Sic transit gloria mundi
Marina Berlusconi sbotta contro le malelingue: “Nessun complotto, solo fantasie”
Marina Berlusconi mette fine alle voci su presunti complotti contro il premier Meloni e il leader di Forza Italia, Tajani. Con ironia e fermezza, smentisce i retroscena “distanti dalla verità” e difende il valore della realtà in un’epoca dominata da fake news e indiscrezioni.

Marina Berlusconi non ci sta. Le ricostruzioni fantasiose su presunte trame ai danni di Giorgia Meloni e Antonio Tajani le hanno fatto perdere la pazienza, tanto che ha deciso di prendere carta e penna e scrivere a Repubblica per dire la sua. E lo fa senza mezzi termini, smentendo ogni insinuazione e rimettendo le cose in chiaro: nessuna trama oscura contro il premier e il leader di Forza Italia, nessuna disistima né malumore. Anzi, è vero l’esatto contrario.
La presidente di Mondadori e Fininvest va dritta al punto e definisce “prive di fondamento” tutte quelle storie che parlano di malumori familiari o di complotti in corso per destabilizzare il governo o il partito fondato da suo padre. La realtà, spiega Marina, è molto diversa da quella che i giornali vogliono raccontare. “So bene che arginare il fiume delle voci e delle indiscrezioni è pratica molto difficile, se non impossibile, ma io non posso continuare a tollerare presunte ricostruzioni che non hanno il minimo contatto con la realtà”, scrive, rivolgendosi direttamente al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari.
Non si ferma qui: Marina si dice particolarmente colpita dal modo in cui vengono distorti anche i dettagli più banali, trasformando normali incontri di lavoro in vere e proprie “riunioni carbonare”. “La Repubblica descrive perfino pensieri e progetti che non ho, né ho mai avuto”, sottolinea con una certa ironia, quasi divertita dal fatto che certi racconti sembrino più trame di fantascienza che cronache politiche.
Ma è sul tema della verità che Marina affonda il colpo. In un’epoca in cui le fake news dominano il discorso pubblico e le chiacchiere incontrollabili sembrano avere la meglio sui fatti, la presidente di Mondadori rivendica il valore della realtà e della trasparenza. “In un’epoca di fake news e di chiacchiere incontrollabili, conta ancora qualcosa la verità?”, si chiede, sollevando una questione che va ben oltre le voci su presunte trame politiche. Per lei, la realtà dei fatti resta qualcosa di intangibile e fondamentale, nonostante la tentazione di molti a dipingerla con colori più vivaci.
La lettera si chiude con una riflessione sui “retroscena” che troppo spesso popolano le pagine dei giornali, evocando un mondo di segreti e cospirazioni che, per Marina, non esiste. “Forse sarò ostinata, e di certo le parrò all’antica”, scrive, “ma continuo a pensare che la realtà dei fatti conservi un valore”. Un richiamo alla concretezza e una frecciata a chi ama costruire castelli di sabbia: i retroscena, secondo lei, hanno senso solo se sono ancorati alla verità, non quando diventano “teatrini” che nulla hanno a che fare con il mondo reale.
Questo intervento non arriva in un momento qualsiasi: Forza Italia, dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, è al centro di speculazioni su come gestirà il futuro e su quali forze interne stiano davvero tirando le fila. Marina Berlusconi, con questa lettera, ha voluto mettere fine alle chiacchiere, almeno per quanto riguarda la sua famiglia. Nessuna trama segreta, nessun colpo basso. Solo una ferma difesa della verità, in un contesto politico e mediatico in cui, spesso, sembra essere l’unica a non avere voce.
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Sic transit gloria mundi
Santa Rita De Crescenzo vergine e martire (del trash televisivo e dei suoi stessi followers)

Ogni epoca ha i suoi santi. Noi, che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo Rita De Crescenzo: patrona delle punturine di acido ialuronico, del silicone spacciato per estetica e dei monologhi social che neppure alla recita dell’asilo. «Ho paura, basta odio, basta violenza mediatica», piagnucola oggi la tiktoker partenopea, appena il sindaco di Castel Volturno le ha cancellato uno show. Una Madonna del trash che si immola sull’altare della visibilità, con tanto di rosario fatto di stories Instagram.

Il problema, però, non è lei. È la folla che l’applaude. Migliaia di followers che la venerano nonostante accuse di spaccio per conto del clan Elia, minacce a un deputato («Devo essere il tuo incubo, è arrivata l’ora che ti distrugga io»), video dove la cultura del nulla diventa linguaggio quotidiano. Santa Rita del degrado non canta, non balla, non recita. Non sa fare assolutamente niente, eppure è riuscita a trasformare l’ignoranza in un titolo di studio, il pressapochismo in curriculum, l’urlato in vangelo.

La sua difesa? «Sono una donna, una madre, una persona come tutte le altre». Tutte le altre chi? Quelle che fanno dei filtri TikTok un manifesto politico? Quelle che credono che il talento consista nel mettersi una minigonna fluorescente e ripetere frasi sconnesse in diretta?
Il miracolo è che funziona: più la criticano, più sale. Più le istituzioni le chiudono le porte, più diventa martire. È la beatificazione trash: non serve saper cantare, scrivere, pensare. Serve piangere davanti a una telecamera, gonfiare le labbra fino a sembrare canotti e agitare le mani in aria come se fossero ali d’angelo caduto.




Chi la segue, in fondo, non cerca un’artista. Cerca un’icona dell’idiozia elevata a forma d’arte, un simbolo che rassicura: “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. E infatti ce l’ha fatta. A diventare il monumento vivente di un Paese che si inchina al nulla e lo incorona.
Meritiamo l’estinzione? Sicuramente. Ma tranquilli: prima dell’apocalisse ci sarà la sua prossima diretta online di Santa Rita, e sarà sold out.

Sic transit gloria mundi
Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”
Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.
Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.
Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.
Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.
Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.
Sic transit gloria mundi
Il Senato salva Sangiuliano dal processo per la “chiave di Pompei”: 112 voti bastano a fermare l’accusa di peculato
Il caso ruotava attorno al simbolico omaggio di Pompei finito in un regalo privato. La Giunta per le immunità ha riconosciuto l’atto come compiuto nell’interesse pubblico e non come reato ordinario. I legali dell’ex ministro ricordano che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la chiave era stata acquistata e pagata, diventando sua proprietà.

Palazzo Madama ha fatto scudo all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, bloccando il processo per peculato che rischiava di aprirsi attorno alla “chiave d’onore” di Pompei. Con 112 voti favorevoli e 57 contrari, l’aula del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere, accogliendo la linea della Giunta per le immunità: il gesto di donare la chiave a Maria Rosaria Boccia non costituirebbe reato ordinario, ma un atto riconducibile all’esercizio della funzione di governo e al perseguimento di un interesse pubblico preminente.
La vicenda aveva incuriosito l’opinione pubblica nei mesi scorsi, trasformandosi in un caso mediatico: la chiave, simbolo del legame con la città archeologica, era stata regalata dall’ex ministro a una conoscente, scatenando polemiche e sospetti di appropriazione indebita. I difensori di Sangiuliano hanno sempre sostenuto la piena legittimità dell’operazione, ricordando che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che, tramite la procedura prevista dalla legge, l’ex ministro aveva acquistato e pagato l’oggetto, diventandone il proprietario a tutti gli effetti.
Il voto in aula è arrivato dopo una giornata di interventi accesi, tra ironie e schermaglie politiche. Il leghista Gian Marco Centinaio ha scherzato in diretta: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!», strappando un sorriso in un dibattito altrimenti teso.
Non solo Sangiuliano: nella stessa seduta, Palazzo Madama ha affrontato altre questioni di immunità parlamentare. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera dell’aula sulla sua insindacabilità per le frasi rivolte al magistrato Luca Tescaroli nel 2023, giudicate collegate ad atti parlamentari come interrogazioni e interventi in aula. A favore hanno votato 117 senatori, mentre 23 – tra M5s e Avs – hanno detto no.
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