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Sic transit gloria mundi

Basta guerra, chiediamo a tutti di fermarsi ora

Basta guerra, chiediamo a tutti di fermarsi in tempo. Israele colpisce, L’Iran risponde. E domani che succede? Noi di LaCity vogliamo la pace

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    Almeno in teoria noi di LaCityMag non ci occupiamo di cronaca vera e propria. Siamo un magazine, una rivista e lasciamo questo onore e onere ai nostri colleghi delle redazioni di LaC, limitandoci poi agli approfondimenti. Generalmente, poi, il nostro vuole essere un giornale delle buone notizie, del buon umore, del tempo libero. Con qualche spunto magari un po’ più irriverente. E un pizzico di gossip. Ma la guerra, no. Non fa per noi.

    La guardiamo atterriti, seguiamo le dirette, leggiamo le agenzie di stampa. E lo facciamo in silenzio. Le notizie, quelle vere, quelle che raccontano morte e terrore, le lasciamo volentieri ad altri. Ma stasera non possiamo stare zitti neppure noi: missili, droni, morte e distruzione. Israele bombarda un ambasciata in Siria, l’Iran risponde. Per non parlare dell’orrore quotidiano che ci arriva dall’Ucraina.

    Ci prepariamo poi al consueto starnazzare stonato dei vari opinionisti di parte dei talk show televisivi: i puntiniani, i trumpiani, i bideniani, i fan di Netanyahu, quelli che stanno con Hamas e quelli che giustificano ogni cosa purché “pro domo loro”. Gli Orsini e i Santoro di turno che cercano la loro piccola luce della ribalta martellando sempre con le stesse frasi trite e ritrite, tanto faziose e parziali da risultare stucchevoli.

    E intanto la gente muore, i bambini muoiono, donne e uomini vivono nel terrore e nella follia. Sembra che la guerra sia diventata di colpo necessaria, voluta, inevitabile.

    Noi di LaCity, nel nostro piccolo, diciamo basta. Chiediamo a tutti di spezzare questo vortice di violenza, questo bellicismo esasperato. Basta, basta, basta… Noi lo diciamo con John Lennon: “Give peace a chance!”. Diamo una possibilità alla pace…

      Mondo

      Kamala Harris potrebbe davvero raccogliere l’eredità di Joe Biden e lottare alla pari contro Trump?

      Joe Biden si ritira dalla corsa alla Casa Bianca, lasciando spazio a Kamala Harris, che potrebbe diventare la prima presidente donna e di colore degli Stati Uniti. Altri possibili candidati includono governatori e il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg.

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        Joe Biden ha annunciato il suo ritiro dalla corsa alla Casa Bianca, appoggiando Kamala Harris per la nomination democratica. Harris, già prima donna e persona di colore a ricoprire il ruolo di vicepresidente, potrebbe diventare la prima presidente donna e di colore degli Stati Uniti. Nonostante le critiche per la sua performance come vice, Harris sta guadagnando terreno su temi chiave come l’aborto.

        Nata nel 1964 a Oakland, California, Kamala Harris ha avuto una carriera ricca e variegata. Laureata alla prestigiosa università Howard, è stata procuratrice di San Francisco e della California prima di ottenere un seggio al Senato nel 2016. Barack Obama, che la definì “la più bella procuratrice del Paese”, la considera una vecchia amica e un’alleata di valore.

        Come senatrice, Harris ha guadagnato notorietà per i suoi interrogatori incisivi durante le udienze dell’ex ministro della Giustizia Jeff Sessions, divenendo una figura prominente tra i democratici. La sua campagna presidenziale del 2020 non ebbe successo, ma si distinse come una delle principali rivali di Biden durante le primarie, mettendolo in difficoltà su temi di giustizia sociale e diritti civili.

        La campagna e l’ascesa

        Nonostante lo scontro con Biden, Harris è stata scelta come sua vice nel ticket democratico. La sua nomina è stata storica, rompendo tabù e aprendo la strada per molte donne. Tuttavia, Harris ha lottato per emergere dall’ombra di Biden, faticando a bucare lo schermo. Con i suoi 59 anni e la sua fermezza, Harris potrebbe però rappresentare una valida antitesi a Donald Trump.

        La vita personale

        Kamala Harris è una collezionista di sneaker Converse e si sveglia alle 6 del mattino per allenarsi. Tra i suoi libri preferiti ci sono “Native Son” di Richard Wright e “The Lion, the Witch and the Wardrobe” di C.S. Lewis. Il suo motto, un monito della madre, è: “Potrai essere la prima, ma assicurati di non essere l’ultima”. Harris ha infranto molti tabù e ora ha l’occasione di fare la storia come prima presidente donna e di colore degli Stati Uniti.

        Possibili contendenti

        Se Harris dovesse affrontare delle primarie, potrebbero scendere in campo alcuni governatori come Josh Shapiro (Pennsylvania), J.B. Pritzker (Illinois), Tony Evers (Wisconsin) e Andy Beshear (Kentucky). Altri nomi, come il governatore della California Gavin Newsom e la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, sono meno probabili, mentre il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg potrebbe essere un’opzione.

        Harris ha l’occasione della vita e potrebbe sfruttare questo momento per consolidare la sua posizione e aspirare alla presidenza, segnando un nuovo capitolo nella storia americana.

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          In primo piano

          Ma l’Europa ha davvero bisogno di Orbán, il servo sciocco del Cremlino?

          Viktor Orbán, fondatore del gruppo di estrema destra dei “Patrioti”, si è precipitato a Mosca, unico leader occidentale ad incontrare Putin dopo l’invasione dell’Ucraina. Tra dichiarazioni sconcertanti e alleanze controverse, Orbán sembra più interessato a sabotare l’Europa che a rappresentarla.

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            La domanda è inevitabile: perché l’Europa permette a un autocrate come Orbán di parlare a suo nome? E perché l’Ungheria di un leader illiberale, nazionalista e xenofobo come lui è ancora nell’Unione Europea? Ma soprattutto, quanti danni può ancora infliggere a un’Europa che non riesce a trovare l’unanimità nelle sue strategie?

            Appena fondato il gruppo di estrema destra dei “Patrioti”, Viktor Orbán non ha perso tempo e si è fiondato a Mosca, l’unico leader occidentale abbastanza disperato da cercare la benedizione di Vladimir Putin dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Da Mosca a Kiev, fino a Pechino: una tournée degna di un globetrotter della diplomazia fallimentare – l’unico che riesce a stargli dietro è Antony Blinken con i suoi tentativi inutili di far dialogare Netanyahu e Hamas. In teoria, la missione potrebbe sembrare lodevole, chi non vorrebbe negoziare una tregua? Anche Erdogan ci prova ogni tanto, e il Vaticano fa i suoi silenziosi sforzi. Ma Orbán? A che titolo parla? Come capo dei “Patrioti”? Come presidente di turno del Consiglio Europeo? O solo come premier dell’Ungheria, amico della Russia, nemico delle sanzioni, contrario all’invio di armi e alla NATO, di cui, ironicamente, fa parte?

            Nel suo post su “X” (ex Twitter), Orbán parla di “Peace Mission 3.0” con l’hashtag HU24EU, ovvero Ungheria 2024-Unione Europea. Quindi, si arroga il diritto di rappresentare l’Europa. Ma cosa poteva proporre a Putin? Qualcosa che non si erano già detti due settimane prima ad Astana in Kazakistan? Orbán ha reso pubblica una nuova perla: la convinzione che «i russi non perderanno mai la guerra in Ucraina, soprattutto perché Vladimir Putin sa come vincerla». Parole che suonano meglio di quelle dei portavoce di Putin come Peskov o Lavrov. Xi Jinping ha elogiato «l’indipendenza dell’Ungheria dalle pressioni occidentali».

            Ecco il punto: secondo Orbán, l’Ungheria non appartiene all’Europa, ma solo a sé stessa. Un’enclave linguistica e geografica che nulla ha a che fare con l’Occidente liberale e le democrazie parlamentari. Non tutti a Budapest la pensano così, ma la politica di Orbán parla chiaro. Mentre Putin bombarda l’ospedale pediatrico di Kiev, Orbán firma accordi commerciali con la Cina. E promuove il semestre di presidenza europea con uno slogan che fa rabbrividire: “Make Europe Great Again”. Ha creato un’alleanza di estrema destra con 84 parlamentari, strappando i Vox spagnoli ai conservatori e ammiccando a Trump, «un uomo di pace in cui ho fiducia», sperando nel suo ritorno.

            Come giudicarlo? Orbán si è distinto per la confusione e il caos che ha creato, operando come leader di un singolo Paese e come presunto rappresentante dell’UE senza alcun mandato. Scommettiamo che i 27 Stati membri lo richiameranno alla moderazione. Lui fingerà di capire e continuerà a fare di testa sua. Viktor Orbán, l’uomo dei veti, è tutto qui: abile, spregiudicato e eternamente diffidente verso l’Europa, che guarda con lo stesso disprezzo di Putin, attratto dalla sua ricchezza ma disgustato dalla «debolezza strutturale delle democrazie».

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              In primo piano

              Vittorino e le cameriere di Catanzaro

              Il cattivismo spesso spinge sopra le righe. E qualche volta, complice anche un’età in cui bisognerebbe avere il buon gusto di andare in pensione per lasciare il posto ai giovani, ti fa dire stupidaggini stratosferiche. E fare figure di… peltro, Vittorio Feltri questa volta ha deciso di darne una plastica rappresentazione

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                Forse volevi solo fare il simpatico. O forse un po’ di demenza senile comincia a farsi strada anche nella tua mente. Conoscendoti un po’, probabilmente, hai solo detto la prima fesseria che ti passava per la tua testa di padano razzistello un po’ ganassa. Volevi sbeffeggiare solo Ilaria Salis, deridendola per il vestitino a fiori con cui ha fatto il suo esordio nelle fila del Consiglio Europeo. E da esperto di gaffes quale sei, hai finito per offendere e dileggiare un popolo intero, quello calabrese.

                Ah, caro Vittorino sempre pronto a dispensare le tue perle di saggezza… Dopo aver dissertato con il tuo consueto savoir-faire da bulletto delle scuole medie sulle gambe non depilate di Carola Rakete («piene di peli che sembrano quelle di un terzino della Spal») avresti potuto piantarla lì. Ma è stato più forte di te e ti sei lasciato trascinare dal tuo eloquio da Savonarola de noantri: «La Salis vestita come una cameriera di Catanzaro, proprio la cosa più bassa che si possa immaginare». E qui, lasciacelo dire, l’hai fatta davvero grossa.

                I calabresi, mio bel polentone, sono gente fiera. Che non ama essere presa in giro dal primo che passa. Se a Ferrara, dove di terzini della Spal con le gambe pelose ne hanno visti parecchi, nessuno si è lamentato, a Catanzaro e dintorni è scoppiata una mezza rivoluzione. “La cosa più bassa che si possa immaginare”? Stai scherzando? Ma le hai mai viste le cameriere di Pizzo, Scalea e Soverato? E le donne di Catanzaro, Vibo e Reggio? Caro Feltri, forse ti sfugge un dettaglio: donne belle come quelle calabresi, tu, ormai, puoi solo sognartele di notte.

                Da parte sua il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, ha subito annunciato di averti dedicato giusto il tempo necessario a una bella querela, promettendo di portarti in tribunale per le tue inaccettabili offese. E non ho dubbi che Elisabetta Gregoraci, Roberta Morise e tante altre bellezze di Calabria ti abbiano già liquidato con un sorriso di compatimento e una bella pernacchia. Ma la brutta figura, perdonami, resta…

                Ti è mai venuto in mente che sbeffeggiare una categoria di lavoratrici serie come le cameriere, che ogni giorno si fanno in quattro per guadagnarsi il pane, sia perlomeno di cattivo gusto? Cameriere di Catanzaro? Ah, caro Vittorino non sai cosa dici, ti piacerebbero davvero! Quando il cattivismo supera i limiti del buon gusto, diventa semplicemente squallido, proprio come la tua battuta. In un’epoca in cui si cerca di promuovere il rispetto e la dignità per tutti i lavoratori, le tue parole sono un chiaro esempio di come non comportarsi. Fare battute offensive è facile quando non si conosce la fatica e il sacrificio di chi lavora onestamente.

                Permettimi un ultimo consiglio: scusati! Se ti resta ancora un briciolo di decenza e dignità. Le donne di Calabria non meritano il tuo disprezzo. Lunga vita alle cameriere di Catanzaro e a tutte le donne che, in Calabria o ovunque nel mondo, ogni giorno, con il loro lavoro e la loro dignità dimostrano il vero valore del rispetto.

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