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Punti di svista

L’esercito dei selfie si è fermato a Camogli

Disposti a tutto, pur di poter annoverare nella propria galleria di immagini sul telefonino uno scatto in più. Di recente una donna ha rischiato la vita: ne valeva la pena?!?

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    A Camogli, una delle perle della Riviera ligure, è scattata l’operazione “No Selfie”. Cartelli nuovi di zecca si apprestano a ricordare a tutti, imbecilli in primis, che mettersi in posa davanti alle onde quando il mare sbuffa non è esattamente un’idea geniale. Ce n’era bisogno? Evidentemente sì, dato che solo pochi giorni una donna intenta a farsi una foto con la mareggiata alle spalle è stata trascinata in acqua da un’onda, mettendo a rischio se stessa e i soccorritori intervenuti.

    Il rischio per un selfie un po’ ardito

    Un provvedimento che sembra surreale, ma che è invece terribilmente chiarificatore del nostro tempo in cui il selfie non è solo un ricordo ma una sfida giocata a colpi di like da sfoggiare sui social. Anche e soprattutto se in gioco c’è un po’ di rischio, qualcosa di alternativo, magari di unico. E chi se ne importa se sia terribilmente stupido o pericoloso oppure solo, si fa per dire, di cattivo gusto.

    L’illusione di fermare il tempo e di poter dire “io c’ero”

    D’altra parte, tutti abbiamo un cellulare con fotocamera e negli ultimi anni ne abbiamo viste di tutti i colori. Selfie ovunque, senza freni. Davanti a tragedie, durante funerali, in occasione di catastrofi: posa plastica e via. Poco importa che sia avanti a un palazzo in fiamme, sul ciglio di un precipizio o, appunto, a pochi metri da una mareggiata. Un click e via. La tempesta perfetta del cattivo gusto però si è fermata a Camogli, almeno per ora. La caccia all’ultimo selfie, invece, è ancora aperta.

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      Mister Facebook, banderuola social

      Il, per certi versi sorprendente, dietrofront di Mark Zuckerbeng è imbarazzante. Pur di rimanere a galla, per lui è tempo di di invertire la direzione di marcia.

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        Come si cambia per non sparire. Mark Zuckerberg ha dimostrato che sono tutti liberali con i social degli altri, rendendosi protagonista di un dietrofront clamoroso, sconfessando se stesso e anni di lavoro. In nome, si capisce, del denaro e della necessità di baciare la pantofola al nuovo sceriffo in città, ovvero Donald Trump.

        L’attacco al presidente uscente

        Nel giro di un attimo, il fondatore di Facebook e capo anche di Instagram, ha deciso di eliminare i fact-checkers (tanto, chi ha bisogno di verità?), chiuso il programma di diversità e inclusione (troppa fatica) e anche attaccare il presidente uscente Joe Biden, con cui fino all’altro ieri erano tutte rose e fiori, per andare in visita al neo-presidente. Un dietrofront che ha dell’imbarazzante per adeguarsi al vento che cambia.  

        L’elogio dell’ex nemico Musk

        Nessuno scrupolo per mister Facebook arrivato al punto anche ad elogiare il nemico di sempre Elon Musk, ora manco a dirlo braccio destro dello Trump, copiando la sua politica (a tratti imbarazzanti) di controllo delle bufale via social. Da paladino del progressismo digitale a stratega dell’adattamento al punto che molti suoi dipendenti sono già sulle barricate e lo etichettano come folle e venduto. Eppure, a suo modo, Zuck è un maestro. Perché conosce bene la vera e unica dell’inclusione, farsi includere nelle grazie del potente di turno. Voleva connettere il mondo, ha dimostrato di sapersi connettere con chi comanda. Anche questo è un talento. Alla faccia della morale.

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          Essere o non essere il Duce? Nella finzione del cinema, le lacrime postume non sono credibili

          Il cinema: quella splendida arte che ti permette di essere e interpretare chiunque. Ladri, furfanti, mostri e persino dittatori come Benito Mussolini. Ma per Luca Marinelli interpretare il Duce non è stato facile, anzi. «È stato molto doloroso, mia nonna poi non voleva».

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            Premessa: Luca Marinelli è bravissimo e personalmente lo apprezzo molto per le sue capacità attoriali. Ma c’era davvero bisogno di questo piagnisteo postumo? A quanto risulta infatti nessuno lo ha obbligato a forza a calarsi nei panni di Mussolini. Anzi, pare sia stato ampiamente (e giustamente) retribuito per la sua performance. E la pantomima quasi shakespeariana del tipo «essere o non essere il Duce, questo è il dilemma», risulta un po’ stucchevole, specie se arriva in concomitanza con l’uscita della serie. E a ben pensarci fa anche un po’ sorridere.

            Sensi di colpa ingiustificati

            Prendiamo un mostro sacro del cinema come Anthony Hopkins. Dopo aver dato vita al personaggio di Hannibal Lecter, il cannibale più spaventoso della storia del grande schermo, non si è certo scusato con i vegetariani e non si deve essere sentito granché in colpa per aver potenzialmente promosso il cannibalismo. E tutti gli attori che nella storia del cinema hanno interpretato Adolf Hitler, da Bruno Ganz allo stesso Anthony Hopkins (riuscirà a dormire la notte?) non si sono cosparsi il capo di cenere scusandosi con le vittime del nazismo. È il cinema, è finzione. È chiaro a tutti.

            E’ la logica del grande schermo, dove ogni dramma è un falso

            Marinelli, ha invece sentito il bisogno di chiarire che no, non è stato bello interpretare Mussolini. Se il ruolo era così straziante, perché accettarlo per lamentarsi poi nel periodo di promozione? Meglio risparmiarsi i tormenti postumi. Hai fatto il Duce ma solo sul grande schermo. È un ruolo. È un film. È finzione. Niente struggimenti pubblici per favore. Non sono molto credibili.

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              Tutti appesi al ciuffo di Donald, piaccia o no

              Un uomo solo al comando dell’Occidente, col quale sarà bene cercare di andare d’accordo, che la cosa sia gradita o meno. Lo impongono i precari equilibri attuali.

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                Che piaccia o no, siamo tutti appesi al ciuffo di Donald Trump. Dall’Ucraina al Medio Oriente, dalle tensioni commerciali con la Cina fino agli equilibri interni di alleati e avversari, il suo ritorno sulla scena internazionale, in un modo o nell’altro, segnerà una linea profonda.

                Un posto anche per noi

                Imprevedibile, devastante per alcuni, rigenerante per altri. Quel che farà «the Donald» è ancora tutto da vedere ma di certo gli equilibri faticosamente costruiti dall’amministrazione Biden potrebbero saltare di botto con un solo tweet o con un proclama dei suoi. E così, Trump costringe tutti a ripensare strategie e alleanze. E qui entra in gioco anche l’Italia.

                Giorgia nostra ambisce ad unruolo di interlocutrice privilegiata

                Si può discutere all’infinito delle scelte e delle decisioni di Giorgia Meloni ma una cosa è certa: avere un rapporto diretto con Trump è fondamentale perché l’Italia non può permettersi di essere spettatrice in un mondo dove le decisioni si prendono spesso su basi personali ancor più che istituzionali. Trump apprezza chi si pone in maniera determinata, anche aggressiva e Meloni ha dimostrato di saper giocare in questo campo costruendo un dialogo diretto con il tycoon, come dimostra la visita privata a casa Trump di qualche giorno fa.

                Per dire la nostra

                E questa è una mossa che potrebbe avere un peso non indifferente. Non si tratta di tifare per Trump o contro di lui e nemmeno per Meloni o contro di lei. Il punto è che con l’uomo col ciuffo al timone dell’Occidente, sarà meglio avere un posto sulla nave e avere voce in capitolo su dove condurla. Altrimenti si rischia il naufragio. E l’Italia non può permetterselo, a prescindere da ogni schieramento.

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