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Sic transit gloria mundi

Giuseppi e il “pacifismo del nulla”: quando la politica diventa una barzelletta

Giuseppi dice che avrebbe “tartassato Putin di telefonate” per convincerlo a sedersi al tavolo della pace. Ma dietro la comicità involontaria, emerge un pacifismo privo di contenuti, utile solo per prendere voti.

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    Giuseppe Conte, agli Stati Generali della Ripartenza, ha regalato al mondo una perla di politica surreale. “Se fossi stato al governo, avrei tartassato Putin di telefonate per convincerlo a fare la pace”, ha dichiarato con quella solennità che lo contraddistingue, come se bastasse il suo tono accademico a rendere credibile l’idea di un dittatore del calibro di Putin, seduto alla scrivania, che risponde al telefono dicendo: “Oh, finalmente, Giuseppi! Non sai quanto aspettavo una tua chiamata per fermare tutto!”

    Siamo seri, Giuseppi. Davvero pensavi che bastasse fare il molestatore telefonico per risolvere la crisi più grave del nostro tempo? La dichiarazione, diventata subito virale, ha suscitato più risate che riflessioni, e non a torto. Ma dietro il lato comico di questa uscita c’è qualcosa di più grave: la rappresentazione plastica di un pacifismo vuoto, da slogan, che non propone soluzioni ma cerca consensi.

    Il pacifismo dei politicanti

    Volere la pace è un sentimento nobile, ma è anche il minimo sindacale. Non c’è bisogno di essere un grande statista per dire che una guerra è brutta e che sarebbe meglio fermarla. Ma Giuseppi, come certi “grandi” pacifisti alla Santoro e Rizzo, non si limita a predicare la pace: la trasforma in uno strumento per raccattare voti.

    La domanda resta: qual è la soluzione di questi politici per fermare la guerra? Svendere l’Ucraina? Dire a Putin che può prendersi tutto quello che vuole purché smetta di bombardare? Oppure, e qui il genio, tartassarlo di telefonate come una versione geopolitica dello spot Mi ami? Ma quanto mi ami?.

    La politica come narcisismo

    L’episodio rivela anche il narcisismo di un leader che si vede come il grande risolutore di crisi globali, ignorando che un dittatore con la mania di potenza non si lascia convincere da chi non ha più nemmeno i bottoni del potere. Il pacifismo di Giuseppi non ha contenuti perché non cerca soluzioni reali, ma emozioni facili. È il pacifismo del “voler essere amati”, della pubblicità e dei social, non della politica seria.

    Un consiglio a Giuseppi

    Giuseppi, se vuoi davvero un ruolo nella politica internazionale, inizia a proporre idee vere. La pace non si fa a suon di telefonate, e di certo non con battute da bar. La prossima volta che ti viene in mente di “tartassare Putin”, prova prima a pensare a un piano geopolitico che non sembri uscito da una sitcom. Altrimenti, la tua idea di politica resterà solo una grande, esilarante telefonata.

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      Santa Rita De Crescenzo vergine e martire (del trash televisivo e dei suoi stessi followers)

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        Ogni epoca ha i suoi santi. Noi, che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo Rita De Crescenzo: patrona delle punturine di acido ialuronico, del silicone spacciato per estetica e dei monologhi social che neppure alla recita dell’asilo. «Ho paura, basta odio, basta violenza mediatica», piagnucola oggi la tiktoker partenopea, appena il sindaco di Castel Volturno le ha cancellato uno show. Una Madonna del trash che si immola sull’altare della visibilità, con tanto di rosario fatto di stories Instagram.

        Il problema, però, non è lei. È la folla che l’applaude. Migliaia di followers che la venerano nonostante accuse di spaccio per conto del clan Elia, minacce a un deputato («Devo essere il tuo incubo, è arrivata l’ora che ti distrugga io»), video dove la cultura del nulla diventa linguaggio quotidiano. Santa Rita del degrado non canta, non balla, non recita. Non sa fare assolutamente niente, eppure è riuscita a trasformare l’ignoranza in un titolo di studio, il pressapochismo in curriculum, l’urlato in vangelo.

        La sua difesa? «Sono una donna, una madre, una persona come tutte le altre». Tutte le altre chi? Quelle che fanno dei filtri TikTok un manifesto politico? Quelle che credono che il talento consista nel mettersi una minigonna fluorescente e ripetere frasi sconnesse in diretta?

        Il miracolo è che funziona: più la criticano, più sale. Più le istituzioni le chiudono le porte, più diventa martire. È la beatificazione trash: non serve saper cantare, scrivere, pensare. Serve piangere davanti a una telecamera, gonfiare le labbra fino a sembrare canotti e agitare le mani in aria come se fossero ali d’angelo caduto.

        Chi la segue, in fondo, non cerca un’artista. Cerca un’icona dell’idiozia elevata a forma d’arte, un simbolo che rassicura: “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. E infatti ce l’ha fatta. A diventare il monumento vivente di un Paese che si inchina al nulla e lo incorona.

        Meritiamo l’estinzione? Sicuramente. Ma tranquilli: prima dell’apocalisse ci sarà la sua prossima diretta online di Santa Rita, e sarà sold out.

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          Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”

          Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

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            Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.

            Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.

            Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.

            Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.

            Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.

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              Il Senato salva Sangiuliano dal processo per la “chiave di Pompei”: 112 voti bastano a fermare l’accusa di peculato

              Il caso ruotava attorno al simbolico omaggio di Pompei finito in un regalo privato. La Giunta per le immunità ha riconosciuto l’atto come compiuto nell’interesse pubblico e non come reato ordinario. I legali dell’ex ministro ricordano che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la chiave era stata acquistata e pagata, diventando sua proprietà.

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                Palazzo Madama ha fatto scudo all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, bloccando il processo per peculato che rischiava di aprirsi attorno alla “chiave d’onore” di Pompei. Con 112 voti favorevoli e 57 contrari, l’aula del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere, accogliendo la linea della Giunta per le immunità: il gesto di donare la chiave a Maria Rosaria Boccia non costituirebbe reato ordinario, ma un atto riconducibile all’esercizio della funzione di governo e al perseguimento di un interesse pubblico preminente.

                La vicenda aveva incuriosito l’opinione pubblica nei mesi scorsi, trasformandosi in un caso mediatico: la chiave, simbolo del legame con la città archeologica, era stata regalata dall’ex ministro a una conoscente, scatenando polemiche e sospetti di appropriazione indebita. I difensori di Sangiuliano hanno sempre sostenuto la piena legittimità dell’operazione, ricordando che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che, tramite la procedura prevista dalla legge, l’ex ministro aveva acquistato e pagato l’oggetto, diventandone il proprietario a tutti gli effetti.

                Il voto in aula è arrivato dopo una giornata di interventi accesi, tra ironie e schermaglie politiche. Il leghista Gian Marco Centinaio ha scherzato in diretta: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!», strappando un sorriso in un dibattito altrimenti teso.

                Non solo Sangiuliano: nella stessa seduta, Palazzo Madama ha affrontato altre questioni di immunità parlamentare. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera dell’aula sulla sua insindacabilità per le frasi rivolte al magistrato Luca Tescaroli nel 2023, giudicate collegate ad atti parlamentari come interrogazioni e interventi in aula. A favore hanno votato 117 senatori, mentre 23 – tra M5s e Avs – hanno detto no.

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