Punti di svista
L’ipocrisia studentesca
Partiamo da un fatto, tanto banale quanto palese: la guerra fa schifo. E fa ancora più schifo quando a pagarne il prezzo più caro sono i civili che non c’entrano nulla. Uomini, donne e bambini, tanti bambini, «colpevoli» solo di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, là dove carnefici senza scrupoli sganciano le loro bombe.
Era dal ’68 che non si vedeva
Da quando è iniziato il conflitto in Medioriente, c’è stata un’enorme mobilitazione per il cessate il fuoco, soprattutto chiedendo a Israele di fermarsi. Proteste legittime perchè da guerra per eliminare Hamas si è passati a una guerra senza quartiere con migliaia di innocenti uccisi. Ma quello che fa specie è la mobilitazione studentesca che non si vedeva dal ‘68. Dagli Stati Uniti fino all’Italia, occupazioni, tendopoli, convegni bloccati e decine di iniziative social. Tra chi è stato palesemente manovrato, chi ci crede davvero e chi l’ha fatto per moda, spunta una clamorosa contraddizione.
Due pesi e due misure?
Se è giusto, giustissimo, chiedere che non vengano uccisi civili innocenti nella Striscia di Gaza, perché nessuno ha occupato, protestato e bivaccato per chiedere di fermare la strage di civili in Ucraina? In due anni e mezzo di guerra i civili innocenti uccisi dalle bombe di Putin sono stati migliaia. Ma per loro nulla. Evidentemente ci si può girare dall’altra parte e far finta di nulla. Nemmeno una piccola occupazione. Nessun rettorato preso d’assalto. Neanche una tenda qua o là. Eh no, così non va. Comportamento da matita rossa. Si apra il dizionario alla voce ipocrisia.
INSTAGRAM.COM/LACITY_MAGAZINE
Punti di svista
Il rigore che ci vuole per punire i vigliacchi social
L’attaccante del Como Patrick Cutrone, cresciuto nelle giovanili del Milan, si sfoga per i messaggi vergognosi da lui ricevuti dopo un rigore fallito. Commenti non solo odiosi ma anche surreali… visto che lui è stato fra i protagonisti (14 gol e 5 assist in 32 presenze) della promozione in Serie A della sua squadra attuale…
«Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore…», cantava De Gregori. Ma quando pubblicò una delle sue canzoni più celebri, La leva calcistica della classe ‘68, non aveva fatto i conti con i social network e su quanto possano essere utilizzati in maniera infima.
Augurare la morte a chi fallisce un penalty: succede pure questo
Succede che Patrick Cutrone, attaccante del Como, sbagli un calcio di rigore decisivo, nei minuti di recupero, nella gara contro l’Udinese. È successo a lui come ad altri nel passato, succederà ancora. Piccolo dramma sportivo ma, oggettivamente, nulla di irreparabile, specie alla terza giornata di campionato. Eppure, eccoli i fenomeni dei social. In questo caso molto più che odiatori. La pagina Instagram di Cutrone è stata infatti intasata di insulti, alcuni gravissimi, in cui si augura la morte a lui e ai suoi figli. Inaccettabile.
Leoni… vigliacchi
Il calciatore non ci sta, mostra parte di questi vergognosi messaggi (ovviamente provenienti da account anonimi, perché i cuor di leone virtuali sono profondamente vigliacchi, sempre) e scrive: «Accetto le critiche, com’è giusto che sia ma queste cose non le lascio passare». E ha ragione, da vendere. Banale esprimere solidarietà a Cutrone.
Ci vogliono regole (e pene) precise
L’augurio è che la polizia postale rintracci quei cretini e, oltre a metterli di fronte alla loro pochezza umana, meglio se pubblicamente, gli faccia mettere anche mano al portafoglio. Una bella e cospicua donazione a qualche associazione caritatevole sarebbe una bellissima e sacrosanta lezione. Per tutti.
Punti di svista
Il dramma di Sharon e lo squallido spettacolo degli onorevoli sciacalli
Quando un drammatico fatto di cronaca nera diventa il prestesto per dichiarazioni inutili ed anche offensive. E’ accaduto purtroppo anche in occasione del delitto di Sharon Verzeni.
Non poteva mancare. Piacevole come la sabbia che resta tra le dita dopo una giornata al mare e utile come una forchetta in un piatto di brodo. Ma tant’è, la speculazione politica dopo un fatto di cronaca non manca mai.
Inutili presenze
E così, l’efferato delitto della povera Sharon Verzeni, ha permesso a politici di una parte e dell’altra di palesare tutta la loro profonda inutilità e trasmettere una volta di più un concreto fastidio. A nessuno importava davvero l’accaduto. L’importante era prendere posizione e dire qualche assurdità per avere visibilità.
Sono solo… parole, anzi… fesserie
«Il killer non è italiano», solo perché è di colore. Oppure «l’omicidio è figlio del patriarcato» perché i femminicidi nascono in un contesto di prevaricazione. Fesserie, dette per fare sensazionalismo e raccattare qualche voto qua e là. Fesserie, che qualificano chi le dice e che offrono un quadro preciso della desolazione della nostra realtà politica in cui, speculare su una tragedia, è più importante lavorare, per davvero, per la collettività.
Purtroppo è la replica della replica
Nulla di inedito, un copione già visto più volte. Speculare sulla cronaca è triste. Farlo sulla pelle di una povera ragazza è davvero squallido.
Punti di svista
“Caro Putin, vengo da te!” e finisce al fronte: ah, il karma…
La tragicomica storia del rapper danese Niklas Hoffgaard che, per evadere dall’Europa, sceglie madre Russia. Trovandosi in un baleno nel Donbass a combattere!
La legge del contrappasso è una cosa seria. E finisce per punire chi pensa di essere più furbo degli altri. Il rapper danese Niklas Hoffgaard, lo scorso anno ha deciso che il clima politico in Europa è troppo deteriorato per rimanere dove si trova e quindi si trasferisce alla ricerca di nuovi valori.
Il sogno russo
E dove va il genio? Ma certo, nella liberalissima Russia! Lì sì che potrà fare ciò che vuole e assimilarsi a valori solidi. E dopo i ritardi nella concessione del permesso di soggiorno, che fa il nostro furbissimo? Firma un contratto con il Ministero della Difesa per approfittare della norma che velocizza l’ottenimento della cittadinanza per chi lavora con l’Esercito. Cosa mai potrà accadere.
Impacchettato al fronte
Pensava di fare il traduttore, al massimo la guardia di frontiera. E invece, una volta firmato il documento, è stato spedito al fronte. Mimetica, stivali, fucile e via, a combattere in Ucraina. Solo allora il nostro geniale danese è stato assalito dal dubbio… Forse ma forse era meglio starsene a casetta.
Rischia un processo
«Non avevo capito cosa stessi firmando», sembra abbia detto. Genio vero, non c’è dubbio. Solo grazie a un processo di fronte al tribunale militare, il rapper ha ottenuto (in secondo grado) l’annullamento del contratto siglato ma dovrà ancora aspettare il terzo e ultimo per ritenersi libero, grazie al pretesto che non parla russo e non capisce gli ordini impartiti. Se tutto andrà bene, potrà tornare in patria dove, tra l’altro, lo aspetta un processo penale per mercenarismo. Forse che i valori occidentali in fondo non fanno così schifo? Parrebbe che Niklas l’abbia capito…
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