischio, queste cellule presentavano un profilo molecolare quasi identico a quello dei macrofagi che si trovano nelle articolazioni infiammate dei pazienti con malattia attiva. Una sorta di “prova generale” dell’attacco che avverrà successivamente a livello articolare.

        “Questa ricerca dimostra che l’artrite reumatoide inizia molto prima dei primi sintomi e ci permette di pianificare strategie basate su dati per interrompere la progressione della malattia”, ha spiegato Mark Gillespie, ricercatore dell’Allen Institute e co-autore senior dello studio.

        Le implicazioni cliniche potrebbero essere rivoluzionarie. Riconoscere biomarcatori e firme immunologiche della fase preclinica potrebbe consentire di individuare, tra gli individui ACPA-positivi, chi svilupperà la malattia e chi invece resterà asintomatico. Come sottolinea Kevin Deane, fra gli autori principali, questa comprensione apre la strada a nuove possibilità di prevenzione e trattamenti più tempestivi, mirati a fermare l’autoimmunità prima che causi danni articolari permanenti.

        Restano tuttavia domande cruciali: quali fattori genetici, ambientali o infettivi innescano questo processo anni prima? Quali meccanismi determinano chi sviluppa la malattia e chi no? E soprattutto: quali terapie potrebbero bloccare l’autoimmunità senza interferire con le difese fisiologiche dell’organismo?

        La ricerca ha posto le basi per un cambio di paradigma: non più attendere l’infiammazione articolare, ma intercettare la malattia nella sua fase invisibile, quando esiste ancora la possibilità di cambiarne il destino. Una prospettiva che, per milioni di persone, potrebbe significare evitare anni di dolore e disabilità.

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          Benessere

          Due giorni offline: il metodo semplice per liberare la mente

          Notifiche spente, tempo reale rallentato, abitudini più consapevoli: il digital detox del weekend è un reset gentile per chi vive con lo smartphone sempre acceso. Basta poco per alleggerire la mente e riattivare l’attenzione.

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          Due giorni offline

            Perché disconnettersi fa bene

            Viviamo dentro un flusso costante di stimoli: aggiornamenti, messaggi, video, notifiche che bussano di continuo. Il risultato è una mente in perenne modalità “allerta”, con effetti su concentrazione, sonno e qualità dell’umore. Un fine settimana di digital detox non è fuga dal mondo, ma una scelta di equilibrio: rallentare l’iperconnessione per lasciare spazio a sensazioni più profonde, ritmi più umani, relazioni più presenti.

            Piccoli gesti, grande effetto

            Il segreto è la semplicità. Non si tratta di spegnere tutto e isolarsi, ma di impostare confini praticabili:
            – notifiche disattivate;
            – smartphone lontano dal comodino;
            – niente scroll compulsivo;
            – lettura al posto dei feed;
            – camminate all’aria aperta, meglio se in mezzo al verde.
            Anche solo decidere di controllare il telefono a orari specifici restituisce libertà mentale. La casa diventa luogo di respiro, non un prolungamento dei social.

            La riscoperta del tempo “vuoto”

            Il digital detox funziona perché restituisce una risorsa preziosa: il tempo vuoto, quello che permette di ascoltare i propri pensieri, riflettere, immaginare. È l’occasione per dedicarsi a attività spesso sacrificate: cucinare con calma, leggere un giornale in poltrona, annotare idee su un taccuino, godersi un film senza distrazioni. Anche il camminare diventa un rito: passo lento, occhi che osservano, respiro che si allunga. Un modo naturale per riportare il corpo dentro la presenza.

            Benefici visibili e sottili

            Dopo un weekend a bassa esposizione digitale, il sonno diventa più profondo, l’umore meno irritabile, l’attenzione più stabile. Si riduce quella sensazione costante di urgenza che accompagna lo smartphone. Tornando online, si nota una maggiore lucidità e una nuova capacità di filtrare i contenuti invece di subirli. È una forma di igiene mentale, delicata ma potente.

            Prendersi due giorni senza iperconnessione significa scegliere di tornare al ritmo delle cose che contano. Non è rinuncia: è riconquista.

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              Salute

              Endometriosi: come si manifesta e perché è fondamentale non ignorare i segnali del corpo

              Dolore pelvico, mestruazioni molto abbondanti, affaticamento e problemi digestivi sono soltanto alcuni dei campanelli di allarme. Diagnosi precoce e monitoraggio clinico possono fare la differenza in una patologia che richiede attenzione, ascolto e percorsi personalizzati.

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              Endometriosi

                L’endometriosi è una patologia ginecologica cronica caratterizzata dalla presenza di tessuto simile all’endometrio — la mucosa che riveste l’interno dell’utero — in zone dove non dovrebbe trovarsi, come ovaie, tube, peritoneo o, più raramente, intestino e vescica. Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, riguarda circa il 10% delle donne in età fertile. Nonostante questa alta diffusione, rimane una delle malattie più difficili da identificare tempestivamente: i sintomi sono vari, non sempre specifici e facilmente confondibili con dolori mestruali “normali”.

                Il problema principale, spiegano gli specialisti, è proprio la normalizzazione del dolore femminile. Molte donne crescono pensando che soffrire durante il ciclo sia inevitabile, e questo ritarda la ricerca di aiuto. In realtà, un dolore pelvico intenso e ricorrente non è mai da ignorare, soprattutto se interferisce con attività quotidiane, lavoro o studio.

                Come si manifesta: sintomi da non sottovalutare

                Dolori mestruali molto forti (dismenorrea)

                Il sintomo più caratteristico è un dolore che va oltre il “fastidio mestruale” tipico: si tratta di crampi intensi che possono estendersi alla schiena e agli arti inferiori, spesso resistenti ai comuni analgesici.

                Dolore pelvico cronico

                Non riguarda solo i giorni del ciclo. Può presentarsi anche ovulando, durante l’attività fisica o senza un motivo apparente, diventando continuo o periodico.

                Dolore durante i rapporti (dispareunia)

                La presenza di tessuto endometriosico in profondità può rendere il sesso doloroso, un aspetto che molte donne evitano di raccontare per imbarazzo o pudore.

                Problemi intestinali o urinari

                Gonfiore, stitichezza, diarrea, dolore alla minzione o alla defecazione possono comparire soprattutto in prossimità del ciclo, quando l’infiammazione aumenta.

                Affaticamento e senso di spossatezza

                Non è solo fisico: l’endometriosi può incidere sulla qualità del sonno e sulla concentrazione.

                Difficoltà a concepire

                In alcuni casi la malattia si accompagna a problemi di fertilità, sebbene molte donne con endometriosi riescano comunque a rimanere incinte con o senza trattamenti specifici.

                Perché è fondamentale non trascurare i sintomi

                Il ritardo diagnostico è ancora molto diffuso: la media europea è tra i sette e i nove anni dall’esordio dei primi segnali. Ignorare il dolore o considerarlo “normale” significa permettere alla malattia di progredire, aumentando l’infiammazione e il rischio di complicazioni come aderenze, cisti ovariche (endometriomi) o compromissione della fertilità.

                Un’identificazione precoce consente invece di intraprendere percorsi terapeutici adeguati, che possono includere:

                • gestione del dolore con farmaci mirati;
                • terapie ormonali per ridurre l’infiammazione;
                • fisioterapia del pavimento pelvico;
                • supporto psicologico, quando necessario;
                • interventi chirurgici nei casi più complessi.

                Non esiste una cura definitiva, ma è possibile controllare la sintomatologia e migliorare significativamente il benessere quotidiano.

                Ascoltare il corpo è il primo passo

                Capire quando un sintomo non è più “normale” è un atto di consapevolezza. Parlare con il proprio medico, descrivere con precisione il tipo di dolore e tenere traccia del ciclo mestruale può facilitare il processo diagnostico. L’endometriosi non è una malattia invisibile, ma una patologia che ha bisogno di essere riconosciuta e gestita con competenza e tempestività.

                Investire nella propria salute, informarsi e chiedere aiuto non è debolezza: è un gesto di forza e un modo per riprendersi il controllo della propria vita.

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