Beauty
Tutti parlano di acido Ialuronico: ma cos’è veramente?
L’acido ialuronico è una sostanza naturalmente presente nel nostro corpo, in particolare nella pelle, negli occhi e nelle articolazioni. È una molecola in grado di trattenere fino a 1000 volte il suo peso in acqua, il che lo rende un eccellente idratante.
Un ingrediente miracoloso nel mondo della bellezza
Negli ultimi anni, l’acido ialuronico è diventato una parola d’ordine nel mondo della bellezza e della cura della pelle. Ma cos’è esattamente questo ingrediente miracoloso di cui tutti parlano? Scopriamolo insieme e vediamo perché è così amato da dermatologi e appassionati di skincare.
Cosa dice la scienza?
L’acido ialuronico è una sostanza naturalmente presente nel nostro corpo, in particolare nella pelle, negli occhi e nelle articolazioni. È una molecola in grado di trattenere fino a 1000 volte il suo peso in acqua, il che lo rende un eccellente idratante. Con l’età, la quantità di acido ialuronico nel nostro corpo diminuisce, contribuendo alla perdita di elasticità e idratazione della pelle.
Come si produce l’acido ialuronico?
L’acido ialuronico può essere prodotto in diversi modi, sia naturali che sintetici. Originariamente, veniva estratto da tessuti animali, ma con l’avanzare della tecnologia, si sono sviluppati metodi più efficienti ed etici per la sua produzione.
Estrazione da tessuti animali
Il metodo tradizionale per ottenere l’acido ialuronico coinvolgeva l’estrazione dai tessuti animali, come creste di gallo e occhi di bovini. Questo processo è stato ampiamente utilizzato per molti anni, ma presentava alcuni svantaggi, tra cui il rischio di allergie e infezioni, oltre a questioni etiche relative all’uso di prodotti animali.
Fermentazione batterica
Secondo gli studi, la maggior parte dell’acido ialuronico utilizzato nei prodotti cosmetici e nei trattamenti medici è prodotto tramite fermentazione batterica. Questo metodo implica l’uso di batteri geneticamente modificati, come lo Streptococcus zooepidemicus, che producono acido ialuronico durante il loro processo di crescita. Ecco una panoramica del processo:
- Coltura batterica: I batteri vengono coltivati in condizioni controllate in grandi bioreattori.
- Fermentazione: Durante la fermentazione, i batteri producono acido ialuronico come parte del loro metabolismo.
- Raccolta: L’acido ialuronico viene separato dal brodo di coltura batterico.
- Purificazione: L’acido ialuronico grezzo viene purificato per rimuovere batteri e impurità, ottenendo un prodotto sicuro e di alta qualità.
Sintesi chimica
Un altro metodo di produzione è la sintesi chimica, che utilizza processi chimici complessi per creare l’acido ialuronico in laboratorio. Questo metodo permette di controllare precisamente le caratteristiche molecolari del prodotto finale, rendendolo adatto a specifici usi terapeutici e cosmetici.
Vantaggi della fermentazione batterica
La fermentazione batterica è diventata il metodo preferito per diverse ragioni:
- Etica: Non richiede l’uso di prodotti animali, rendendolo più etico e accettabile per i consumatori vegani.
- Sicurezza: Riduce il rischio di allergie e infezioni rispetto all’estrazione da tessuti animali.
- Efficienza: Permette la produzione su larga scala con maggiore consistenza e purezza.
Benefici per la pelle
L’acido ialuronico è noto per i suoi numerosi benefici per la pelle. Grazie alla sua capacità di trattenere l’umidità, aiuta a mantenere la pelle idratata e rimpolpata, riducendo l’aspetto delle rughe e delle linee sottili. Inoltre, promuove la rigenerazione cellulare e migliora la texture della pelle, rendendola più liscia e luminosa.
Come utilizzarlo
L’acido ialuronico può essere utilizzato in diverse forme: sieri, creme, gel e persino integratori. Per ottenere i migliori risultati, è consigliabile applicarlo sulla pelle umida, seguito da una crema idratante per sigillare l’umidità. È adatto a tutti i tipi di pelle, anche le più sensibili, e può essere utilizzato sia mattina che sera.
L’uso nei trattamenti estetici
Oltre ai prodotti per la cura della pelle, l’acido ialuronico è anche ampiamente utilizzato nei trattamenti estetici, come i filler dermici. Questi trattamenti vengono iniettati per rimpolpare aree specifiche del viso, come le labbra e le guance, offrendo risultati immediati e naturali. Essendo una sostanza biocompatibile è generalmente sicuro e ben tollerato dal corpo.
Scegliere il prodotto giusto
Quando si sceglie un prodotto a base di acido ialuronico, è importante considerare la concentrazione e la formulazione. Prodotti con una maggiore concentrazione di acido ialuronico possono offrire benefici più evidenti, ma è anche fondamentale che la formulazione sia adatta al proprio tipo di pelle. Optare per marchi di fiducia e leggere le recensioni può aiutare a fare la scelta giusta.
Un alleato indispensabile nella skincare
L’acido ialuronico è un ingrediente potente che ha rivoluzionato il mondo della skincare. Che tu stia cercando di combattere i segni dell’invecchiamento, migliorare l’idratazione della pelle o semplicemente mantenere un aspetto fresco e luminoso, questo componente potrebbe diventare il tuo nuovo miglior amico. Integrare questo ingrediente nella tua routine di bellezza può fare una grande differenza nella salute e nell’aspetto della tua pelle.
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Beauty
Techno Aging: quando smartphone e PC accelerano l’invecchiamento della pelle
Dalla postura scorretta alla luce blu: ecco cosa sapere sul fenomeno del techno aging e come prevenirlo
L’invecchiamento digitale esiste, e riguarda tutti. Si chiama techno aging e descrive quell’insieme di effetti che l’uso prolungato – e spesso inconsapevole – di smartphone, tablet e computer provoca sul nostro corpo, in particolare sulla pelle. In un’epoca in cui passiamo sempre più ore online, il confine tra benessere e abuso tecnologico diventa sottile. Ed è proprio in quella zona grigia che insorgono nuovi disturbi posturali, difficoltà di addormentamento e un’accelerazione dell’invecchiamento cutaneo.
Siamo sempre più dipendenti dagli schermi
Secondo il Digital Report 2025 di We Are Social e Meltwater, il 90% degli italiani utilizza regolarmente Internet e trascorre in media quasi sei ore al giorno online. Quasi metà di questo tempo è occupato dallo smartphone. Un dato che aiuta a spiegare perché condizioni prima rare – come la sindrome del “collo da smartphone” – siano ormai comuni.
La cosiddetta postura “a testa china”, mantenuta per lunghi periodi, genera tensione a collo, spalle e schiena, cefalee e perfino intorpidimento degli arti superiori. Nel tempo questa posizione accelera la comparsa delle rughe del collo, uno dei segni più tipici del techno aging.
Luce blu: cosa fa davvero alla pelle
Oltre ai problemi posturali, l’uso intensivo dei device implica un’esposizione prolungata alla luce blu, emessa dagli schermi. La ricerca dermatologica ha dimostrato che questa componente dello spettro luminoso:
- penetra in profondità nell’epidermide
- favorisce la formazione di radicali liberi
- può danneggiare il DNA cellulare
- accelera la degradazione di collagene ed elastina
- può stimolare iperpigmentazione nelle pelli più scure
Il risultato? Colorito spento, perdita di elasticità e segni del tempo che compaiono prima del previsto.
A questo si aggiunge un ulteriore effetto: la luce blu influisce sul ritmo circadiano, riducendo la produzione di melatonina e rendendo più difficoltoso addormentarsi. Dormire male, si sa, è un fattore che incide direttamente sull’invecchiamento della pelle.
La luce blu non è solo un nemico
Prima di demonizzarla, è importante ricordare che la luce blu ha anche applicazioni benefiche. Non a caso è utilizzata nella fototerapia dermatologica per:
- acne
- dermatite atopica
- psoriasi
- infiammazione cutanea
Il problema non è quindi la luce blu in sé, ma l’esposizione prolungata e incontrollata.
Come proteggersi dal techno aging
Prevenire l’invecchiamento digitale è possibile con accorgimenti semplici ma efficaci:
1. Limitare il tempo davanti agli schermi
Ridurre le ore di utilizzo è la strategia più immediata, soprattutto la sera.
2. Attivare filtri e modalità “luce notturna”
Molti dispositivi integrano sistemi che riducono l’emissione di luce blu.
3. Usare filtri fisici nei prodotti solari
Ingredienti come ossido di zinco e ossidi di ferro sono gli unici capaci di schermare anche la luce visibile.
4. Correggere la postura e fare pause regolari
La regola 20-20-20 (ogni 20 minuti, guardare qualcosa a 20 metri per 20 secondi) aiuta anche gli occhi.
5. Fare esercizi per il collo e massaggi quotidiani
Supportano la tonicità muscolare e prevengono cedimenti.
6. Curare la skincare del collo
Sieri con antiossidanti, peptidi e retinoidi possono contrastare la perdita di elasticità.
Il techno aging non è una moda, ma una conseguenza diretta dello stile di vita moderno. Non serve rinunciare alla tecnologia, ma imparare a usarla con maggiore consapevolezza. Proteggere la pelle – e il corpo – da posture scorrette, luce blu e ore davanti agli schermi è il primo passo per un invecchiamento più sano, lento e naturale.
Benessere
Quella voglia improvvisa di dolce: da dove nasce e quando diventa un segnale da non ignorare
Desiderare zuccheri ogni tanto è normale, ma quando il bisogno diventa frequente o incontrollabile potrebbe essere la spia di uno squilibrio metabolico, emotivo o ormonale.
Perché arriva quella voglia improvvisa di dolce
A chi non è mai capitato di cercare un biscotto nel cassetto dell’ufficio o una fetta di torta dopo cena? La voglia di dolce è un fenomeno molto più complesso di quanto sembri e coinvolge cervello, metabolismo e stato emotivo.
Gli esperti parlano di craving, un desiderio impulsivo e difficile da controllare, spesso legato alle risposte del nostro cervello alle oscillazioni della glicemia o alle emozioni.
Lo zucchero, infatti, provoca un rapido aumento di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. È lo stesso meccanismo che rende gratificanti molte esperienze: mangiare dolci, anche solo per pochi secondi, genera una sensazione di conforto e appagamento.
Ma questa “ricompensa” può trasformarsi in un circolo vizioso.
Le cause più comuni: tra biologia e abitudini
La voglia di dolce può avere origini molto diverse. Ecco le principali, scientificamente riconosciute.
Cal cali di glicemia
Una delle cause più frequenti. Quando il livello di zuccheri nel sangue diminuisce — dopo molte ore senza mangiare o pasti troppo poveri di carboidrati — il corpo segnala al cervello la necessità di energia immediata. I dolci, essendo rapidamente assimilabili, diventano il “richiamo” più forte.
Stress e ansia
Secondo diversi studi, lo stress cronico aumenta la produzione di cortisolo, che a sua volta stimola il desiderio di cibi ricchi di zuccheri e grassi. Lo zucchero agisce come “calmante” temporaneo, abbassando la tensione emotiva.
Poco sonno
Dormire poco altera i livelli degli ormoni leptina (che induce sazietà) e grelina (che stimola l’appetito). Il risultato? Più fame e soprattutto più voglia di zuccheri.
Carenza di nutrienti
Una dieta povera di proteine, fibre o carboidrati complessi può favorire oscillazioni della glicemia che scatenano la voglia di dolce.
Ciclo mestruale e squilibri ormonali
Molte donne sperimentano una maggiore attrazione per i dolci nella fase premestruale. Le variazioni di estrogeni e progesterone influenzano la serotonina, regolatrice dell’umore.
Abitudini radicate
Il dolce dopo i pasti, lo snack zuccherato durante la pausa, il cioccolatino serale: a volte, la voglia nasce semplicemente da routine consolidate.
Quando la voglia di dolce diventa un campanello d’allarme
Avere desiderio di zuccheri è normale. Ma se la sensazione è continuativa, incontrollabile o accompagnata da altri segnali, potrebbe indicare un problema da non sottovalutare.
Gli esperti invitano a prestare attenzione in questi casi:
- voglia costante di dolci anche dopo pasti completi
- stanchezza persistente, soprattutto nel pomeriggio
- forti oscillazioni di energia
- fame poco dopo aver mangiato
- aumento di peso non spiegato
In particolare, la craving frequente può essere collegata a:
Insulino-resistenza
Quando le cellule rispondono meno all’insulina, la glicemia tende ad oscillare e il corpo richiede zuccheri per compensare. È una condizione molto diffusa che può precedere il diabete di tipo 2.
Ipoglicemia reattiva
Si verifica quando, dopo aver mangiato cibi molto zuccherati, la glicemia scende rapidamente provocando fame e bisogno di dolci.
Disturbi dell’alimentazione emotiva
Mangiare per gestire emozioni difficili — stress, noia, ansia — può sfociare in un rapporto problematico con il cibo.
Come controllare le voglie senza demonizzare il dolce
Non serve eliminare completamente gli zuccheri, ma imparare a gestirli.
Ecco alcune strategie raccomandate da nutrizionisti e ricercatori:
- Fare pasti bilanciati: proteine + fibre + grassi buoni rallentano l’assorbimento degli zuccheri.
- Evitare lunghi digiuni: mangiare ogni 3–4 ore previene i cali della glicemia.
- Dormire almeno 7 ore: migliora la regolazione appetito-sazietà.
- Gestire lo stress con attività come camminate, sport, meditazione.
- Scegliere dolci di qualità, consumati con consapevolezza e non come risposta automatica a un’emozione.
- Aumentare l’introito di carboidrati complessi, come cereali integrali e legumi.
Il messaggio finale: ascoltare, non reprimere
La voglia di dolce non è solo un “capriccio” del palato. È un linguaggio del corpo e della mente.
Capire da dove nasce aiuta a prendersi cura di sé in modo più completo, evitando che una semplice tentazione diventi un segnale ignorato troppo a lungo.
Con piccoli cambiamenti e un po’ di consapevolezza, è possibile ritrovare equilibrio… senza rinunciare del tutto al piacere di un buon dessert.
Salute
Fibromialgia, la malattia invisibile che colpisce milioni di donne: nuove scoperte sulle cause neuroimmuni
Oltre 100 milioni di persone nel mondo – e circa 1,5 milioni solo in Italia – convivono con la fibromialgia. Una condizione che non è solo “nella testa”, ma che affonda le sue radici in processi infiammatori del sistema nervoso e in meccanismi autoimmuni, come confermano gli studi più recenti.
Dolore diffuso, rigidità muscolare, stanchezza cronica, sonno non ristoratore. Sono questi i sintomi che, giorno dopo giorno, accompagnano chi soffre di fibromialgia, una sindrome cronica ancora poco compresa e spesso sottovalutata. Secondo le ultime stime, la patologia interessa oltre 100 milioni di persone nel mondo e circa 1,5 milioni in Italia, con una netta prevalenza femminile: nove donne per ogni uomo.
Per molto tempo la fibromialgia è stata considerata un disturbo di origine psicologica, un insieme di sintomi senza una causa organica precisa. Oggi la ricerca smentisce questa visione: si tratta di una vera e propria malattia del sistema nervoso e immunitario, come ha ribadito il recente convegno Controversies in Fibromyalgia svoltosi a Vienna, che ha riunito esperti internazionali di reumatologia e neurologia.
«La fibromialgia è caratterizzata da un dolore muscolo-scheletrico diffuso, spesso migrante, che può interessare aree diverse del corpo nel tempo», spiega Antonio Puccetti, immunologo clinico e reumatologo del Dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova. «Si accompagna frequentemente a parestesie – sensazioni simili a scariche elettriche – e a disturbi della temperatura corporea, con brividi e sensazioni di caldo-freddo alternati».
Oltre al dolore, la patologia compromette profondamente la qualità della vita. Molti pazienti lamentano una marcata riduzione dell’energia, difficoltà di concentrazione e alterazioni del ritmo sonno-veglia. «È come vivere costantemente con l’influenza – aggiunge Puccetti –. Ci si sente stanchi, svuotati, incapaci di affrontare le normali attività quotidiane».
Le cause precise non sono ancora del tutto chiarite, ma un numero crescente di studi punta verso un meccanismo di neuroinfiammazione, ovvero un’infiammazione cronica che coinvolge il cervello, il midollo spinale e le terminazioni nervose periferiche. Analisi istologiche sui pazienti con fibromialgia hanno mostrato una neuropatia delle piccole fibre, cioè un’alterazione delle fibre nervose sottili responsabili della trasmissione del dolore e della sensibilità termica.
Questa condizione, spiegano i ricercatori, potrebbe essere innescata da una risposta autoimmune anomala, in cui il sistema immunitario attacca erroneamente componenti del sistema nervoso. «Abbiamo individuato meccanismi simili a quelli di altre malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o i disturbi tiroidei», precisa Puccetti. «La fibromialgia potrebbe quindi rappresentare una nuova forma di patologia neuroimmune».
Tra i fattori scatenanti emergono infezioni virali, traumi fisici o psicologici e predisposizioni genetiche, che possono alterare il funzionamento del sistema nervoso centrale. In alcuni casi, si osservano correlazioni con patologie come sclerosi multipla, encefaliti e Alzheimer, anche se la ricerca non ha ancora stabilito nessi causali diretti.
Sul fronte terapeutico, non esiste ancora una cura risolutiva, ma si lavora per ridurre l’infiammazione e modulare la percezione del dolore. Le strategie più efficaci prevedono un approccio combinato: cortisonici a basso dosaggio per attenuare i processi infiammatori, farmaci neuromodulatori per alzare la soglia del dolore e interventi non farmacologici come esercizio fisico graduale, fisioterapia e mindfulness.
«Oggi è chiaro che la fibromialgia non è una malattia “invisibile” perché immaginaria, ma perché ancora poco riconosciuta», sottolinea Puccetti. «Serve una maggiore consapevolezza tra medici e pazienti per arrivare a diagnosi precoci e trattamenti personalizzati».
Il 12 maggio, in occasione della Giornata mondiale della fibromialgia, l’appello della comunità scientifica è univoco: continuare a investire nella ricerca per comprendere a fondo i meccanismi neuroimmuni alla base della malattia e restituire voce – e sollievo – a milioni di persone che convivono ogni giorno con un dolore tanto reale quanto invisibile.
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